Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-12-02, n. 201106363

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-12-02, n. 201106363
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106363
Data del deposito : 2 dicembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04863/2002 REG.RIC.

N. 06363/2011REG.PROV.COLL.

N. 04863/2002 REG.RIC.

N. 04864/2002 REG.RIC.

N. 04865/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui ricorsi numeri di registro generale 4863, 4864 e 4865 del 2002, tutti proposti dal Comune di Calvi, rappresentato e difeso dall'avv. C L, con domicilio eletto presso Tommaso Acconcia in Roma, via Andrea Doria 40;

contro

Z A, Camerlengo L A P, Camerlengo C, rappresentati e difesi dall'avv. F R, con domicilio eletto presso Stefania Jasonna in Roma, viale Mazzini 132;






per la riforma

quanto al ricorso n. 4863 del 2002:

della sentenza del T.a.r. Campania – Napoli, Sezione II, n. 01503/2002, resa tra le parti, concernente OSSERVAZIONI SU ADOZIONE VARIANTE P.I.P.;

quanto al ricorso n. 4864 del 2002:

della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione II, n. 01504/2002, resa tra le parti, concernente OCCUPAZIONE D'URGENZA PER REALIZZAZIONE IFRASTRUTTURE AREA P.I.P.;

quanto al ricorso n. 4865 del 2002:

della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli: Sezione II, n. 01502/2002, resa tra le parti, concernente ADOZIONE VARIANTE P.I.P. – AMPLIAMENTO.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2011 il Cons. N G nessuno essendo comparso per le parti in causa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I signori Anna Zeoli, L A P Camerlengo e C Camerlengo, proprietari di un’ampia estensione di terreno in agro del Comune di Calvi, con tre distinte impugnative proposte negli anni 2001-2002 ricorrevano innanzi al T.A.R. per la Campania contro tale Amministrazione chiedendo l’annullamento, previa sospensione, dei provvedimenti nell’ordine indicati:

1) della delibera del Consiglio comunale di Calvi n. 7 del 7/2/2001, avente ad oggetto: “adozione variante P.I.P. - ampliamento”;

2) della delibera dello stesso Consiglio n. 23 del 30/3/2001, ad oggetto: “osservazioni su adozione variante P.I.P. - delibera di C.C. n. 7 del 7/2/01”;

3) della successiva delibera n. 48 del 19/10/2001, recante “dichiarazione di pubblica utilità L. n. 1/78 per attuazione del progetto: Asse Viario tratto A, infrastrutture area PIP”, nonché del decreto prot. n. 6519 del 26/11/2001 dello stesso Comune, che disponeva l’occupazione di urgenza per i “lavori di infrastrutture area PIP”.

Gli interessati, la cui proprietà ricadeva nel perimetro della predetta variante del P.I.P., deducevano con il loro primo ricorso l’illegittimità della delibera che l’aveva adottata articolando i seguenti tre motivi:

1) Violazione degli artt. 7 e ss. L. n. 241/90. Vizio del procedimento: non sarebbe stata data loro alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 L. n. 865/71. Violazione e falsa applicazione del T.U. n. 267/2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge regionale n. 26/75. Mancanza di presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione : l’impugnato ampliamento della superficie del piano sarebbe stato disposto: a) sul vecchio P.I.P., assunto ai sensi della legge n. 219/81 con la delibera C.C. n. 78 del 1/12/1983, ormai divenuta però inefficace per la scadenza del termine decennale previsto dall’art. 27 L. n. 865/71;
b) sulla base di un P.R.G. soltanto adottato, e non anche approvato;
c) in difetto di qualsiasi seria istruttoria;

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 L. n. 865/71. Violazione del principio della proporzionalità dell’azione amministrativa. Illogicità e difetto di motivazione : si sarebbe potuto realizzare lo stesso risultato anche lasciando indenne la proprietà dei ricorrenti.

Il Comune di Calvi si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente l’inammissibilità di tale primo ricorso, sul rilievo che l’atto impugnato, in quanto riflettente una variante adottata ma non ancora approvata, si sarebbe configurato come mero atto endo-procedimentale, e quindi non idoneo ad incidere sulla sfera giuridica dei ricorrenti, in difetto della successiva approvazione.

