Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-18, n. 201202286

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-18, n. 201202286
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202286
Data del deposito : 18 aprile 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05959/2010 REG.RIC.

N. 02286/2012REG.PROV.COLL.

N. 05959/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5959 del 2010, proposto da:
Comune di Roccadaspide, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. L L, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;

contro

M S, rappresentato e difeso dagli avv. V B, P L, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia N. 88;
Opsa Costruzioni Sas di Sacco Alfredo &
C.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sezione Staccata di SALERNO- SEZIONE II n. 08161/2010, resa tra le parti, concernente ESPROPRIO PER LA COSTRUZIONE DI SALA POLIFUNZIONALE A MEZZO PERMUTA DI BENI IMMOBILIARI IN VARIANTE AL PRG.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di M S;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato L L e l’ Avvocato Corinna Fedeli in sostituzione di V B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il 6 agosto 2008, l’ odierno appellato M S nella qualità di comproprietario di un terreno sito in Roccadaspide, individuato al foglio 52, part. 1026, 1030, 1032, 1065 aveva gravato le deliberazioni del Consiglio Comunale di Roccadaspide n. 62 del 28-11-2007, n. 19 del 24-2-2007 e n. 26 del 20-6-2007 (ed ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale tra cui, in particolare, il decreto di esproprio prot. n. 7618 del 27 giugno 2008) relativi ad una procedura espropriativa finalizzata alla “costruzione di sala polifunzionale a mezzo permuta di beni immobiliari in variante al PRG con intervento a totale carico dei privati”, deducendone l’illegittimità per violazione di legge (artt. 11, 15, 16, 23 e 24 del dpr n. 327/2001, dell’art. 7 della legge n. 241/1990, dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865) ed eccesso di potere.

A seguito di istanza di trasposizione proposta dall’amministrazione comunale odierna appellante il ricorso veniva incardinato innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sezione Staccata di Salerno- che lo ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte fondato.

Il Tribunale amministrativo regionale ha in primo luogo perimetrato la materia del contendere ed ha respinto la eccezione di inammissibilità del gravame per tardività fondata sulla circostanza che l’odierno appellato aveva già avuto conoscenza degli atti impugnati con la comunicazione di avviso di avvio del procedimento prot. n. 7308 del 7 marzo 2008.

Ciò a cagione della circostanza che la detta nota n. 7308 del 7 marzo 2008 era estremamente generica e non dava conto alcuno dei provvedimenti concretamente adottati dall’ente né della avvenuta approvazione del progetto definitivo (e dunque, della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera) limitandosi a comunicare la mera “redazione” della progettazione dei lavori.

Soltanto nella successiva comunicazione prot. 4680 del 16 marzo 2008 era contenuta la indicazione della delibera di C.C. n. 62 del 28 novembre 2007: con riferimento a tale ultimo atto, era certo, ad avviso del Tribunale amministrativo, il rispetto dei 120 giorni previsti dalla legge per la proposizione del ricorso straordinario.

Del pari il primo giudice ha disatteso l’eccezione di carenza di interesse (fondata sulla circostanza che le aree interessate, in quanto parte di una lottizzazione convenzionata, avrebbero dovuto già essere oggetto di cessione gratuita al Comune): ciò perché nella convenzione di lottizzazione (art. 3) si rinveniva l’impegno dei privati a cedere e trasferire le aree al Comune, ma non risultava che tale trasferimento fosse mai avvenuto.

Ne conseguiva che doveva ritenersi che le dette aree fossero di proprietà privata, ed il privato doveva ritenersi titolare di un interesse giuridicamente rilevante alla corretta spendita del potere ablatorio in concreto esercitato ( elemento, questo, diverso dal rapporto obbligatorio instaurato per effetto della convenzione di lottizzazione).

Il primo giudice ha invece accolto l’eccezione di inammissibilità relativa alla mancata impugnativa degli atti posti in essere dalla Provincia di Salerno di approvazione della variante urbanistica e relativa alla mancata notificazione del ricorso alla Provincia medesima.

Ha in proposito evidenziato che i suoli interessati dall’intervento -come emergeva dalle delibere impugnate, -avevano originaria destinazione “in parte ad opere di urbanizzazione, in parte quale area residua di zona C, in parte area scoperta dell’IACP ed in parte area residua di zona C1” e con la variante semplificata ex art. 19 dpr n. 327/2001 avevano assunto la nuova destinazione urbanistica di zona G, cioè “zona per attrezzature pubbliche e residenze”.

