Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-29, n. 202206709
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Testo completo
Pubblicato il 29/07/2022
N. 06709/2022REG.PROV.COLL.
N. 05103/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5103 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati B R, R R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio;
Questura Arezzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Questura Arezzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2022 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 6 giugno 2019 il Questore di Arezzo ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo presentata dal cittadino nigeriano -OMISSIS-.
Il provvedimento è stato emesso sul rilievo dell’esistenza, a carico dell’appellante, di diverse condanne penali, in particolare talune per reati in materia di stupefacenti, della ritenuta pericolosità sociale anche in ragione delle abituali frequentazioni di soggetti dediti alla commissione di gravi reati, nonché della insufficienza dei redditi da lavoro autonomo.
2. Avverso il diniego il cittadino straniero ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. Toscana, deducendo la violazione degli artt. 3, 4 comma 3, 5 e 6 d.lgs. n. 286/1998, avendo il Questore basato il proprio rifiuto sull'automatismo tra la condanna penale – non definitiva – e il rigetto del titolo di soggiorno, nonché la mancata considerazione dell’interesse all’unità familiare.
3. Con sentenza n. -OMISSIS-, la Sezione Seconda del T.A.R. Toscana ha respinto il ricorso ritenendo che il provvedimento questorile sia legittimamente fondato sul richiamo alle gravi condanne penali riportate dal ricorrente, ancorché non passate in giudicato, le quali non sono state nella fattispecie considerate automaticamente ostative al rinnovo del titolo, avendo, di contro, la Questura svolto un giudizio di pericolosità dell’odierno appellato alla luce della sua complessiva condotta di vita, dando adeguatamente conto delle ragioni ostative alla concessione del chiesto titolo.
Ha ritenuto, altresì, il primo giudice che l’autorità abbia tenuto conto, nella circostanza, dell’interesse all’unità familiare, risultando il cittadino straniero separato dalla moglie, con cui convivono le figlie e alle quali quest’ultima provvede in via esclusiva.
4. Con appello notificato l’1 giugno 2020 e depositato il 27 giugno 2020, il signor -OMISSIS- ha impugnato la sentenza in epigrafe, riproducendo sostanzialmente le censure proposte in primo grado in un unico motivo di appello e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
5. Si è costituita in giudizio la Questura di Arezzo per resistere alla domanda.
6. Con ordinanza n. -OMISSIS-, è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
7. All’ udienza pubblica del 16 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e ciò consente di prescindere dal valutare la sua ammissibilità.
Viene in rilievo in tale ambito il combinato disposto di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286/1998.
L’art. 4, comma 3, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera b) l. 30 luglio 2002, n. 189 stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: “... che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (...) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380 commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti (...)”;l’art. 5, comma 5 dello stesso decreto prevede che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.
La giurisprudenza della Sezione (cfr. 26 giugno 2015, n. 3210) è consolidata nel giudicare legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per la pregressa condanna per reati ostativi – qual è quella che ha raggiunto l’appellante – e la norma del T.U. sull’immigrazione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale in quanto la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore: ne consegue che nelle ipotesi tipizzate non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero.
Solo se sussistono vincoli familiari il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998. Invero, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte cost. n. 202 del 2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Applicando tali coordinate ermeneutiche nel caso all’esame, risulta dirimente la circostanza che il signor -OMISSIS- sia stato condannato per il reato di cui all’art. 73, d.p.r. n. 309/1990, che rientra tra i “reati inerenti gli stupefacenti”, ostativi all’ammissione di uno straniero in Italia e alla regolarizzazione della sua posizione.
Trattandosi di una condanna ostativa alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 4, comma 3, del T.U. immigrazione non occorre effettuare alcuna valutazione ulteriore rispetto alla pericolosità sociale dello straniero, avendo il legislatore già operato in via preliminare una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale.
Ciò posto, al Questore non residuava che effettuare la valutazione comparativa di cui al citato art. 5, comma 5, ultimo periodo, imposta dalla presenza di legami familiari (moglie e due figlie minorenni);valutazione correttamente eseguita dalla Questura, che ne ha dato atto nel provvedimento rilevando di aver verificato “che i figli minori vivono con la madre - dalla quale l’appellante risulta separato - la quale svolge un’attività lavorativa autonoma il cui reddito è pienamente sufficiente al mantenimento suo e dei 2 figli” e di aver “tenuto conto della natura ed effettività dei legami familiari”, facendo dunque applicazione dei dettami elaborati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 202 del 2013, nonché quelli elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Diversamente da quanto affermato dall’appellante, infatti, l’amministrazione non ha fatto applicazione di alcun automatismo in sede di valutazione della domanda. In tal senso, è sufficiente richiamare le considerazioni già espresse dalla Sezione (4 maggio 2018, n. 2654), secondo cui “tutte le volte che l’amministrazione, pur dando atto dell’esistenza di vincoli familiari, si limiti a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati e la loro reiterazione, senza spiegare perché gli interessi familiari siano subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato, [questo non significa che] sia per ciò solo inadempiente all’obbligo di motivazione scaturente dall’ art. 5, comma 5 del d.lgs. 286/99 e dall’art. 3 della legge 241/90. Occorre invece esaminare in concreto, anche al fine di evitare annullamenti meramente formali. Esistono reati già considerati dal legislatore ai fini dell’ingresso e della permanenza sul territorio italiano, particolarmente gravi in sé, da imporre l’allontanamento a prescindere dal quantum di pena, finanche nelle more dell’accertamento giudiziario definitivo: in primis lo spaccio di stupefacenti di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990. […]Tali concorrenti elementi, complessivamente considerati, oggettivamente precludono qualsiasi concreto e serio bilanciamento con gli interessi familiari del reo, che non si traduca in mere e vacue formule motivazionali di stile, in cui la sostanza, dietro le parole e i sillogismi adoperabili, è che esiste una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l’id quod plerumque accidit, oltre la quale il comportamento criminale diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità, in guisa da rendere, in concreto, vincolato il diniego di permanenza.
Del resto la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento - ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno - offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31 comma 3 del TU immigrazione, infatti “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.
Tanto basta per ritenere il provvedimento questorile pienamente legittimo e supportato da sufficiente motivazione, ancor più se si considera che il rigetto è stato argomentato anche in virtù di ulteriori condanne del richiedente per reati diversi (quelli di cui agli artt. 477, 482 c.p. e 116, comma 13, d.lgs. n. 285/1992 e violazione di cui all’art. 114, comma 3, d.lgs. n. 285/1992), della sottoposizione ad altro procedimento penale in materia di stupefacenti, dell’abituale frequentazione di persone dedite alla commissione di gravi reati, che ha pure condotto all’irrogazione nei suoi confronti di un avviso orale, nonché dell’insufficienza del requisito reddituale, in ordine al quale non deduce alcunché. Inoltre, l’odierno appellante, a fronte degli accertamenti della Questura che ne rilevano la separazione di fatto con la moglie e la convivenza con altra donna, si limita a negare la circostanza, non allegando alcun elemento a sostegno.
3. Per tutte le ragioni sopra esposte l’appello deve, dunque, essere respinto.
La mancanza di difese scritte da parte della Questura di Arezzo, costituita in giudizio, giustifica la compensazione delle spese degli onorari del giudizio. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Interno, non costituito in giudizio.