Nel merito, contestava comunque la fondatezza del gravame per le seguenti ragioni:

1) in materia di pianificazione urbanistica non sussisterebbe la necessità di comunicare l’avvio del procedimento (ai sensi dell’art. 13 L. n. 241/90);
nella fattispecie, inoltre, sarebbero state comunque adempiute tutte le formalità di cui alla legge n. 167/62, richiamata dall’art. 27 L. n. 865/71;

2a) non ci sarebbe stata decadenza per decorso del termine decennale, in quanto il Comune avrebbe reiterato la scelta pianificatoria compiuta nel 1983 adottando il nuovo PRG con la suddetta delibera C.C. n. 58 del 22/11/2000;

2b) non ci sarebbe necessità di un PRG approvato, dal momento che nel caso di specie sarebbe applicabile la disciplina derogatoria prevista dalla legislazione speciale per i comuni colpiti dagli eventi sismici del 1980-1981 (art. 28 L. n. 219/81, come modificato dall’art. 34 D.Lgs. n. 76/90), che consentirebbe l’adozione -tra l’altro- del P.I.P. sulla base di uno strumento urbanistico semplicemente adottato;

2c) la proposta del Sindaco, costituente parte integrante del provvedimento impugnato, conterrebbe una ponderata valutazione a base della scelta compiuta, incentrata essenzialmente sulla vicinanza delle zone in questione allo svincolo dell’Autostrada Napoli/Bari;

3) si tratterebbe di scelta ampiamente discrezionale, sindacabile solo per evidenti vizi logici, nel caso concreto insussistenti.

Poco dopo gli stessi interessati insorgevano una seconda volta impugnando la delibera consiliare n. 23 del 30/3/2001, con la quale sarebbe stata di fatto definitivamente approvata la variante in ampliamento del P.I.P. disposta con la precedente delibera n. 7/01. Essi ne deducevano l’illegittimità con quattro distinti motivi, imperniati sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 27 L. n. 865/71, nonché sull’eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, manifesta ingiustizia ed inopportunità.

Di lì a poco venivano infine impugnati dai sunnominati anche la delibera n. 48 del 19/10/2001, con la quale era stata dichiarata la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle conseguenti opere, ed il decreto prot. n. 6519 del 26/11/2001, con cui era stata disposta l’occupazione di urgenza delle aree di loro proprietà. L’ultimo gravame si articolava in cinque motivi, riguardanti, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241/90 e dell’art. 27 L. n. 865/71, nonché l’eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, manifesta ingiustizia ed inopportunità.

Il Comune di Calvi si costituiva in giudizio contestando l’ammissibilità e la fondatezza anche di questi due successivi ricorsi.

Il Tribunale, dopo avere accolto le domande cautelari proposte a corredo del secondo e terzo gravame, con le sentenze nn. 1502, 1503 e 1504/2002 in epigrafe così definiva le controversie:

- accoglieva definitivamente il primo ricorso, annullando la delibera di adozione della variante del P.I.P.;

- dichiarava improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse le restanti due impugnative, sul rilievo che l’annullamento della delibera di adozione della variante aveva fatto venire meno l’unico presupposto degli atti successivi, producendo sui medesimi un effetto caducante di automatico travolgimento.

Avverso tali pronunzie il Comune di Calvi proponeva i presenti atti di appello, con i quali contestava le decisioni del primo Giudice e riproponeva le proprie eccezioni ed argomentazioni difensive in rito e di merito, dolendosi del fatto che fossero state disattese.

Resistevano alle impugnative dell’Amministrazione i ricorrenti di primo cure, depositando memorie di costituzione con le quali controdeducevano alle argomentazioni del Comune e chiedevano il rigetto degli appelli, con la conseguente conferma delle sentenze del Tribunale.

Le domande cautelari proposte dal Comune appellante venivano respinte.

Alla pubblica udienza del 15 novembre 2011 i gravami sono stati trattenuti in decisione.

La Sezione rileva preliminarmente l’opportunità di disporre la riunione degli appelli in esame, stante la loro stretta connessione oggettiva e l’identità delle parti in causa, allo scopo di definirli attraverso un’unica decisione.

Gli appelli sono infondati.

