Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-02-13, n. 202001143

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-02-13, n. 202001143
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001143
Data del deposito : 13 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/02/2020

N. 01143/2020REG.PROV.COLL.

N. 10036/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10036 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Milano, via Fontana n. 18;

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma ovvero dichiarazione di nullità

previa sospensione

della sentenza del TAR Emilia Romagna, sede di Bologna, sezione I, 17 aprile 2018 n.-OMISSIS-, che ha respinto il ricorso n. -OMISSIS-R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Ministero della difesa:

a) del decreto 23 settembre 2015 n.4055, notificato il giorno 31 maggio 2016, con il quale il Dirigente della Direzione generale per il personale militare, II reparto V divisione ha disposto la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo assoluto del m.llo -OMISSIS- per superamento del periodo massimo di aspettativa previsto;

b) del provvedimento 4 settembre 2013 n.1572 con il quale il Comandante del 15° Stormo dell’Aeronautica militare di Cervia (Ra) ha collocato il predetto militare in aspettativa per infermità non dipendente da causa di servizio per il periodo di giorni 144 dal 21 novembre 2011 al 12 aprile 2012 e di giorni 192 dal 31 luglio 2012 al 7 febbraio 2013 per un totale di 336 giorni nel quinquennio;

c) del verbale 11 aprile 2014 mod. BL/S n. ACMOII emesso dalla Commissione medica presso il Dipartimento militare di medicina legale di Padova;

e di tutti gli atti ulteriori, prodromici, presupposti, conseguenti e susseguenti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte intimata l’avvocato dello Stato Daniela Canzoneri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente appellante, già maresciallo dell’Aeronautica militare, impugna il provvedimento 23 settembre 2015 meglio indicato in epigrafe, che ha disposto nei suoi confronti la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo assoluto per superamento del periodo massimo di aspettativa previsto.

Il provvedimento impugnato, in ordine logico, motiva nei termini di cui subito.

In primo luogo, esso dà atto di due precedenti decreti di identico contenuto, che avevano disposto quindi la cessazione dal servizio e il collocamento in congedo, ovvero dei decreti 20 maggio 2014 n.1346 e 22 settembre 2014 n.3074.

Relativamente a tali decreti, dà poi atto della loro sopravvenuta inefficacia, per superamento dei termini di cui all’art. 10 comma 2 del d. lgs. 30 giugno 2011 n.123.

Si ricorda solo per completezza che tale norma attiene ai controlli preventivi di regolarità amministrativa e contabile degli atti dai quali derivano effetti finanziari sul bilancio dello Stato: se l’organo di controllo, ai sensi dell’art. 8 del d. lgs. 123/2011, formula un’osservazione sull’atto e il dirigente responsabile non controdeduce in alcun modo, l’art. 10 comma 2 dispone che “il provvedimento oggetto di rilievo non acquista efficacia, è improduttivo di effetti contabili e viene restituito, non vistato, all'amministrazione emittente”.

Nel caso di specie, rimasti inefficaci i due decreti di cui si è detto, il provvedimento impugnato dà atto della necessità di determinarsi ulteriormente, e procede al computo dei giorni di aspettativa fruiti dall’interessato.

Sul punto, considera anzitutto che l’interessato avrebbe fruito “dei periodi di licenza previsti dalla vigente normativa”.

Considera poi che con l’atto 4 settembre 2013 n.1572 pure indicato in epigrafe l’interessato è stato collocato in aspettativa per infermità per un totale di 336 giorni, ovvero precisamente per infermità non dipendente da causa di servizio per il periodo di giorni 144 dal 21 novembre 2011 al 12 aprile 2012 e di giorni 192 dal 31 luglio 2012 al 7 febbraio 2013, giungendosi così all’indicato totale di 336 giorni nel quinquennio.

Considera ancora il verbale della Commissione medica 11 aprile 2014, di cui pure in epigrafe, che ha dichiarato l’interessato non idoneo al servizio per ulteriori 30 giorni.

Ciò posto, considera ulteriormente l’assenza dell’interessato dal servizio per ulteriori complessivi 395 giorni dal 29 marzo 2013 al 27 aprile 2014, procede per tale periodo al collocamento in aspettativa per infermità allo stato da ritenere non dipendente da causa di servizio, e quindi, ritenuto per implicito che in tal modo è superato il periodo massimo di aspettativa concedibile nel quinquennio, trattandosi di 731 giorni su 730 consentiti, procede a collocare l’interessato stesso in congedo assoluto (per tutto ciò, doc. ti 1-3 in I grado ricorrente appellante, decreto di collocamento in congedo, decreto di collocamento in aspettativa e verbale commissione medica).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’interessato contro tale esito, espresso a suo avviso da tutti gli atti di cui in epigrafe, indicati come impugnati.

In motivazione, ha respinto in via preliminare l’eccezione di bis in idem proposta dall’amministrazione, secondo la quale gli atti qui impugnati lo sarebbero stati con un precedente ricorso. Il TAR ha infatti chiarito che la precedente impugnazione si riferiva a due ricorsi -precisamente i nn.879/2014 e 420/2015 R.G.- rivolti contro il precedente decreto 1346/2014, che peraltro secondo la sentenza sarebbe stato annullato in autotutela dall’amministrazione prima che ciò facesse il TAR adito, con sentenza 6 aprile 2016 n.389.

