Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-04, n. 202301203

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-04, n. 202301203
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301203
Data del deposito : 4 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2023

N. 01203/2023REG.PROV.COLL.

N. 03132/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3132 del 2017, proposto da
C R, in proprio e quale legale rappresentante della S.I.C.E. (South Investments Company Establishment), rappresentata e difesa dall’avvocato G V, con domicilio eletto presso lo studio Placidi s.r.l. in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

Comune di Modugno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato C C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R C in Roma, via di Mote Fiore, n. 22;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione terza, 27 febbraio 2017, n. 191;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Modugno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 19 dicembre 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Valla Giacomo e Carlucci Cristina, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma Microsoft Teams;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono così riassumibili:

- la signora Rosa C, in qualità di legale rappresentante della società S.I.C.E. - South Investments Company Establishment, è proprietaria, in virtù di atto d’acquisto dal coniuge, signor Nicola N, dell’immobile sito nel Comune di Modugno, in via Pordenone, composto da un piano interrato, un piano terra e sette piani superiori, di cui il sesto piano armato e predisposto per il getto ed il settimo piano non ancora realizzato;

- in data 30 giugno 1986, l’interessata presentava l’istanza prot. n. 1653, chiedendo la concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere: a) realizzato, nel piano interrato, alcuni parcheggi ad uso degli appartamenti (essendo state le zone destinate a parcheggio scoperto di pertinenza del fabbricato, ed esterne allo stesso, assorbite dalle sedi stradali);
b) ampliato il piano terra da destinare a superfici commerciali, in difformità da quanto previsto nel progetto assentito;
c) ridotto (di circa 73 mq/piano) la superficie utile dei piani superiori già realizzati, ma privi dei muri di tompagno di perimetrazione, intendendo trasformare i complessivi n. 56 appartamenti da progetto in n. 112 appartamenti, «senza alcun aumento della superficie utile né del volume»;

- in data 13 giugno 2006, con nota prot. n. 29174, il signor N chiedeva all’Amministrazione comunale un incontro per avere informazioni sullo stato della pratica di sanatoria prot. n. 1653 presentata nel 1986 e, con successiva nota prot. n. 37248 del 26 luglio 2006, precisava che la stessa si riferiva «all’intero “fabbricato” ovvero ai piani interrato, terra, e tutti i piani superiori»;

- in data 22 gennaio 2007, con nota prot. n. 3927, il Comune richiedeva adempimenti per la definizione dell’istanza di condono edilizio del 1986;

- il 23 aprile 2007 si svolgeva un incontro presso il Municipio, in cui la ricorrente offriva la propria disponibilità a sistemare via La Pira come da progetto in atti del Comune, avendo in precedenza manifestato il proprio interesse ad aderire al Programma integrato di riqualificazione delle periferie (P.I.R.P.);

- in data 30 maggio 2007, la proprietaria produceva l’integrazione documentale richiesta il 22 gennaio 2007 dall’Amministrazione comunale e, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, indicava l’avvenuto avvio dei lavori di costruzione nel 1974, con ultimazione delle opere nel dicembre del 1978;

- con nota prot. n. 21642 del 23 aprile 2010, il Dirigente comunale richiedeva un’ulteriore integrazione, consistente nella dimostrazione grafico-analitica delle superfici interessate dalla sanatoria, cui l’interessata ottemperava il 9 luglio 2010;

- in data 23 aprile 2014, la signora C inoltrava all’Amministrazione un sollecito di definizione della pratica di condono;

- con nota prot. n. 23590 del 21 maggio 2014, il responsabile del Servizio Assetto del Territorio riscontrava la suddetta nota di sollecito, rappresentando che era «in atto una ricomposizione dell’intera vicenda per l’espressione definitiva di questo Servizio», necessitatasi a seguito dello smarrimento della domanda n. 1653 del 30 giugno 1986, per cui in data 22 gennaio 2007 era stata presentata formale denuncia;

- sennonché, con nota prot. n. 51156 del 21 ottobre 2015 veniva inoltrata alla ricorrente la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del condono;

- con successivo provvedimento n. 9892 del 25 febbraio 2016, il Comune disponeva il diniego dell’istanza di condono e contestualmente ordinava la demolizione delle opere abusive;

