Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-08-08, n. 201204533

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-08-08, n. 201204533
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204533
Data del deposito : 8 agosto 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01887/2012 REG.RIC.

N. 04533/2012REG.PROV.COLL.

N. 01887/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1887 del 2012, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. M F, con domicilio eletto presso M F in Roma, via De SsS. Quattro n.56;

contro

Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Commissione Centrale ex Art.10 L.82/1991;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA SEZIONE I TER n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2012 il Cons. R C e uditi per le parti gli avvocati Fiormonti e dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Il ricorrente, collaboratore di giustizia, aveva impugnato dinanzi al Tar del Lazio, sezione di Roma, la delibera della Commissione centrale ex art.10 della legge n.82 del 1991, con la quale veniva disposta la revoca del programma speciale di protezione cui era stato ammesso, esteso anche ai suoi congiunti.

Nel provvedimento, pur dandosi atto del contributo collaborativo prestato, si faceva riferimento alla reiterata violazione degli obblighi comportamentali assunti dal collaboratore che avevano reso necessari ben quattordici14 trasferimenti in altrettante località protette. La Commissione rilevava ulteriormente che l’interessato, dopo aver ospitato nel domicilio protetto la fidanzata, già rinunciataria alle misure tutorie, con cui aveva avuto violente liti, aveva rifiutato l’ennesimo trasferimento in altra località protetta perché ritenuta troppo lontana dal luogo di residenza dei figli e che lo stesso dilapidava ordinariamente l’assegno di mantenimento mensile nel gioco del video poker.

La Commissione riteneva, quindi, che il collaboratore manteneva un contegno non compatibile con lo status di persona sottoposta al programma speciale di protezione, vanificando le finalità di sicurezza e causando, inoltre, un aggravio sensibile dei costi di gestione, tale da indurre la Commissione a discostarsi, in adesione all’indirizzo manifestato dalla Direzionale nazionale antimafia ( D.n.a.), dal parere contrario alla revoca reso dalla Direzione distrettuale antimafia (D.d.a.) e cioè dall’Autorità originariamente proponente l’ammissione del collaboratore al programma speciale di protezione.

Il ricorrente deduceva la violazione delle norme della legge n.241 del 1990 (artt.7,8, 9, 10, 10 bis, 11 e 12) e la violazione dell’art.13 quater della legge n.82 del 1991, nonché vari profili di eccesso di potere, non avendo egli mai commesso alcun fatto che comportasse la revoca obbligatoria delle speciali misure di protezione, né la commissione di delitti indicativi di un suo reinserimento nel circuito criminale. Soggiungeva che l’aggravio dei costi di gestione del Programma avrebbe dovuto essere comparato con l’interesse al mantenimento del contributo collaborativo ai fini della lotta alla criminalità.

L’ Amministrazione dell’Interno non si costituiva in giudizio.

Successivamente il collaboratore, in data 10.6.2011, depositava memoria conclusionale in cui deduceva che la Commissione avrebbe dovuto anche valutare, ai fini della disposta revoca, la situazione di pericolo e rischio per l’incolumità personale sua e dei suoi familiari.

Il Tar respingeva il ricorso, ritenendo infondate le varie censure dedotte.

Nell’atto di appello il collaboratore reitera alcune delle censure dedotte in primo grado sottolineando in specie, ancora una volta, che il comportamento tenuto non poteva considerarsi giuridicamente rilevante ai fini della revoca delle misure di protezione, in quanto non contemplato dall’art. 13 quater della legge n.82/1991 né come ipotesi di revoca cosiddetta .d. obbligatoria, con ipotesi tassativamente previste, né come ipotesi di revoca cosiddetta.d. facoltativa per fatti che il legislatore considera discrezionalmente valutabili ai fini della revoca. Anche tuttavia ad ammettere che si trattasse di una revoca facoltativa, sulla Commissione Centrale e poi sul giudice gravava un onere motivazionale che nella specie sarebbe stato del tutto inesistente.

Né poteva avere pregio la considerazione che il programma di protezione era scaduto il 3 dicembre 2008 in quanto in tale caso la Commissione, dopo avere comparato i vari interessi in gioco, avrebbe dovuto comunque motivare in ordine alle ragioni in fatto ed in diritto che facevano optare per una mancata proroga.

Erronee sarebbero anche le considerazioni del primo giudice che aveva ritenuto che solo nella memoria conclusionale del 10.6.2011, il ricorrente avesse accennato per la prima volta alle problematiche relative alla sicurezza e incolumità del titolare del programma e dei suoi familiari, aspetto, questo, prospettato senza la rituale notifica alla amministrazione nei termini di decadenza. Per l’appellante, invece, talea memoria difensiva si limitava a sviluppare tematiche che erano state già indicate nel ricorso introduttivo.

Si è costituita l’amministrazione intimata insistendo per il rigetto dell’appello in quanto infondato.

Dopo la trattazione orale alla pubblica udienza del 13 luglio 2012, in cui il difensore del collaboratore di giustizia ha insisto per l’accoglimento dell’appello, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L’appello non merita accoglimento.

