Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-01, n. 202302130

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-01, n. 202302130
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302130
Data del deposito : 1 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/03/2023

N. 02130/2023REG.PROV.COLL.

N. 04309/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4309 del 2021, proposto dal -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Luciani, Piermassimo Chirulli e Patrizio Ivo D’Andrea, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



contro

il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, il Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater ) n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Consiglio di Stato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il Cons. Brunella Bruno e uditi gli Avvocati Massimo Luciani e Patrizio Ivo D’Andrea per la parte appellante e l’Avvocato dello Stato Paola De Nuntis, per le amministrazioni appellate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso in epigrafe l’appellante impugna la sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. II- Quater , n. -OMISSIS-, con la quale sono stati definiti due giudizi da lui proposti, iscritti, rispettivamente, al numero di R.G. -OMISSIS- e al numero di R.G. -OMISSIS-, chiedendone la riforma.

In particolare, l’appellante, Consigliere di Stato di nomina governativa e titolare di una pensione erogatagli dalla Camera dei Deputati, adiva il TAR Lazio, con il primo dei ricorsi sopra indicati, chiedendo:

a) l’annullamento della nota del Segretariato Generale della G.A. del 20 maggio 2014, prot. n. 38, con cui gli era stata comunicata la sospensione del trattamento retributivo per superamento (per cumulo di pensione e stipendio) del tetto massimo di € 240.000,00 previsto dall’art. 1, comma 489, della l. n. 147/2013 in combinato disposto con l’art. 13 del d.l. n. 66/2014, conv. con l. n. 89/2014, e degli atti presupposti, connessi e consequenziali (tra cui la precedente nota del 14 maggio 2014);

b) l’accertamento del diritto a percepire il trattamento stipendiale in una con quello pensionistico in essere senza le decurtazioni previste dall’art. 1, comma 489, cit.;

c) la condanna della P.A. al versamento e alla restituzione delle somme nelle more illegittimamente da questa trattenute e recuperate.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti impugnava la nota del Segretariato Generale della G.A. del a 5 agosto 2014, recante comunicazione che, a seguito della sospensione del trattamento retributivo in base all’art. 1, comma 489, della l. n. 147 cit., egli avrebbe dovuto procedere a pagare di persona le addizionali IRPEF regionale e comunale, secondo gli importi determinati nel prospetto allegato alla nota medesima. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, impugnava la nota del Segretariato Generale della G.A. del 7 ottobre 2014, recante comunicazione che il suo trattamento pensionistico, al netto del contributo di solidarietà, era superiore al tetto massimo retributivo previsto per l’anno 2014. Infine, con un terzo ricorso per motivi aggiunti impugnava la nota del Segretariato Generale della G.A. del 22 dicembre 2014, con cui gli veniva comunicato che per il 2015 non avrebbe potuto essergli erogato alcun trattamento economico.

Con successivo ricorso, iscritto, come sopra esposto, al numero di R.G. -OMISSIS-, l’odierno appellante, oltre a ripresentare le domande di accertamento e condanna già formulate nel precedente ricorso, chiedeva l’annullamento della nota del Segretariato Generale della G.A. del 29 dicembre 2015, prot n. 25853, con la quale è stata comunicata l’impossibilità di erogargli alcun trattamento economico per il 2016.

Con ordinanza collegiale n. 4201 del 07 aprile 2016, resa all’esito dell’udienza pubblica del 24 febbraio 2016 sul ricorso R.G. n. -OMISSIS-, l’adito Tribunale sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 489, della l. 27 dicembre 2013 n. 147 per contrasto con gli artt. 33, 4, 36, 38, 95, 97, 100, 101, 104 e 108 Cost., sospendendo il giudizio; con sentenza n. 124 del 26 maggio 2017 la Corte costituzionale dichiarava la questione non fondata.

Dopo avere riassunto il giudizio sospeso, il ricorrente evidenziava la persistenza dell’interesse alla decisione delle questioni ritenute pendenti pur dopo la decisione della Corte, con particolare riguardo alla possibilità di qualificare il suo rapporto con la P.A. in termini di “contratto” o “incarico” che lo stesso art. 1, comma 489, della l. n. 147 cit. sottrae al regime del cd. tetto massimo.