- ritenendo tuttavia illegittimi il preavviso di rigetto del 21 ottobre 2015 ed il provvedimento finale di diniego del condono edilizio del 25 febbraio 2016, la signora C proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, ponendo a fondamento dell’impugnativa le seguenti censure:

i) violazione degli articoli 35 e 40 della legge n. 47 del 1985, sul procedimento di sanatoria, nonché dell’articolo 31, commi 10 e 11, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come sostituito dall’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765), sulla validità della licenza edilizia;

ii) eccesso di potere per contraddittorietà, erroneità e falsità dei presupposti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, per avere l’Amministrazione comunale, da un lato, ordinato l’esecuzione di urgenti opere di messa in sicurezza dell’immobile – in assenza di specificazione alcuna in merito alle cause di pericolo per la pubblica incolumità, e ponendo peraltro a carico della proprietaria il costo di siffatte opere di rilevante impegno economico – e, dall’altro, impartito il contraddittorio ordine di demolizione del manufatto abusivo.

2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con sentenza n. 191 del 2017, respingeva il ricorso, disponendo altresì la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari per ogni valutazione di competenza in ordine alle difformi dichiarazioni rese dalla ricorrente circa la data di ultimazione delle opere oggetto di sanatoria.

3.– Avverso la predetta sentenza ha dunque proposto appello la signora C, riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione sollevati in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza gravata, e segnatamente deducendo che:

a) diversamente da quanto statuito dal primo giudice, la domanda di condono avrebbe ad oggetto non già un ‘abuso totale’, bensì unicamente una difformità rispetto all’originaria licenza edilizia rilasciata il 31 agosto 1968, da rinvenirsi nella riduzione delle superfici dei cinque piani superiori, e non anche in una modifica dei volumi;
la circostanza della mancata tompagnatura dei cinque piani superiori implicherebbe poi per il completamento delle opere già previste dalla licenza edilizia la necessità di una diversa autorizzazione, ma non precluderebbe affatto il condono delle opere in difformità dalla licenza (nella specie variante in riduzione);

b) il giudice di prime cure avrebbe erroneamente applicato principi giurisprudenziali inconferenti al caso in esame, ritenendo necessaria la chiusura perimetrale dell’edificio anche per la sanatoria di una mera difformità, in riduzione, dalla licenza edilizia, nonché richiamando la nozione di “ultimazione dell’opera” di cui all’art. 31 della legge n. 47 del 1985, che viceversa opererebbe esclusivamente in presenza di una costruzione abusiva, quale certamente non potrebbe ritenersi quella di cui si controverte;

c) il Tribunale avrebbe ad ogni modo omesso di applicare il disposto di cui all’art. 43, comma 5, della legge n. 47 del 1985, potendosi (e dovendosi) ammettere la sanatoria delle opere di cui trattasi in quanto “non ultimate” per effetto di provvedimenti giurisdizionali e amministrativi (nello specifico, i provvedimenti di sequestro e di sospensione dei lavori, succedutisi a partire dal 1972);

d) a ben vedere, il giudice di primo grado avrebbe violato i limiti esterni della propria giurisdizione, illegittimamente esercitando poteri di amministrazione attiva, e specificamente si sarebbe sostituito al Comune, pronunciandosi sulla legittimità del diniego pure in relazione alla riduzione della superficie dei piani superiori dell’edificio (questione di ‘riduzione’ viceversa non presa neppure in considerazione dall’Amministrazione comunale), nonché escludendo l’accoglibilità dell’istanza anche per la sola (minoritaria) parte del manufatto completa della muratura di tamponamento (piano interrato e piano terra), a fronte di una domanda di condono relativa al fabbricato nella sua interezza;

e) le argomentazioni utilizzate dal primo giudice sarebbero altresì inficiate da un’erronea interpretazione del quadro normativo di riferimento, vigente all’epoca della realizzazione delle opere: ai sensi dell’art. 31, commi 10 e 11, della legge n. 1150 del 1942 il mancato completamento delle opere nel triennio avrebbe, infatti, determinato la decadenza della licenza solo nel caso di sopravvenienza di nuove previsioni urbanistiche contrastanti con il titolo medesimo, pertanto nel caso di specie non risponderebbe al vero la circostanza relativa all’inefficacia della licenza edilizia;
peraltro, la voltura della licenza dalla signora Maria Fiore, originaria proprietaria, al signor N, avvenuta in data 24 dicembre 1973, avrebbe comportato il sostanziale implicito rinnovo del titolo;
in ogni caso, nella vigenza del principio di libertà delle forme della licenza edilizia, il parere favorevole reso dalla Commissione edilizia il 23 novembre 1973, su un progetto di variante del 3 aprile 1973, sarebbe equiparabile al provvedimento edilizio concessorio;

f) contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, dovrebbe comunque ritenersi perfezionato il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio, ricorrendone tutti i presupposti di legge prescritti dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985;

g) da ultimo, l’appellante ripropone le censure assorbite dal giudice di prime cure, ed in particolare evidenzia che: i) la richiesta di condono non sarebbe “dolosamente infedele”, poiché la domanda di sanatoria sarebbe limitata ai cinque piani superiori realizzati (e non riferita a “complessivi 8 piani fuori terra e 1 piano interrato”), con l’esplicita indicazione che i piani sesto e settimo avrebbero dovuto essere ancora realizzati;
ii) il provvedimento impugnato avrebbe dapprima ammesso l’eventuale possibilità di sanare solo la parte di edificio effettivamente definita dalle murature di tamponamento (piano interrato e piano terra), per poi giungere, in maniera del tutto immotivata e contraddittoria, ad una conclusione di segno opposto, negando in definitiva il condono con riguardo all’intero immobile;
iii) non si comprenderebbe chi avrebbe “ritrattato” la tipologia di abuso «più volte nel corso degli anni, non permettendo di fatto una concreta risoluzione dell’istruttoria in corso», in quale occasione ciò sarebbe avvenuto e da quali atti in possesso dell’Amministrazione detta “ritrattazione” risulterebbe;
iv) diversamente da quanto sostenuto dal Comune nel censurato diniego, l’oblazione richiesta sarebbe stata regolarmente versata;
v) la domanda di sanatoria sarebbe stata correttamente presentata utilizzando il modello conforme alla tipologia di abuso effettivamente compiuta (difformità dal titolo edilizio), ed in ogni caso la presentazione della domanda di condono su un modello inappropriato non potrebbe costituire valido motivo di diniego, non essendo ciò previsto dalla legge;
vi) l’attuale situazione statica del fabbricato, che a seguito delle opportune verifiche potrebbe necessitare di opere di risanamento e consolidamento – anche a fronte dell’eccessiva durata (pari a trent’anni) del procedimento per la definizione della pratica di condono –, non potrebbe condizionare il rilascio del titolo in sanatoria, richiedendosi la verifica dei presupposti di legge al momento della presentazione della domanda di condono.

4.– Si è costituito in giudizio il Comune di Modugno, insistendo per il rigetto del gravame.

5.– Con ordinanza 28 giugno 2017, n. 2756, il Collegio – « [r]itenuto, nell’ambito della delibazione propria della presente fase, non sufficientemente comprovato allo stato il requisito del fumus boni iuris e conseguentemente non prevedibile al momento un esito favorevole del merito del giudizio » – ha respinto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.

6.– Con successiva ordinanza 30 agosto 2019, n. 4245, il Collegio – « [c]onsiderato, in disparte ogni altra questione, che non sussistono i presupposti per l’accoglimento della richiesta di riesame dell’istanza cautelare » – ha respinto altresì l’istanza di riesame della domanda cautelare.

7.– In data 8 novembre 2022, il Comune di Modugno ha versato in atti l’ordinanza n. 14 del 19 novembre 2018, con cui l’Amministrazione comunale ha ordinato la demolizione dell’intero manufatto abusivo e ha prodotto l’ulteriore documentazione attestante la regolare esecuzione dei lavori, certificata in data 14 settembre 2020, precisando che la zona è stata riqualificata mediante realizzazione di un’area a verde attrezzata.

8.– All’odierna udienza del 19 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

9.‒ Come risulta dalla documentazione versata in atti dalla difesa comunale (in data 8 novembre 2022), l’intero manufatto abusivo è stato oggetto di acquisizione al demanio e poi demolito, con realizzazione del “parco della legalità”, a beneficio dei bambini del quartiere. In particolare, i lavori di demolizione sono stati ultimati in data 5 aprile 2020 (con certificato di regolare esecuzione lavori del 14 settembre 2020: cfr. in atti doc. 8).

