Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-15, n. 202101324

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-15, n. 202101324
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101324
Data del deposito : 15 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2021

N. 01324/2021REG.PROV.COLL.

N. 00312/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 312 del 2013, proposto dalle
Aziende Agricole “Lovati F.lli”, “C F e Cugini”, “Felini Edoardo”, “Raffaglio Angelo” e “Pozzi Marco”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall’avv. F T e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. D M B, in Roma, via Luciani, n. 1

contro

AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (già AIMA, Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo) e Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici di questa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – sede di Roma, Sezione II- ter , n. 4015/2012 del 4 maggio 2012, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. 13018/1998, proposto per l’annullamento degli atti, comunicati ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. n. 5/1998 nel mese di aprile del 1998, con cui l’AIMA (ora AGEA) ha determinato i quantitativi di latte prodotti nelle due annate 1995/1996 e 1996/1997 ed ha assegnato i “ quantitativi di riferimento individuali ” ( QRI ) per le campagne dal 1995/1996 al 1998/1999, nonché per l’annullamento del d.m. 17 febbraio 1998, regolante le procedure di accertamento dei quantitativi di latte prodotto e commercializzato nelle annate 1995/1996 e 1996/1997.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA) e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

Vista la sentenza non definitiva n. 3456/2019 del 27 maggio 2019, di parziale reiezione dell’appello e contestuale sospensione del giudizio;

Vista la sentenza della Corte di Giustizia UE – VII^ Sezione del 27 giugno 2019, resa nella causa C-348/2018;

Vista l’istanza presentata dalle appellanti ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a.;

Vista la memoria difensiva delle appellanti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;

Visto, altresì, l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2020 il Cons. P D B e udito per le appellanti l’avv. F T, in collegamento da remoto in videoconferenza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Le Aziende Agricole appellanti elencate in epigrafe (d’ora in poi anche solo “Aziende”) espongono di essere dedite all’allevamento di vacche da latte per la produzione e commercializzazione del latte vaccino e di essere soggette al regime del cd. prelievo supplementare.

Le Aziende hanno impugnato con ricorso al T.A.R. del Lazio – Roma, rubricato al n. 13018/1998 di R.G., i seguenti provvedimenti ed atti:

- gli atti, comunicati ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. n. 5/1998 nel mese di aprile del 1998, con i quali l’AIMA (Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, ora AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) ha determinato i quantitativi di latte prodotti nelle due annate 1995/1996 e 1996/1997 ed ha assegnato i “ quantitativi di riferimento individuali ” ( QRI ) per le campagne dal 1995/1996 al 1998/1999;

- il d.m. 17 febbraio 1998, regolante le procedure di accertamento dei quantitativi di latte prodotto e commercializzato nelle annate 1995/1996 e 1996/1997.

Le ricorrenti, dopo avere ricostruito la normativa comunitaria e nazionale in materia di cd. quote latte, formulavano a supporto del gravame le seguenti censure: illegittimità dell’assegnazione retroattiva dei QRI per violazione dei principi di derivazione comunitaria di certezza del diritto e di affidamento nonché illegittimità del d.m. 17 febbraio 1998;
violazione della normativa comunitaria, per essere state assegnate le quote individuali sulla base di dati inattendibili;
illegittimità comunitaria del sistema nazionale delle quote “A” e “B” e carenza di motivazione del taglio della quota “B”.

Con sentenza in forma semplificata n. 4015/2012 del 4 maggio 2012, resa ai sensi dell’art. 74 c.p.a. in ragione dell’esistenza di precedenti conformi dai quali non si ravvisavano elementi per discostarsi, nonché dell’infondatezza delle censure mosse all’assegnazione retroattiva dei “ QRI ”, il T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II- ter respingeva il predetto ricorso.

Avverso tale sentenza le Aziende hanno presentato l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma e deducendo i seguenti motivi:

1) le comunicazioni impugnate in prime cure sarebbero state effettuate in ritardo rispetto ai termini di cui alla l. n. 468/1992, in violazione di quanto dettato dal Regolamento CEE n. 3950/1992, il quale prevede che le limitazioni produttive individuali devono precedere l’annata della produzione lattiero-casearia in cui dette limitazioni son produttive di effetti;

2) il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla circostanza, evidenziata con il ricorso di primo grado, relativa all’intervenuta sospensione delle comunicazioni dell’AIMA riguardanti le annate dal 1995 ad oggi;