La variante, nella sua formulazione definitiva, risultava essere stata adottata dal Comune con la delibera di C.C. n. 26 del 20-6-2007.

La stessa era stata approvata dalla Giunta Provinciale con delibera n. 367 del 5-9-2007, cui aveva fatto seguito il decreto del Presidente della Provincia n. 47 del 3-10-2007.

Infine, con la delibera di C.C. n. 62 del 28-11-2007 il Consiglio Comunale di Roccadaspide, conformemente alla prescrizione del comma 4 dell’art. 19 del dpr n. 327/2001, ne aveva disposto l’efficacia.

L’appellato aveva gravato unicamente la deliberazione di C.C. n. 62/2007 (di attribuzione dell’efficacia) e n. 26 del 20-6-2007 (di adozione), mentre non vi era stata espressa impugnativa dei provvedimenti di approvazione emanati dalla Provincia di Salerno.

Secondo il primo giudice, in considerazione della natura di atto complesso del piano urbanistico (e della sua variante) e della circostanza che al momento della impugnazione il procedimento di variante si era già concluso in tutta la sua completa articolazione non era possibile affermare la autonoma impugnabilità della sola adozione e la non necessità della impugnazione della successiva approvazione. (tesi, questa, fondata sull’effetto caducante dell’annullamento dell’adozione).

In ogni caso, anche a volere ritenere sufficiente la sola impugnativa della delibera comunale n. 62/2007 che aveva concluso il procedimento, ravvisandosi comunque il carattere complesso dell’atto di pianificazione urbanistica - e la riconducibilità degli effetti giuridici prodotti alla volontà non solo del Comune ma anche della Provincia - il ricorso doveva essere comunque notificato anche a quest’ente ( adempimento che nella specie non era stato osservato).

Il primo giudice ha poi precisato l’ambito di operatività della ritenuta inammissibilità, in relazione alla articolazione del procedimento espropriativo ed alla pluralità di fasi dalle quali esso era costituito, pervenendo alla conclusione che il procedimento di variante semplificata fosse funzionale all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

Doveva in particolare ritenersi che “l’approvazione del progetto” prevista dall’articolo 19 del dPR 8 giugno 2001, n. 327 ed il suo peculiare procedimento fossero funzionali alla sola fase di apposizione del vincolo espropriativo (apposto con l’atto, ordinario o semplificato, di pianificazione urbanistica): la detta norma, pertanto, limitando i suoi effetti alla sola imposizione del vincolo, non trovava applicazione ai fini della fase di dichiarazione della pubblica utilità, la quale restava regolata dalla disciplina ordinaria che ad essa si riferiva (art. 12 del dPR 8 giugno 2001, n. 327 : “la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta ….quando l’autorità espropriante approva a tal fine il progetto definitivo dell’ opera pubblica o di pubblica utilità…”.).

Da tale ricostruzione doveva discendere la conseguenza che ai fini dell’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio, era necessaria l’approvazione del progetto (che costituiva adozione di variante) seguita dalla approvazione regionale o subregionale, anche per silentium (che concludeva la fase costitutiva del procedimento), mentre, ai fini del perfezionamento della dichiarazione di pubblica utilità, era sufficiente la sola approvazione del progetto definitivo da parte dell’autorità espropriante.

Traslando tali coordinate al caso concreto, se ne è fatto conseguire che il Comune con la richiamata delibera di C.C. n. 26/2007 di approvazione del progetto definitivo dell’opera, aveva adottato la variante al PRG ed aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera. Il detto provvedimento, formalmente unico, era scindibile quindi in autonomi contenuti provvedimentali.

Mentre l’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio richiedeva per il suo perfezionamento la successiva determinazione regionale approvativa della variante, che perfezionava l’atto complesso ( con la conseguenza che la delibera comunale non perfezionava la fattispecie ed era necessaria, dopo il suo completamento, ai fini della tutela giurisdizionale, l’impugnativa di tutti gli atti che la costituivano e comunque la notificazione del ricorso anche all’autorità competente all’approvazione), la dichiarazione di pubblica utilità ( che doveva considerarsi provvedimento diverso ed autonomo rispetto all’atto impositivo del vincolo) si perfezionava con la sola approvazione del progetto definitivo da parte dell’autorità espropriante.