Il mutamento della situazione di fatto originariamente dedotta ha reso oramai priva di residua utilità giuridica la domanda di annullamento del diniego di condono, con conseguente improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lettera c), del c.p.a.

Dichiarata l’improcedibilità della domanda originaria di annullamento, sussistono i presupposti per proseguire il giudizio di appello ai sensi dell’art. 34, comma 3, del c.p.a., secondo cui: « [q]uando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori ».

Il passaggio dall’azione di annullamento a quella di mero accertamento determina una modificazione – non degli effetti processuali della domanda originaria, bensì – degli effetti sostanziali scaturenti dal giudicato. La domanda di mero accertamento non introduce, né un petitum diverso e più ampio, né una causa petendi fondata su fatti costitutivi differenti. Si tratta invece di una emendatio libelli che comporta una variazione in senso riduttivo del petitum originario, al fine di renderlo adeguato alle sopraggiunte necessità di tutela.

Non occorre, ai fini dell’accertamento in continuità, la contestuale proposizione della domanda risarcitoria: ove così si ritenesse, l’art. 34, comma 3, del c.p.a. risulterebbe una disposizione priva di autonoma portata precettiva, tenuto conto che già l’art. 30, comma 5, del c.p.a. prevede che « [n]el caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza » (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 22 ottobre 2019, n. 7195;
orientamento confermato recentemente anche dall’Adunanza plenaria, con sentenza 13 luglio 2022, n. 8).

Nel caso di specie, l’interesse alla prosecuzione del giudizio si desume implicitamente dal contenuto della memoria depositata dall’appellante in data 18 novembre 2022 e dalle conclusioni ivi rassegnate.

Va pure sottolineato che la domanda di mero accertamento dell’illegittimità in funzione dell’interesse risarcitorio può essere formulata per la prima volta in appello, in deroga al divieto di domande nuove di cui all’art. 104 c.p.a., qualora l’interesse all’annullamento dell’atto sia venuto meno dopo la definizione del giudizio di primo grado (così va interpretato il comma 1 dello stesso art. 104 c.p.a.).

10.‒ Nel merito, l’appello è infondato e va respinto.

Correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto dirimente la mancata ultimazione dell’opera abusiva da condonare.

10.1‒ Va premesso che, ai fini della concessione del condono edilizio, ricade, infatti, in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) l’onere di provare la data di ultimazione (con difforme destinazione d’uso) delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto;

In difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.

L’art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione (alla data del 1° ottobre 1983), rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio «strutturale», che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio «funzionale», che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale.

Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici «ultimati», si intendono quelli completi almeno al «rustico», espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130).

La nozione di completamento funzionale implica, invece, uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione;
in altri termini l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso.

10.2‒ Nel caso di specie, l’opera oggetto dell’istanza di condono, presentata dalla signora C R in data 30 maggio 1986, non è mai stata ultimata, sussistendo esclusivamente uno scheletro con 5 piani, privi di muri di tamponamento, il sesto non gettato ed il settimo neanche realizzato.

Tale assunto è comprovato:

- dal verbale di sopralluogo effettuato in data 17 aprile 2014, in cui l’organo accertatore rilevava: «[…] il predetto fabbricato a rustico, composto da piano interrato, piano terra e n. 5 piani fuori terra, privo di muratura di tamponamento che di tramezzature interne, censite al foglio 5, particella 802 […]»;

- dalla documentazione fotografica prodotta dell’ente nel fascicolo di parte, da cui emerge incontrovertibilmente come sussistesse esclusivamente uno scheletro, allo stato rustico, senza muri di tamponamento, con gli ultimi due piani neanche esistenti.

- dalla stessa relazione descrittiva delle opere di cui si chiede la sanatoria, a firma della odierna ricorrente e datata 30 maggio 1986, nella quale si afferma che l’immobile sarebbe stato realizzato solo nel rustico e non ultimato nei suoi elementi essenziali (si legge, in particolare, che « l’immobile oggetto della presente, ubicato in territorio di Modugno alla Contrada Carrara - in catasto terreni fg.

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