3) il Tribunale avrebbe altresì omesso di pronunciarsi su quanto dedotto a proposito dell’art. 2, comma 1, della l. n. 46/1995 dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 520 del 28 dicembre 1995, che ha sancito la necessità di acquisire previamente il parere di tutte le Regioni interessate;

4) ancora, il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura con la quale si è denunciato il mancato espletamento delle preventive verifiche regionali;

5) e 6) gli atti impugnati in prime cure sarebbero illegittimi per difetto di motivazione e per difetto dell’avviso di avvio del procedimento;

7) il Tribunale avrebbe errato nel ricostruire la situazione di fatto afferente la situazione dei produttori di latte vaccino rispetto agli obblighi comunitari;

8) il Tribunale non avrebbe tenuto conto della relazione conclusiva, datata 26 gennaio 2010, della Commissione di indagine amministrativa istituita con d.m. n. 6501 del 25 giugno 2009;

9) il Tribunale avrebbe errato nell’esaminare la censura di disparità di trattamento;

10) il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi su quanto dedotto nel senso che la responsabilità di ciascuno Stato membro innanzi alla Comunità Europea non si traduce nell’obbligo di corrispondere l’importo dei prelievi quale debito proprio.

Si sono costituiti nel giudizio d’appello l’AGEA ed il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con atto meramente formale.

Nel frattempo, con ordinanza n. 3074/2018 del 23 maggio 2018, pronunciata in una causa distinta (R.G. n. 6/2015) avente oggetto pressoché analogo, la Sezione ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE della seguente questione di diritto: “ se l’art. 2 par. 1 del regolamento comunitario n. 3950/92, debba essere, alla luce di quanto già motivato dalla Corte CE nella Sentenza 5 maggio 2011 in cause riunite C-230/09 e C-231/09 in relazione all’art. 10 comma 3 del regolamento n. 1788/2003/CE, interpretato nel senso che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne può essere effettuata secondo criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se esso debba essere interpretato nel senso che tale fase perequativa debba essere governata da un esclusivo criterio di proporzionalità ”.

Passata in decisione la presente causa all’udienza del 16 aprile 2019, la Sezione ha pronunciato la sentenza non definitiva n. 3456/2019 del 27 maggio 2019, con la quale:

a) ha respinto i motivi dell’appello da 1) a 8);

b) preliminarmente all’esame dei motivi 9) e 10), invece, la Sezione, richiamato il rinvio pregiudiziale di cui alla suindicata ordinanza n. 3074/2018, ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia dei giudici europei: ciò, in virtù della rilevanza diretta della questione sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia UE nel presente giudizio, nel quale – sottolinea la sentenza n. 3456/2019 – si contestano anche gli effetti del meccanismo di compensazione nazionale sulle richieste perequazioni di QRI .

Il rinvio pregiudiziale, disposto con l’ordinanza n. 3074/2018, ha dato origine al procedimento C-348/2018 avanti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che è stato definito con sentenza della VII^ Sezione della predetta Corte del 27 giugno 2019.

Di seguito le appellanti hanno presentato istanza di fissazione d’udienza ex art. 80, comma 1, c.p.a., quindi hanno depositato memoria, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

All’udienza del 26 novembre 2020, tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con l. 18 dicembre 2020, n, 176, dopo una sintetica discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Viene in decisione l’appello presentato dalle Aziende Agricole in epigrafe avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sezione II- ter , n. 4015/2012 del 4 maggio 2012, nella parte che residua dopo la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 3456/2019 del 27 maggio 2019. Quest’ultima ha respinto i motivi di appello da 1) a 8) e preliminarmente all’analisi del nono e decimo motivo, ha disposto la sospensione del giudizio, in ragione della rilevanza diretta nel giudizio della questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE dalla Sezione con ordinanza n. 3074/2018 resa nel giudizio R.G. n. 6/2015, chiamato anch’esso in decisione alla presente udienza.

La questione sottoposta alla Corte di Giustizia dalla citata ordinanza n. 3074/2018 aveva ad oggetto l’interpretazione dell’art. 2, parag. 1, del regolamento CEE n. 3950/92 (applicabile, ratione temporis , alle annate per cui è causa). Il Giudice del rinvio, in sintesi, chiedeva se detta norma potesse essere interpretata nel senso della conformità ad essa di una disciplina nazionale (quale l’art. 1, comma 8, del d.l n. 43/1999) che ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne sia effettuata sulla base di criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se la riassegnazione dovesse essere regolata in via esclusiva da un criterio di proporzionalità.