Ne conseguiva che l’ impugnazione di tale segmento provvedimentale era pertanto ammissibile senza dover gravare anche gli atti della Provincia (che si riferivano alla variante ed all’approvazione del vincolo) e senza dover notificare il ricorso a quest’ultimo ente.

Né la riscontrata inammissibilità del ricorso contro la determinazione impositiva del vincolo preordinato all’esproprio, rendeva inammissibile il gravame avverso l’atto dichiarativo della pubblica utilità.

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 12 del dPR 8 giugno 2001, n. 327 l’esistenza del vincolo incideva sulla sola efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e non anche sulla sua esistenza e legittimità, ben potendosi verificare che quest’ultima si fosse perfezionata come fattispecie provvedimentale prima che il vincolo fosse stato apposto, essendo necessaria l’apposizione di esso solo ai fini della sua efficacia.

Da ciò il Tribunale amministrativo ha fatto discendere la conclusione che il ricorso avverso le delibere di C.C. n. 26/2007 e n. 62/2007 (dichiarato inammissibile nella parte in cui esse disponevano la variante allo strumento urbanistico e l’apposizione del vincolo espropriativo) era invece, ammissibile nella parte in cui, nell’approvare il progetto definitivo, tali atti costituivano dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Ha quindi preso in esame le censure avversanti detto provvedimento, e le ha accolte, ritenendo fondato ed assorbente il motivo di ricorso con il quale era stata dedotta la violazione dell’articolo 16 del dPR 8 giugno 2001, n. 327 (disciplinante le modalità che precedono l’approvazione del progetto definitivo) laddove era attribuita importanza essenziale alla partecipazione del privato alla fase della dichiarazione di pubblica utilità.

L’avviso di avvio contemplato dal comma 4 della citata norma, per poter realizzare la propria finalità partecipativa, doveva essere comunicato al privato prima della conclusione della fase procedimentale di riferimento (e dunque, prima della approvazione del progetto che costituiva dichiarazione di pubblica utilità e provvedimento conclusivo di essa).

Il Tribunale ha riscontrato la violazione del detto precetto, atteso che le uniche comunicazioni depositate in atti ed, in particolare, la nota prot. n. 3078 del 7-3-2008 (ammesso che la stessa fosse stata portata a conoscenza dell’originario ricorrente) e la nota prot. n. 4680 del 16 aprile 2008, risultavano essere state inviate al privato successivamente alla adozione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità (delibere di C.C. n. 26/2007 e n. 62/2007).

Né appariva invocabile l’articolo 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241 poiché, trattandosi di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (e quindi di attività discrezionale della p.a.) trovava applicazione la seconda parte del richiamato comma 2 dell’articolo 21 octies che onerava l’amministrazione a provare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto comunque essere diverso ove anche il privato avesse partecipato al procedimento: al riguardo alcuna prova aveva fornito il Comune.

In particolare, secondo il Tribunale amministrativo, non appariva sufficiente il generico richiamo alla convenzione di lottizzazione, atteso che dalla documentazione prodotta non risultava l’entità delle aree da trasferirsi per effetto di essa, la reale coincidenza tra le opere di urbanizzazione cui era finalizzato il trasferimento e l’opera per cui è causa, onde poter ritenere che essa avrebbe potuto essere comunque realizzata nella sua attuale natura, destinazione e consistenza, anche a seguito di un trasferimento dei suoli in esecuzione della convenzione di lottizzazione .

Quanto a tale profilo, peraltro, l’odierno appellato aveva sollevato nella propria memoria, dubbi e rilievi sulla effettiva natura pubblica della totalità del realizzando intervento che avrebbero potuto essere vagliati in sede procedimentale (in quanto materiale istruttorio) ove mai la partecipazione fosse stata garantita.

Alla illegittimità – e conseguente annullamento- delle richiamate delibere di C.C. n. 26/2007 e n. 62/2007 nella parte in cui avevano pronunziano la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera- doveva seguire pure l’annullamento, per illegittimità derivata, del decreto di esproprio prot. n. 7618 del 27 giugno 2008, atteso che la dichiarazione di pubblica utilità annullata, costituiva presupposto di legittimità del provvedimento ablatorio finale.