Con ordinanza collegiale n. n. -OMISSIS-, il giudizio veniva nuovamente sospeso in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia UE sulle questioni pregiudiziali di compatibilità con il diritto unionale sollevate dal medesimo TAR Lazio con ordinanze del 4 dicembre 2018. Analoga sospensione veniva disposta con ordinanza collegiale n. n. -OMISSIS-in relazione al ricorso R.G. n. -OMISSIS-.

Le suesposte questioni erano dichiarate “manifestamente irricevibili” dalla Corte con ordinanza della VII Sezione del 15 maggio 2019, resa nelle cause riunite C-789/18 e C-790/18.

Nuovamente riassunti i giudizi dal ricorrente, con la sentenza appellata l’adito Tribunale, dopo avere riunito i due ricorsi, li ha respinti, in quanto infondati nel merito

Nell’appello si contesta il percorso argomentativo e le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, deducendo i seguenti motivi:

I) error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 489, della l. 27 dicembre 2013, n. 147, per essere la sentenza gravata: a) viziata da contraddittorietà, poiché lo stesso TAR avrebbe riconosciuto che le formule del Legislatore sono onnicomprensive nell’indicare l’ambito di applicazione dell’intero comma 489, cosicché allo stesso ambito deve applicarsi la deroga prevista dal terzo periodo; b) affetta da un’errata lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 124 del 2017; c) incentrata sulla tesi secondo cui l’unica possibile lettura del comma 489 sarebbe quella che ne amplifica la portata retroattiva, senza considerare che tale tesi non trova appigli nel testo di legge, né nella sentenza della Corte cost. n. 124 cit., né nei lavori parlamentari; d) viziata da un improprio richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2017 (relativa al tema della riforma degli onorari professionali degli Avvocati dello Stato), la quale, tuttavia, con il porre l’accento sul regime transitorio, deporrebbe in senso contrario alle tesi seguite dal TAR;

II) error in iudicando , eccesso di potere per difetto di motivazione, in riferimento all’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, ed all’art. 1, comma 489, della l. 27 dicembre 2013, n. 147, in quanto il primo giudice avrebbe errato nel disattendere il motivo di ricorso con cui si era dedotto il vizio di difetto di motivazione, dovendosi invece riconoscere la sussistenza, a carico della P.A., di uno specifico onere motivazionale per l’applicazione del divieto di cumulo.

In subordine, l’appellante solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 489, della l. n. 147/2013, con riferimento al terzo periodo di detto comma (mentre la questione affrontata dalla sentenza della Corte cost. n. 124/2017 avrebbe riguardato il solo primo periodo del comma stesso): la questione viene sollevata per il contrasto della citata disposizione con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e con quello di tutela dell’affidamento ex artt. 3 e 117 Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

L’appellante conclude chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, siano annullati gli atti gravati nel primo grado del giudizio, sia accertato il suo diritto a percepire il trattamento stipendiale e quello pensionistico senza le decurtazioni previste dall’art. 1, comma 489, cit. e, per conseguenza, la P.A. venga condanna a restituire quanto trattenuto e recuperato e ad erogare all’appellante stesso il trattamento stipendiale per intero.

Si sono costituiti in giudizio il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, il Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di seguito depositando una memoria e concludendo per la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 17 gennaio 2023 sono comparsi i difensori delle parti, i quali hanno brevemente discusso la causa. Di seguito, questa è stata trattenuta in decisione.



DIRITTO

Viene in decisione l’appello contro la sentenza del TAR Lazio che, dopo averli riuniti, ha respinto ambedue i ricorsi proposti per l’accertamento del diritto a percepire il trattamento stipendiale spettante per le funzioni di Consigliere di Stato in una con il trattamento pensionistico in godimento senza le decurtazioni di cui all’art. 1, comma 489, della l. n. 147/2013.

Le censure dell’appellante, pur attentamente argomentate, non sono suscettibili di condivisione.

Le questioni controverse hanno costituito oggetto di approfondita analisi in analoghi giudizi, definiti con le recenti sentenze di questa Sezione, n. 1360 del 2023, n. 1359 del 2023, n.

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