Orbene la Corte di Giustizia si è pronunciata evidenziando che la normativa di cui all’art. 2, parag. 1, secondo comma, del Reg. CEE n. 3590/92 impone agli Stati membri che abbiano deciso di procedere, in favore dei produttori i quali abbiano superato i rispettivi quantitativi di riferimento ( QRI ), alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati (onde ridurre, per i produttori eccedentari, il prelievo supplementare dovuto per le eccedenze), di effettuare tale operazione di “perequazione” o di “compensazione” a livello nazionale esclusivamente secondo un criterio di proporzionalità ai quantitativi di riferimento ( id est : le quote) a disposizione di ciascun produttore. Il predetto art. 2 non consente, invece, agli Stati membri di effettuare la suindicata compensazione tra gli sforamenti e le sotto-produzioni rispetto alle quote individuali assegnate ai produttori secondo un sistema – qual è quello delineato dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 – volto a dare preferenza a talune categorie di produttori eccedentari, che ne beneficiano in via prioritaria.

Ed infatti, l’art. 1, comma 8, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito con l. 27 aprile 1999, n. 118, ha previsto che: “ La compensazione nazionale è effettuata per i periodi 1995-1996, 1996-1997, 1997-1998 e 1998-1999, secondo i seguenti criteri e nell’ordine: a) in favore dei produttori titolari di quota delle zone di montagna, di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio, del 28 aprile 1975;
b) in favore dei produttori titolari di quota A e di quota B nei confronti dei quali è stata disposta la riduzione della quota B, nei limiti del quantitativo ridotto;
c) in favore dei produttori titolari di quota ubicati nelle zone svantaggiate, di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975, e nelle zone di cui all’obiettivo 1 ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio, del 20 luglio 1993;
d) in favore dei produttori titolari esclusivamente della quota A che hanno superato la propria quota, nei limiti del 5 per cento della quota medesima;
e) in favore di tutti gli altri produttori titolari di quota;
e-
bis ) in favore di tutti gli altri produttori ”.

Deve aggiungersi in argomento, a scanso di equivoci, che la disciplina comunitaria è successivamente mutata per effetto dell’entrata in vigore del Regolamento (CE) 29/09/2003, n. 1788/2003, il cui art. 10, parag. 3, ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne venga compiuta proporzionalmente al quantitativo di riferimento individuale di ciascun produttore che abbia effettuato consegne in eccesso, oppure in base a criteri obiettivi da stabilirsi a cura degli Stati membri (cfr. la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 5 maggio 2011 in C-230/09 e C-231/09, “ K und T E ”). È soltanto a seguito di tale nuova disciplina, dunque, che il diritto comunitario ha accordato agli Stati membri la facoltà di procedere alla riassegnazione delle quote inutilizzate in favore dei produttori eccedentari (onde diminuirne le eccedenze e, con esse, il prelievo supplementare che vi si accompagna) sulla base di criteri oggettivi di priorità, che privilegino alcune categorie di produttori: una facoltà di tal tipo, invece, non era stata accordata agli Stati membri dalla disciplina previgente e, segnatamente, dall’art. 2, parag. 1, del Reg. (CEE) n. 3590/92.

Ha precisato al riguardo la Corte di Giustizia, nella sentenza del 27 giugno 2019 sopra indicata, che “ è (....) pacifico che il regolamento n. 1788/2003, entrato in vigore il 28 ottobre 2003 e applicabile a partire dal 1° aprile 2004, non è applicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale, che concerne il periodo di commercializzazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari che va dal 1° aprile 2000 al 31 marzo 2001 ” (parag. 47) e che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia, “ nel caso in cui un testo giuridico subentri al posto di un altro occorre presumere, fino a prova contraria, che qualsiasi differenza di redazione implichi una differenza di portata, qualora il nuovo testo porti ad una diversa interpretazione (….) . Di conseguenza, dall’introduzione, nel regolamento n. 1788/2003, dell’autorizzazione a procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati secondo criteri obiettivi da fissarsi a cura degli Stati membri non può desumersi che una possibilità siffatta esistesse già nel contesto dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 ” (paragrafi 50 e 51).

Alla stregua della pronuncia della Corte, pertanto, il meccanismo di compensazione nazionale per categorie prioritarie di produttori del settore lattiero, previsto dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, conv. con l. n. 118/1999, risulta non conforme all’art. 2, parag. 1, del Reg. CEE n. 3950/1992: ciò determina la disapplicazione della suddetta norma interna, con conseguente caducazione degli atti e provvedimenti adottati sulla sua base.