Avverso la sentenza in epigrafe l’amministrazione comunale di Roccadaspide ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata e non teneva conto della esatta portata precettiva della disposizione di cui all’art. 19 del dPR 8 giugno 2001, n. 327.

Quest’ultima, infatti disegnava un unico procedimento, nell’ambito del quale coesistevano il vincolo preordinato all’esproprio e la dichiarazione della pubblica utilità dell’opera.

Detta disposizione, infatti, prevedeva la possibilità di adottare una variante semplificata, preordinata all’espropriazione;
essa integrava una procedura unificata di carattere misto (comprensivo della variante urbanistica e dell’esproprio), in cui le distinte fasi si ponevano in rapporto di necessaria connessione.

Una volta ritenuto consolidato il vincolo impositivo (come affermato dallo stesso Tribunale amministrativo), non appariva possibile contestare la (sola) dichiarazione di pubblica utilità.

D’altro canto l’intervenuto consolidamento della variante urbanistica recante l’approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica precludeva il rinnovo della sola dichiarazione di pubblica utilità, che sarebbe stato inutile non potendo esso incidere sull’an e sul quomodo dell’intervento.

Ne discendeva che l’intero ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse atteso che non era riscontrabile alcuna utilità nel rinnovo del contraddittorio procedimentale, stante la inoppugnabilità del progetto definitivo dell’ erigenda opera pubblica sull’area.

Peraltro le aree per cui è causa erano le medesime che avrebbero dovuto essere trasferite al comune gratuitamente in quanto oggetto di una precedente convenzione di lottizzazione e l’impugnativa proposta in primo grado era unicamente finalizzata ad ottenere un indebito arricchimento da parte del privato che, avendo già trasformato ad area residenziale le zone contigue, si era impegnato a trasferire gratuitamente il fondo per cui è causa, dismettendo le qualità proprietarie.

L’appellato ha depositato una memoria chiedendo in primo luogo la declaratoria di irricevibilità dell’appello perché tardivo.

Ciò perché il termine di impugnazione (ove, come nel caso di specie, fosse stata proposta istanza di sospensione della esecutività della sentenza impugnata) era di trenta giorni dalla pubblicazione della stessa.

E posto che la sentenza era stata pubblicata il 27 maggio 2010 e notificata il 21 giugno 2010, il ricorso in appello, notificato il 30 giugno 2010 e depositato il 2 luglio 2010 era tardivo.

Nel merito, l’appello era certamente infondato in quanto la dichiarazione di pubblica utilità costituiva atto autonomo (e scindibile) rispetto alla approvazione del progetto definitivo ex artt. 8 del dPR 8 giugno 2001, n. 327.

L’appellato ha poi riproposto le doglianze contenute nel mezzo di primo grado relative ai vizi attingenti le suindicate delibere per omessa indicazione nelle stesse dei termini iniziali e finali dell’esproprio e dei lavori, e la censura (attingente il decreto di esproprio quale vizio direttamente afferente tale ultimo atto) di violazione degli artt. 23 e 24 del dPR 8 giugno 2001, n. 327 in quanto notificata successivamente all’avvenuta immissione in possesso ed in relazione alla circostanza che la preventiva procedura di notifica (non andata a buon fine in quanto il destinatario era assente) non si era perfezionata ed era pertanto nulla.

All’adunanza camerale del 28 luglio 2010 fissata per la trattazione dell’incidente cautelare la Sezione, con la ordinanza n. 3681/2007, ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività dell’appellata decisione “considerato il sistema normativo così come delineato dall’art. 19 comma 2 del D.P.R. n. 327 del 2001 e ritenuta la sussistenza di danni gravi e irreparabili per l’Amministrazione appellante, essendo l’opera pubblica in corso di realizzazione su area già acquisita al patrimonio del Comune per effetto di decreto di esproprio, adottato in vigenza della dichiarazione di pubblica utilità”.

Alla odierna pubblica udienza del 3 aprile 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO


1.L’appello è fondato e va accolto con conseguente declaratoria di parziale inammissibilità e parziale improcedibilità del ricorso di primo grado, nei termini di cui alla motivazione che segue.