1 Correttamente il primo Giudice ha annullato la deliberazione comunale n. 7/2001 di adozione della variante del P.I.P..

1a Tale provvedimento, come il T.A.R. ha posto in giusta evidenza, recava l’approvazione del progetto delle opere relative all’ampliamento del P.I.P. e la contestuale dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza del medesimo intervento, con annesso piano particellare descrittivo dell’esproprio, fissando in pari tempo i termini iniziali e finali dei lavori e delle espropriazioni. La delibera almeno sotto questo profilo non poteva, pertanto, essere considerata quale semplice atto endo-procedimentale, ma veniva in rilievo, alla stregua di una giurisprudenza ampiamente consolidata, come un provvedimento immediatamente lesivo e quindi direttamente ed autonomamente impugnabile. Conclusione che non viene scalfita dal rilievo dell’appellante per cui, stando alle norme vigenti, soltanto con l’approvazione il piano avrebbe potuto acquisire valore di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza: il rilievo non vale, infatti, in alcun modo ad elidere la lesività della dichiarazione di p.u. che in concreto è stata anticipata rispetto alle previsioni del modello legale, ma semmai ne evidenzierebbe un aspetto di illegittimità.

1b La stessa valenza di dichiarazione di p.u. della delibera n. 7/2001 ha poi giustamente indotto il T.A.R. a censurare tale provvedimento sotto il profilo della mancata osservanza delle garanzie procedimentali di contraddittorio dalle quali la legge esige che la detta dichiarazione sia preceduta, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 15 settembre 1999 (tra le tante cfr. C.d.S., VI, 25 marzo 2004, n. 1617;
IV, 9 dicembre 2010, n. 8688;
18 marzo 2010, n. 1616);
e senza che l’appellante si sia qui doluto che un simile vizio avrebbe potuto generare una invalidità, in ipotesi, solo parziale, e non integrale, della delibera.

1c Altra ineccepibile ed ancor più pregnante ragione di annullamento della delibera n. 7/2001 è stata rinvenuta dal T.A.R. in ciò, che il P.I.P. presupposto dalla variante adottata era al tempo, in realtà, già decaduto, per la scadenza del termine di durata decennale che l’art. 27 della legge n. 865/1971 assegna a tale strumento.

Queste le condivisibili osservazioni rese sul punto dal Giudice locale.

L’individuazione delle aree di proprietà dei ricorrenti effettuata dall’impugnata delibera è avvenuta al di fuori della procedura delineata dall’art. 27 della legge n. 865/1971.

In virtù della richiamata disposizione normativa, come è noto, le aree da ricomprendere nel piano da destinare ad insediamenti produttivi sono delimitate, in base alla previsione dello strumento urbanistico generale, con deliberazione del consiglio comunale, la quale, previa pubblicazione, insieme agli elaborati, è approvata con decreto del presidente della giunta regionale. Il piano approvato ha poi efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione.

Come chiarito dalla giurisprudenza formatasi sul punto, il Piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) previsto dall’art. 27 della legge n. 865/71 è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione (cfr. C.d.S., Sez. V, 5 luglio 1995, n. 539): come tale, trascorsi i dieci anni, l’Amministrazione non può disporre alcuna proroga dello stesso, potendo invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata (cfr. C.d.S., Sez. IV, 2 marzo 1995, n. 128).

Orbene, nella fattispecie in esame, per pacifica ammissione di entrambe le parti in causa, il Comune di Calvi risulta aver adottato un PIP con la delibera 1/12/1983, n. 78 ed un PRG con la delibera 22/11/2000, n. 58.

Il PIP in questione (peraltro adottato ai sensi della legge n. 219/1981) è quindi divenuto inefficace, essendo decorsi oltre dieci anni dalla data della sua adozione.

Nè potrebbe valere, agli stessi fini (come sostenuto dalla difesa del Comune), la scelta pianificatoria che sarebbe stata effettuata in sede di adozione del PRG.

Sono infatti, completamente diversi i livelli di intervento e le finalità dei due strumenti urbanistici, l’uno di carattere generale e sovraordinato, l’altro avente invece (come più sopra esposto) natura di piano particolareggiato di esecuzione, con valore di dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste.

L’amministrazione, pertanto, scaduto l’originario Piano del 1983, avrebbe soltanto potuto valutare l’opportunità di predisporne uno nuovo, esperendo ab initio tutte le relative attività procedimentali previste dalla legge (cfr. C.d.S., Sez. IV, 2 marzo 1995, n. 128).