Orbene, nel caso di specie gli atti impugnati sono anteriori all’entrata in vigore del d.l. n. 43/1999 e risultano emanati sulla base della disciplina preesistente. Le stesse Aziende appellanti hanno infatti specificato, già a partire dal ricorso innanzi al T.A.R., che le comunicazioni impugnate sono ad esse pervenute ai sensi dell’art. 2, comma 5, del d.l. 1° dicembre 1997, n. 411, convertito con l. 27 gennaio 1998, n. 5.

Nondimeno, nella memoria finale da esse depositata le Aziende hanno insistito sulla rilevanza diretta, nella presente controversia, della questione decisa dai Giudici europei, atteso che il meccanismo di compensazione basato su categorie prioritarie (di cui all’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, conv. con l. n. 118/1999) sarebbe stato utilizzato anche per le annate lattiere di cui è controversia. Detta asserzione non è stata specificamente contestata dalla difesa erariale, cosicché di essa deve tenersi conto ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 2, c.p.a..

Soprattutto, tale rilevanza diretta era già stata accertata dalla sentenza non definitiva n. 3456/2019 e da detto accertamento, ormai incontrovertibile, questo Giudice non può prescindere.

A questo punto, però, si pone il problema dell’omessa formulazione, sia nel giudizio di primo grado, sia in appello, di una censura specifica da parte delle Aziende appellanti avente ad oggetto la succitata violazione, ad opera del meccanismo di compensazione previsto dal Legislatore italiano per categorie prioritarie di produttori, del regolamento CEE n. 3950/1992: ciò, avuto riguardo sia al principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. – applicabile anche nel processo amministrativo in forza del “rinvio esterno” ex art. 39 c.p.a. – sia al principio del contraddittorio, sia alla regola della specificità dei motivi di appello sancita dall’art. 101, comma 2, c.p.a..

Una censura di tal tenore, infatti, non si rinviene nelle doglianze formulate con il ricorso innanzi al T.A.R., ed è estranea ai motivi di appello (il nono e il decimo) che residuano dopo la pronuncia della sentenza non definitiva n. 3456/2019. Essa è estranea, altresì, ai motivi di appello esaminati e respinti da detta sentenza.

Della mancata proposizione della censura, peraltro, si mostrano consapevoli le medesime appellanti, le quali, nella memoria finale, dopo avere asserito di aver lamentato nel giudizio l’illegittimità delle comunicazioni impugnate sulla base delle ragioni di diritto accolte dalla Corte di Giustizia (ma senza specificare in quale motivo tale doglianza sarebbe contenuta), hanno invocato i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di disapplicazione officiosa della disciplina interna incompatibile con quella comunitaria (v. infra ).

Peraltro, anche ad opinare diversamente ed a ritenere che la censura in discorso possa individuarsi nel nono motivo dell’appello – avente ad oggetto la violazione del principio di parità di trattamento, in quanto lo Stato italiano avrebbe determinato il prelievo supplementare a carico solo di alcuni dei produttori, lasciando impregiudicati altri che si troverebbero nelle medesime condizioni produttive dei primi – residuerebbe comunque il problema di come armonizzare la necessaria primazia del diritto eurounitario (che non tollera che la compensazione per categorie prioritarie di produttori possa trovare applicazione alle campagne lattiere per cui è causa) con la regola processuale del divieto dei nova in appello (art. 104 c.p.a.): ciò, giacché nel ricorso di primo grado non si rinviene una doglianza di tal tenore.

Nondimeno, ritiene il Collegio di dover pervenire alla disapplicazione ex officio del meccanismo di compensazione nazionale per categorie prioritarie di produttori previsto dal Legislatore italiano e, attraverso essa, all’accoglimento dell’appello, nella parte di esso che residua dopo la sentenza non definitiva n. 3456/2019, stante l’affermazione, da parte della sentenza de qua , della diretta rilevanza nel presente giudizio della questione del contrasto di detto meccanismo con l’art. 2, parag. 1, del Reg. CEE n. 3950/92.

Alla conclusione della disapplicazione ex officio della norma interna incompatibile con la disciplina comunitaria, pur in difetto di una specifica censura – in primo grado e in appello – volta a lamentare siffatta incompatibilità, conduce la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 25 giugno 2018.

Con detta pronuncia, infatti, la Plenaria ha enunciato, tra l’altro, il principio di diritto secondo cui “ il Giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione a un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione Europea ”.

In particolare, la pronuncia in commento ha escluso la predicabilità di alcuna preclusione per il G.A. nel rilevare la non applicabilità della disposizione normativa nazionale (nel caso analizzato si trattava di un regolamento) in contrasto con il diritto dell’UE.