2.Devono essere in via preliminare esaminate - e risolte- alcune questioni di natura procedurale (ma anche sostanziale) che assumono un rilievo logicamente pregiudiziale rispetto alla delibazione delle censure di merito anche al fine di perimetrare l’ambito delle questioni rilevanti nell’odierno giudizio.

Il Collegio, pertanto, si soffermerà in primo luogo sulle doglianze contenute nel mezzo di primo grado del Signor Sabetta, assorbite dal primo giudice e riproposte nel presente grado di giudizio dall’appellato medesimo.

2.1 A tale proposito si rileva che sono certamente infondate le eccezioni formulate dall’ appellato volte a sostenere la tardività dell’appello proposto dall’amministrazione, in quanto quest’ultimo è stato notificato entro il termine di 120 giorni dalla pubblicazione della decisione e di trenta giorni dalla notifica della stessa previsto dalla legge ratione temporis applicabile alla controversia .

La tesi dell’appellato, secondo cui laddove sia proposta istanza di tutela cautelare il termine debba essere contenuto in trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo della decisione è del tutto infondata e collidente con il disposto dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971 applicabile ratione temporis alla controversia.

2.2. L’appellato, poi, ha riproposto la critica relativa alla omessa indicazione nelle delibere comunali dei termini iniziali e finali dei lavori e dell’esproprio.

La censura non è accoglibile, in considerazione della circostanza che con l'entrata in vigore del d.P.R. n. 327/2001 (30 giugno 2001) ha perso ogni rilievo la fissazione dei termini relativi ai lavori, mentre, relativamente ai termini per le espropriazioni, all'art. 13, si prevede unicamente la facoltà (non l'obbligo) dell'autorità espropriante di indicare <<il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato>>
(comma 3), aggiungendo che, in difetto dell'indicazione del termine, <<il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità>>
(comma 4).

Pertanto alla stregua della nuova normativa: a) il termine (iniziale e finale) dei lavori è privo di ogni rilievo pratico, prima ancora che giuridico, atteso che, se esso poteva avere un senso nei casi di occupazione anticipata ed urgente preordinata all'esproprio, in alternativa con la procedura espropriativa, con la previsione come eccezionale dell'occupazione d'urgenza, ammissibile unicamente nelle ipotesi previste dall'art. 23 bis del D.P.R. n. 327/2001, i lavori possono iniziarsi e compiersi senza alcun vincolo, ma unicamente allorquando l'espropriante è divenuto proprietario con l'esecuzione del decreto di esproprio;
b) priva di conseguenze giuridiche è anche la mancata indicazione dei termini espropriativi: ma ciò non perché si tratti di termini inutili ma in quanto l'espropriante non può, comunque, superare il termine massimo quinquennale stabilito per legge;
c) è la legge stessa a prevedere il termine quinquennale per l'emanazione del definitivo decreto di esproprio ed a cui occorre riferirsi anche quando l'amministrazione non indica alcun termine;
d) la scadenza del termine de quo senza che sia stato emesso il decreto di esproprio determina l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

Infondata è la detta censura atteso che il decreto di esproprio (come meglio si chiarirà di qui a poco) è intervenuto in costanza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, nella perdurante vigenza dei termini di pubblica utilità delle opere cui è finalizzata la procedura ablatoria in parola.

2.3.Quanto alla ulteriore censura ( del pari assorbita in primo grado e riproposta dall’appellato ) attingente il decreto di esproprio e riposante nella irregolarità della preventiva notifica dello stesso, si evidenzia che per costante e condivisa giurisprudenza della Sezione l’eventuale vizio relativo alla notifica del decreto di esproprio non incide sulla legittimità dei provvedimento non costituendo la notificazione atto perfezionativo del procedimento di esproprio, quanto piuttosto sull'opponibilità dello stesso al destinatario e, in particolare, sull'effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell'inciso per esercitare le sue facoltà in sede non tanto procedimentale quanto piuttosto processuale (cfr. Cons. di Stato, sez.IV, 11 aprile 2007, n. 1668 e, da ultimo, Cons. di Stato, sez.IV, 3 marzo 2009, n. 1207).