Il TAR ha poi respinto il ricorso nel merito, ritenendo correttamente calcolato il superamento del periodo di comporto, e correttamente disposto il collocamento in congedo per il solo fatto che tale periodo fosse stato superato, senza in particolare che fosse richiesta una visita medica volta ad accertare la non idoneità permanente al servizio;
ha infine ritenuto che l’interessato avesse presentato fuori dai termini la domanda per transitare nei ruoli dell’amministrazione civile, e che quindi l’amministrazione legittimamente non ne avesse tenuto conto.

Il ricorrente ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che consta di un atto di 72 pagine così strutturato: nelle pagine da 1 a 4, sono contenute l’intestazione, una sintesi dell’appello stesso e una premessa in fatto;
nelle pagine da 5 a 27 prime sette righe, con l’intestazione “motivi di appello” è contenuta un’unica complessa censura alla sentenza di I grado, alla quale, come si vedrà, corrispondono i seguenti cinque motivi di appello;
nelle pagine da 27 ottavo rigo a 69 diciassettesimo rigo, con l’intestazione “effetto devolutivo dell’appello”, sono dichiaratamente ritrascritti “senza alcuna modifica” (cfr. p. 27 dodicesimo rigo) i motivi dedotti in I grado, seguono le istanze istruttoria e cautelare e le conclusioni.

Ciò premesso, i motivi di appello così come si desumono dalla corrispondente sezione dell’atto sono i seguenti:

- con il primo di essi, corrispondente alle pagine da 6 a 8 seconda riga della censura, critica la sentenza impugnata per avere respinto l’eccezione di bis in idem in base ad una motivazione a suo dire errata. Sostiene infatti che la sentenza TAR Emilia Romagna Bologna 389/2016 di cui si è detto non avrebbe annullato il precedente decreto da lui impugnato, ma avrebbe respinto il ricorso, e che i decreti 1346/2014 e 3074/2014 di cui si è detto sarebbero invece stati annullati d’ufficio dall’amministrazione;

- con il secondo motivo, corrispondente alle pagine da 8 terzo rigo a 15 ottavo rigo della censura e ripreso nella parte finale, alla p. 27 prime sette righe in relazione all’ottavo motivo di I grado ricopiato, deduce violazione degli artt. 905, 912 e 929 del d.lgs. 15 marzo 2010 n.66. Sostiene in sintesi che l’amministrazione non gli avrebbe in realtà fatto fruire tutti i giorni di licenza spettanti prima di collocarlo in aspettativa, così come previsto dalle norme citate, e che quindi per tal ragione il periodo massimo di aspettativa non si potrebbe dire superato, dovendosi parte dell’assenza imputare ai giorni di licenza dovuti. Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto invece corretto sul punto il giudizio dell’amministrazione, e ciò per due ragioni: in primo luogo, perché per attestare che le licenze erano state fruite il Giudice di I grado si sarebbe servito, a suo avviso illegittimamente, di materiale probatorio acquisito in un diverso giudizio, quello definito con la sentenza 389/2016 sopra citata, in secondo luogo perché la monetizzazione delle licenze, che secondo il Giudice di I grado sarebbe avvenuta, sarebbe prova del fatto che esse non sono state fruite;

- con il terzo motivo, corrispondente alle pagine da 15 nono rigo a 18 settimo rigo dal basso, e ripreso alle pp. 22-26 della censura, deduce violazione dell’art. 929 del medesimo d.lgs. 66/2010, per averlo l’amministrazione collocato in congedo automaticamente, per il solo fatto del superamento dell’aspettativa massima, senza sottoporlo a visita per accertare la sua inidoneità permanente al servizio, e critica la sentenza impugnata per avere diversamente deciso;

- con il quarto motivo, corrispondente alle pagine da 18 ottavo rigo dal basso a 19 della censura, deduce violazione dell’art. 930 del d. lgs. 66/2010, nel senso che l’amministrazione avrebbe dovuto prendere in considerazione la sua domanda di transito nei ruoli dell’amministrazione civile, e critica la sentenza impugnata per averlo escluso;

- con il quinto motivo, corrispondente infine alle pagine da 19 a 22 prime sei righe della censura, deduce infine violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n.241, nel senso che a suo dire gli atti che dispongono il collocamento in aspettativa andrebbero redatti in contraddittorio con le parti.

L’amministrazione ha resistito, con atto 7 gennaio 2019, in cui chiede che l’appello sia respinto.

Con ordinanza 14 gennaio 2019 n.9, la Sezione ha accolto la domanda cautelare ai fini di una sollecita fissazione dell’udienza di merito.

Con memoria 6 gennaio 2020, il ricorrente appellante ha ribadito le proprie asserite ragioni.

All’udienza del 6 febbraio 2020, fissata a seguito dell’ordinanza predetta, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato, ai sensi e nei limiti che seguono.

2. Preliminarmente, va chiarito che oggetto di cognizione da parte di questo Giudice di appello sono esclusivamente i motivi esposti in narrativa, così come si sono esposti in premessa. Solo

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