Il non averlo fatto, rende irrimediabilmente viziata la delibera impugnata.”

A fronte di siffatto giudizio l’appellante fa notare che il dies a quo del prescritto decennio di durata dell’efficacia del P.I.P. è ancorato dalla legge al decreto di approvazione dello stesso piano, laddove il Tribunale avrebbe invece desunto l’intervenuta scadenza dello strumento dal divario temporale che separava il provvedimento n. 7/2001 dalla data in cui il P.I.P. del 1983 era stato semplicemente adottato (1°/12/1983).

Al di là di questa pur corretta precisazione, tuttavia, incombeva sullo stesso Comune appellante documentare il fatto che il decreto di approvazione del P.I.P. adottato nel 1983 fosse intervenuto a tale singolare distanza di tempo dalla delibera di adozione dello stesso piano da far sì che questo potesse essere reputato ancora efficace allorché fu assunta l’impugnata delibera n. 7 del 7/2/2001. In assenza di una simile dimostrazione (in ipotesi, quanto mai agevole), alla Sezione non resta, dunque, che confermare il punto che la variante è stata assunta quando il piano che ne formava oggetto era già scaduto.

La difesa comunale con il proprio appello obietta, inoltre, che con la delibera n. 7/2001 l’Ente avrebbe in sostanza adottato non una semplice variante, bensì un P.I.P. del tutto nuovo, soggiungendo che la distinzione tra l’una e l’altra ipotesi non rivestirebbe alcun valore concreto una volta che nello specifico risultino rispettati i requisiti previsti per la formazione di un nuovo P.I.P..

Questa obiezione, al cui sostegno non vengono forniti particolari elementi, non può però essere accolta.

Gli elementi testuali emergenti dalla lettura degli atti di causa denotano univocamente come il Comune abbia agito sul presupposto della permanente vigenza del -pur risalente- P.I.P., e nella limitata prospettiva di operarne una variante.

D’altra parte, la giurisprudenza (C.d.S., IV, 22 gennaio 2007, n. 144) insegna che quando vi sia l'approvazione di un secondo piano per gli investimenti produttivi, a seguito della perdita di efficacia di quello precedente per il decorso del termine fissato dalla legge, si impone un’integrale riedizione delle valutazioni occorrenti ai fini dell’originaria adozione del piano, e pertanto una valutazione del tutto nuova circa la scelta pianificatoria attuativa rimasta (in tutto o in parte) irrealizzata.

In tal caso si deve perciò nuovamente verificare se sussista un « interesse generale, che trascenda l'interesse privato dell'assegnatario », e questo « di volta in volta mediante accertamenti di fatto e valutazioni che debbono trovare compiuta espressione nella motivazione »;
e tale accertamento deve riguardare i possibili incentivi « alla iniziativa economica, l'aumento della produttività, la creazione di nuovi posti di lavoro » (così IV, 5 luglio 1995, n. 539). Occorre quindi una motivata valutazione delle esigenze del mercato e degli interessi da soddisfare, con riferimento al momento in cui sono reiterati il vincolo preordinato all'esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità (IV, n. 144/2007).

Né potrebbe essere invocata in senso contrario la normativa acceleratoria dettata dall'art. 34 del d.lgs. n. 76 del 1990 per il caso di decadenza di efficacia del piano per gli investimenti produttivi, poiché tale normativa, come la stessa giurisprudenza citata ha chiarito, ha consentito la semplificazione del procedimento, senza però incidere sul principio per il quale i medesimi atti devono basarsi su una rinnovata istruttoria e sulla motivazione delle relative risultanze.

Richiamati questi principi, si può osservare che i provvedimenti assunti dal Comune di Calvi, oltre a presentarsi testualmente come atti di variante del P.I.P., e non già come adozione di un piano a sé stante e del tutto nuovo, sono coerenti nei loro contenuti sostanziali con la qualificazione formale che li contrassegna. Essi non soddisferebbero, infatti, i complessi requisiti di istruttoria e motivazione che sono stati appena esposti, con particolare riferimento alla necessità di una puntuale istruttoria sul fabbisogno, che tenga preliminarmente preciso conto dei lotti residui ancora disponibili, e di una correlativa verifica circa l’esistenza e l’estensione dell’ « interesse generale, che trascenda l'interesse privato dell'assegnatario », in quanto presentano una motivazione incentrata invece essenzialmente sull’utilità dell’ampliamento (dell’area del P.I.P.) in quanto tale.