Tutte le ulteriori censure relative alla asserita inammissibilità della documentazione versata in atti in secondo grado da parte del Comune in punto di individuazione delle aree, non colgono nel segno, sia perché trattasi di documentazione dimostrativa della coincidenza dell’area espropriata con le planimetrie che, in quanto tale avrebbe potuto essere acquisita anche ex officio;
sia perché l’amministrazione appellante era resistente in primo grado e quindi le proprie difese all’evidenza risentono della impostazione seguita dal Tribunale amministrativo nella decisione di primo grado (parzialmente) demolitoria, sia, infine, perché del tutto superflue in relazione a quanto si chiarirà di qui a poco in punto di ritenuta improcedibilità del mezzo di primo grado anche nella parte in cui si è ritenuto avversare “isolatamente” la dichiarazione di pubblica utilità e l’atto di esproprio conseguente.

3. Da quanto si è finora esposto, e tenuto conto della circostanza che l’appellato non ha proposto in via incidentale censure attingenti la statuizione di parziale inammissibilità del mezzo di primo grado per omessa evocazione in giudizio della Provincia e per la omessa impugnazione della delibera giuntale Provinciale n. 367/2007 e del Decreto conclusivo della procedura reso dal Presidente della Provincia di Salerno n.47 del 3 ottobre 2007, la unica questione residua sulla quale il Collegio è chiamato a pronunciarsi riposa nella duplice prospettazione contenuta nel ricorso in appello secondo cui dalla unitarietà della procedura disegnata sub art. 19 del dPR 8 giugno 2001 n. 327 (e dalla conclamata inammissibilità della impugnazione avverso le delibere laddove le stesse disponevano la variante allo strumento urbanistico e l’apposizione del vincolo espropriativo) sarebbe dovuta discendere la conseguente inammissibilità della impugnazione proposta avverso la le gravate delibere comunali laddove queste, nell’approvare il progetto definitivo costituivano dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

E ciò tanto più nella considerazione che l’asservimento dell’area era ormai irretrattabile proprio a causa del definitivo consolidamento della variante allo strumento urbanistico ed apposizione del vincolo espropriativo, e che l’asserito vizio del contraddittorio procedimentale impingeva nel disposto dell’art. 21 octies della legge 8 agosto 1990 n. 241 posto che non si sarebbe potuti addivenire ad una diversa allocazione dell’opera.

4.La censura – come già lucidamente colto dalla Sezione in sede cautelare -è fondata e va accolta sotto un duplice angolo prospettico.

4.1. La disposizione di cui all’art. 19 del dPR 8 giugno 2001 n. 327, della quale appare utile riportare il testo, così prevede: “Quando l'opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all' articolo 10 , comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti.

L'approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale, costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico.

Se l'opera non è di competenza comunale, l'atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte della autorità competente è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre l'adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico.

Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l'efficacia.”

Nell’ambito di tale procedimento “unico” (meglio: unificato) e nel quale coesistono più sub procedimenti occorre distinguere sotto il profilo cronologico la delibera che approva il progetto e adotta la variante al piano regolatore dal provvedimento con cui la variante è approvata ovvero, in caso di silenzio dell'ente competente all'approvazione, dal provvedimento con cui il Consiglio comunale, preso atto del mancato dissenso entro novanta giorni, dichiara efficace la variante.

La delibera che approva il progetto è senza dubbio un provvedimento amministrativo ma tale provvedimento - sia per quanto concerne il profilo relativo alla variante urbanistica che per quanto concerne il profilo dell'approvazione del progetto - non è in grado di produrre effetti se non quando il procedimento si è definitivamente concluso con l'approvazione esplicita della variante o con la dichiarazione della sua efficacia da parte del consiglio comunale in caso di mancato dissenso.

Come è noto, la procedura disegnata dalla citata disposizione deriva dall'art. 1 l. n. 1 del 1978, recante norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche e prevede una procedura semplificata per una rapida conclusione dell'iter di variante dello strumento urbanistico generale ai fini della sollecita realizzazione di singole e specifiche opere pubbliche, qualora la loro progettazione si presenti in contrasto con le prescrizioni urbanistiche vigenti.

Ne discende la unicità della procedura, che culmina con l’atto di approvazione della variante, implica al contempo definitiva apposizione della preesistente dichiarazione di pubblica utilità discendente dalla preventiva approvazione del progetto.

Divenuta incontestabile la variante non si vede come si possa ritenere autonomamente censurabile l’atto sotteso che, insieme, ne costituisce produzione effettuale.