A supporto del principio la Plenaria richiama la giurisprudenza costituzionale, la quale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna in contrasto con il diritto dell’UE, conformemente a consolidati orientamenti della Corte di Giustizia: vengono richiamate, in proposito, le sentenze della Corte costituzionale nn. 384 del 10 novembre 1994 e 482 del 7 novembre 1995. Con la prima di esse i giudici costituzionali hanno chiarito che le “ norme contrarie al diritto comunitario (…) dovrebbero comunque essere disapplicate dai Giudici e dalla P.A. ”;
con la seconda, hanno sottolineato come le norme comunitarie operino su un piano diverso da quello proprio delle norme nazionali, di tal ché il rapporto tra le due categorie di fonti “ è di competenza e non di gerarchia o di successione nel tempo ”, con il corollario che “ la norma nazionale diviene non applicabile se e nei limiti in cui contrasti con le disposizioni comunitarie precedenti o sopravvenute ”.

Ma, allora, il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa della norma interna illegittima risulta confinato alle ipotesi – estranee sia al caso sottoposto alla Plenaria, sia alla presente fattispecie – in cui l’illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto dell’UE. Il principio di primazia del diritto eurounitario fa sì che, laddove una norma interna risulti in contrasto con tale diritto e non ne sia possibile un’interpretazione di carattere conformativo, rimanga comunque preclusa al Giudice nazionale la possibilità di applicare la suddetta norma interna.

Nel senso appena indicato – dell’ammissibilità della disapplicazione ex officio della norma interna contrastante con il diritto eurounitario pur in difetto di una specifica censura di parte volta a lamentare il suddetto contrasto – si è espressa, del resto, una recente pronuncia di questo Consiglio di Stato (Sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1105), relativa ad una fattispecie in materia di quote latte in tutto analoga a quella ora in esame.

Detta pronuncia, richiamando i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 9/2018, ha affermato che nel caso in esame non solo il Giudice nazionale deve astenersi dal dare applicazione nell’ordinamento interno ad una disciplina in contrasto con il diritto UE, ma può e deve riconoscere diretta applicazione ad una disposizione, i cui contenuti sono stati chiariti dalla Corte di Giustizia UE nel senso del non ammettere, ove lo Stato membro opti per il meccanismo di compensazione nazionale, la preferenza di taluni imprenditori rispetto ad altri.

Per tal via, dunque, si superano i dubbi di ordine processuale sopra avanzati, senza trascurare che la parte pubblica ha comunque avuto modo di far valere le proprie ragioni nel giudizio innanzi alla Corte di Giustizia e che, dopo l’istanza di riassunzione della presente causa da parte delle appellanti, queste ultime, diversamente dalla P.A., hanno svolto ulteriore attività difensiva.

In aggiunta, il Collegio richiama l’indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072;
8 settembre 2008, n. 4263 e 10 gennaio 2003, n. 35;
Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579), secondo il quale, mentre la violazione del diritto comunitario comporta un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante (da far valere nell’ordinario termine di decadenza, a pena dell’inoppugnabilità di tale atto), si ha nullità (o inesistenza) nelle ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario e quindi disapplicabile.

Con il ché, si perviene anche per questa via al superamento del problema dell’assenza di una censura specifica, nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, relativa all’incompatibilità comunitaria del meccanismo di compensazione nazionale sotto il profilo richiamato: ciò, vista la rilevabilità ex officio della nullità e considerato che, con la sospensione del giudizio – disposta dalla sentenza non definitiva n. 3456/2019 cit. proprio in ragione della rilevanza diretta, nel presente giudizio, della suindicata questione di incompatibilità comunitaria – si può ritenere assolto nei confronti delle parti l’onere di avviso ex art. 73, comma 3, c.p.a..

In conclusione, l’inapplicabilità del meccanismo di compensazione nazionale per categorie prioritarie di produttori e la necessità, ai sensi della normativa eurounitaria ratione temporis applicabile, che le riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali ( QRI ) inutilizzati vengano effettuate in proporzione ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, determinano l’accoglimento dell’appello, senza che si debba procedere alla disamina delle ulteriori censure dedotte con il nono e decimo motivo.

Infatti, la caducazione degli atti e provvedimenti impugnati in prime cure comporta la necessità per la Pubblica Amministrazione di procedere ad una complessiva attività di rideterminazione (C.d.S., Sez. II, n. 1105/2020, cit.).

Le difficoltà interpretative della disciplina di settore e le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio.

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