1d I vizi che in aderenza all’esame del primo Giudice sono stati sopra riscontrati sono ampiamente sufficienti a confermare l’ineludibile annullamento della delibera n. 7/2001, potendo pertanto rimanere assorbite le rimanenti deduzioni di parte sul contenuto residuo delle pronunce sub judice .

2 Dall’annullamento della delibera di adozione della variante il Tribunale ha ragionevolmente poi desunto la conseguenza dell’automatica caducazione della successiva delibera n. 23/2001, con la quale il Comune si era espresso sulle osservazioni pervenute in riferimento alla variante appena adottata.

Sembra del resto chiaro come, venendo meno l’adozione della variante, gli atti successivi dello stesso procedimento (a maggior ragione ove meramente serventi rispetto all’ulteriore corso della procedura, come la difesa comunale ha eccepito per la delibera n. 23) non possano sopravvivere a tale annullamento, per avere perduto in dipendenza di esso il loro unico fondamento ed oggetto. E questa constatazione del venir meno della delibera a valle si impone con precedenza anche logica, oltre che pratica, sui dubbi di inammissibilità che erano stati opposti dalla difesa comunale avverso lo stesso ricorso di prime cure e sono stati ripresi anche in questa sede, occorrendo appena ricordare, infine, in ultima analisi, come l’ordine di esame delle questioni di rito poste da una controversia conosca margini rimessi al prudente apprezzamento del Giudice, senza il vincolo di insuperabili schematismi astratti non codificati dal diritto positivo.

Ne consegue la conferma della declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del secondo dei ricorsi proposti nel precedente grado di giudizio.

3 La stessa conclusione vale anche per il terzo ed ultimo ricorso di prime cure, esperito avverso la delibera n. 48 del 19/10/2001, recante “dichiarazione di pubblica utilità L. n. 1/78 per attuazione del progetto: Asse Viario tratto A, infrastrutture area PIP”, nonché contro il decreto prot. n. 6519 del 26/11/2001 dello stesso Comune, che disponeva l’occupazione di urgenza per i “lavori di infrastrutture area PIP”.

L’appellante non contesta, infatti, che tali provvedimenti rinvenissero il loro unico presupposto nella sottostante variante in ampliamento del P.I.P.. Ché, anzi, il terzo degli appelli in esame, pur per un probabile errore di fascicolazione, non veicola specifiche doglianze proprie, ma si rivela di contenuto pressoché identico al precedente.

Non merita censura neppure la condanna alle spese che il primo Giudice ha pronunciato a carico dell’Amministrazione nel dichiarare l’improcedibilità del secondo e terzo ricorso, statuizione che in questa sede di appello il Comune avversa sul rilievo della mancata applicazione del criterio della soccombenza virtuale.

La giurisprudenza effettivamente riconosce che nelle sentenze di improcedibilità del ricorso la pronuncia sul carico delle spese debba essere adottata soprattutto sulla base del principio della soccombenza virtuale, cioè determinando, sia pure sommariamente e senza motivazione sul punto, chi in origine poteva avere ragione (C.d.S., VI, 25 giugno 2002, n. 3467). Sicché il venir meno dell'interesse al ricorso non preclude una sommaria delibazione nel merito della pretesa azionata, al limitato fine, appunto, della pronuncia sulle spese (IV, 21 gennaio 1987, n. 35;
V. n. 6662 del 15.12.2000;
VI, n. 3467 del 25.6.2002).

Ciò posto, il fatto è, però, che la ragione delle predette due declaratorie di improcedibilità riposa, come si è detto, sull’accertamento dell’avvenuta caducazione automatica degli atti oggetto del secondo e terzo ricorso, in dipendenza dell’accoglimento di motivi di gravame che, giova sottolinearlo, erano stati dedotti non solo con la prima, ma anche con le due successive impugnative degli originari ricorrenti. Sicché il criterio della soccombenza virtuale, lungi dallo smentire il regolamento delle spese operato dal Tribunale, ne conferma la correttezza.

4 In conclusione, gli appelli in epigrafe devono essere respinti.

Le spese processuali sono liquidate secondo soccombenza dal seguente dispositivo.

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