4.1.1. Alla stregua di quanto sin qui affermato, e come già colto dalla Sezione in sede di emissione di ordinanza cautelare di sospensione della esecutività dell’appellata decisione, non appare corretta la “scissione” prospettata dal primo giudice, posto che il procedimento disegnato nella richiamata disposizione è sostanzialmente unico e, una volta approvata la variante (che lo stesso primo giudice ha ritenuto ormai “incontestabile” giudizialmente) non appare possibile contestare isolatamente, la dichiarazione di pubblica utilità del progetto approvato che ne costituisce necessitata conseguenza.

4.2. Per altro verso, anche a non volere prendere posizione in ordine a talune affermazioni di portata generale della difesa dell’amministrazione comunale relative alla assoluta inscindibilità del procedimento e - soprattutto- alla impossibilità sempre e comunque di contestare autonomamente la dichiarazione di pubblica utilità rispetto agli atti (che indubbiamente si pongono a monte del procedimento e che alla seconda sono legati da un vincolo di chiara presupposizione) riposanti nella variante allo strumento urbanistico ed apposizione del vincolo espropriativo, di certo v’è, che nel processo amministrativo il decisum è diretta conseguenza delle censure proposte, e che nel caso di specie la censura prospettata ( e accolta in prime cure) concerneva la carenza di contraddittorio procedimentale.

4.2.1.La decisione del primo giudice appare quindi errata (oltre che laddove non ha ravvisato nesso di presupposizione tra i sub- procedimenti che coesistono nella previsione normativa in argomento) laddove non ha colto che avuto riguardo alla tipologia di vizio lamentato, esso, per tabulas, anche laddove dichiarato non poteva spiegare alcun effetto utile, proprio per il concreto atteggiarsi del procedimento giurisdizionale di primo grado

La inimpugnabilità delle delibere comunali in parola (che peraltro costituisce giudicato interno ormai formatosi) nella parte in cui approvavano la variante urbanistica recante approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica implicano che la denuncia del vizio concernente la dichiarazione di pubblica utilità non abbia alcuna possibilità di produrre pratiche conseguenze.

In concreto, quindi, avuto riguardo alla tipologia di vizio lamentato dall’appellato (omesso rispetto del contraddittorio procedimentale) il primo giudice avrebbe dovuto applicare il disposto di cui all’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241: e ciò, sia in relazione al dedotto vizio, che avuto riguardo al concreto atteggiarsi del processo e tenuto conto della – preliminare- statuizione di inammissibilità attingente il gravame nella parte in cui avversava l’approvazione della variante

4.3. Si rammenta in proposito che autorevole giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato “le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, si da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione;
i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti;
il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili;
l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)

Tale orientamento appare al Collegio condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica.

Sotto altro profilo, conforto a tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21 octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).

Una interpretazione corretta della disposizione in ultimo citata impone che essa vada estesa ai casi (come quello in esame) in relazione ai quali, per il concreto atteggiarsi del processo di primo grado, l’amministrazione possa dimostrare che dall’accoglimento del gravame e dalla declaratoria del relativo vizio (con onere di reiterazione della procedura, emendata dalla lacuna riscontrata) l’impugnante non possa ricavare alcun giovamento.

Orbene: se si pone mente alla circostanza che nessuna contestazione in punto di fatto o di diritto avverso la variante approvata era (ed è) ormai possibile, (stante la pronunciata statuizione di inammissibilità del gravame avverso la variante urbanistica contenuta nella sentenza di primo grado, ormai sul punto peraltro regiudicata) appare evidente che l’eventuale rinnovo del contraddittorio procedimentale con riferimento alla dichiarazione di pubblica utilità non possa giovare in alcun modo all’appellato (né, rileva incidentalmente il Collegio,ove ad esso si fosse dato corso in passato avrebbe potuto sortire effetti utili alla posizione di questi, tenuto conto della insussistenza di profili sostanziali da opporre alle avversate scelte urbanistiche, per il vero neppure decisamente prospettati).

5.Conclusivamente, l’appello deve essere accolto, ed in riforma della impugnata sentenza il ricorso di primo grado già dichiarato parzialmente inammissibile dal Tribunale amministrativo, deve essere dichiarato nella restante parte improcedibile.

6.La particolarità e novità delle questioni esaminate consente la compensazione tra le parti delle spese di giudizio del doppio grado.

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