La disposizione su cui si fonda il provvedimento di revoca è quella di cui all'art. 13 quater, co.1, del d.l. n. 8/1991, convertito nedalla legge n. 82/1991 e successive modificazioni, che così recita: "Le speciali misure di protezione sono a termine e, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell'articolo 13, comma 1, possono essere revocate o modificate in relazione all'attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge”.

Il co. 2 della medesima disposizione elenca i vari fatti che possono comportare la revoca delle speciali misurea di protezione, facendo rientrare nella sfera dell’apprezzamento dell'Amministrazione il vaglio sulla condotta del soggetto sottoposto alle misure protettive ed il giudizio sulla eventuale incompatibilità del comportamento da questi tenuto con il permanere del sistema di tutela, mentre compito del giudice di legittimità è quello di vagliare se l'esercizio di tale potere valutativo sia aderente ai presupposti normativi ed ai criteri di logica e razionalità, censurandolo eventualmente, ove emergano profili di abnormità valutativa o evidentie travisamentio dei fatti.

Ai fini di tale valutazione occorre tenere conto che la legislazione di protezione dei soggetti già affiliati ad associazioni criminali o di autori di condotte delittuose specifiche, successivamente dissociatisi, non risponde a logiche premiali ed è particolarmente onerosa per le finanze dello Stato, impegnando risorse economiche, mezzi e uomini delle forze dell'ordine, sottratti agli ordinari compiti di istituto. È pertanto legittimo che allorché la condotta del soggetto protetto, indipendentemente dal contributo collaborativo fornito ed addirittura dai pericoli che lo stesso potrebbe correre, si ponga in condizioni di incompatibilità con le disposizioni di riferimento o comporti un aggravamento dell’onerosità del programma di protezione, dette misure vengano revocate.

Sotto tale ultimo profilo è stato messo in luce dalla giurisprudenza, che anche l' attualità dello stato di pericolo non giustifica di per sè la fruibilità di uno speciale programma di protezione da parte del collaboratore, allorché il suo comportamento non renda superflue le misure di protezione accordate, ma risulti in oggettivo contrasto con le finalità perseguite dalla legge n. 82/1991 (Sez. VI, 11 ottobre 2005, n. 5649).

3. Venendo al caso di specie, in punto di fatto deve sottolinearsi che il programma di protezione dell’appellante veniva a scadenza in data 3 dicembre 2008 e che, pertanto, veniva sottoposto a verifica circa della permanenza dei presupposti che ne avevano determinato l’ammissione, ai sensi dell’art. 13 quater della legge 82/1001.

In tale ambitofatto sono statie evidenziate le ragioni che hanno spinto il Ministero alla revoca del programma di protezione.

Contrariamente all’assunto dell’appellante, la dilapidazione dell’assegno di mantenimento consumata mediante la dedizione al gioco del video poker era solo uno dei motivi, senz’altro non esclusivo e determinante, per il quale era è statao disposta la revoca del programma di protezione per violazione dei doveri inerenti allo status di collaboratore di giustizia, dovendosi aggiungere a tale motivo, la ‘ospitalità nella località protetta data dal collaboratore dealla fidanzata, con la quale vi erano violenti alterchi, nonché il rifiuto del trasferimento in altra località protetta e, le condotte contrastanti con i doveri di riservatezza che avevano determinato addirittura 14 quattordici trasferimenti in altre località protette.

E’ evidente che vi era un insieme di comportamenti che ben giustificavano il parere espresso dalla Direzione Nazionale antimafia con nota 24 gennaio 2008 in senso favorevole alla cessazione degli effetti del regime tutorio in favore dell’appellante, in specie a norma del citato l’art. 12, co.2, lett. a), che impone l’obbligo di a osservanza delle norme di sicurezza e della collaborazione attiva per la esecuzione delle misure e che il provvedimento, lungi dal presentare carenze motivazionali, proprio con riferimento alle condotte del collaboratore rivelatesi in contrasto con i doveri attinenti allo status di collaboratore e in specie con i doveri di riservatezza, risultaera supportato da un idoneo iter motivazionale.

Come prima rilevato, anche l’ attualità dello stato di pericolo, non giustificava, da ex se, sola, la fruibilità del programma di protezione da parte del collaboratore;
pertanto in disparte la questione se la relativa censura era stata, o meno, sollevata nel ricorso introduttivo o nella memoria difensionale, resta il fatto che esattamente il provvedimento, indipendentemente dal contenuto collaborativo, ha ritenuto recessiva la esigenza di sicurezza a fronte di comportamenti irrispettosi delle regole del sistema di protezione che finivano nei fatti pera vanificare, proprio per colpa del collaboratore, il perseguimento degli obiettivi di sicurezza sottesi alla attuazione del programma.

4. In conclusione l’appello non merita accoglimento.

5. Spese ed onorari tuttavia in relazione al petitum possono essere compensati.


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