Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-06-03, n. 202204536

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-06-03, n. 202204536
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204536
Data del deposito : 3 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2022

N. 04536/2022REG.PROV.COLL.

N. 08893/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8893 del 2015, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dapprima dall’avvocato F P e, a seguito della revoca del relativo mandato, dall’avvocato C F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S F, in Roma, Piazza G. Mazzini, n. 8,

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T Lazio, sede di Roma, -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Ministero dell’Interno;

Vista la documentazione relativa all’adempimento dell’ordinanza collegiale istruttoria -OMISSIS-, depositata dal signor -OMISSIS- in data -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data -OMISSIS-, il Prefetto della Provincia di Roma ha emesso un decreto con il quale è stata disposta la revoca delle misure di accoglienza al cittadino -OMISSIS- -OMISSIS-.

Tale provvedimento ha tratto fondamento dalla relazione di servizio del Commissariato di P.S. -OMISSIS- del -OMISSIS-, relativa ai fatti intervenuti in data -OMISSIS- presso il C.A.R.A. -OMISSIS-. In particolare, il signor -OMISSIS-, ospite della citata struttura, ha preso parte, in concorso con altri, ad un’azione di protesta che ha impedito l’ingresso e lo svolgersi della normale attività lavorativa del Centro.

2. Con ricorso proposto innanzi al T Lazio, sede di Roma, il signor -OMISSIS- ha avversato detto provvedimento, deducendo, in particolare, la violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990 e ha formulato la domanda di risarcimento dei danni.

3. Con sentenza -OMISSIS-, il T Lazio ha accolto parzialmente il ricorso.

Nello specifico ha annullato il provvedimento in parola, ritenendo suscettibile di accoglimento la censura relativa alla violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990, stante la mancanza nell’atto delle ragioni di urgenza e di indifferibilità che avrebbero potuto giustificare l’omesso previo avviso dell’inizio del procedimento e la censura relativa al difetto di motivazione, dato che dagli atti richiamati per relationem è stato possibile avere contezza della complessiva situazione verificatasi nel centro di accoglienza senza, però, possibilità di ricostruire la specifica posizione del ricorrente.

Il T ha, invece, respinto la domanda di risarcimento dei danni, non ritenendo raggiunta la prova di tutti gli elementi dell’illecito, in particolare di quello soggettivo riferito alla colpa dell’amministrazione.

4. La citata sentenza -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato -OMISSIS- e depositato -OMISSIS-, chiedendo, in sua parziale riforma, l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.

In particolare, il T avrebbe errato nel ritenere che la condotta della Prefettura potesse essere scusata dalla particolare situazione delle proteste e dalla circostanza che si trattasse delle prime applicazioni della disciplina relativa alla revoca delle misure di accoglienza.

Al contrario, l’amministrazione non si sarebbe in alcun modo preoccupata di provare l’errore scusabile e l’inesigibilità di una condotta alternativa lecita, mentre il signor -OMISSIS- avrebbe analizzato in maniera approfondita i singoli elementi che costituiscono la prova della sussistenza in capo all’interessato del diritto al risarcimento del danno di tipo tanto patrimoniale, quanto non patrimoniale.

5. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, senza espletare difese scritte.

6. La Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Roma non si è costituita in giudizio.

7. Con ordinanza collegiale -OMISSIS-, la Sezione ha disposto incombenti istruttori a carico di entrambe le parti in giudizio diretta a “meglio comprendere le circostanze di fatto che hanno condotto all’adozione del provvedimento annullato dal TAR e valutare se esse abbiano inciso sullo sviluppo e sull’esito del procedimento di revoca” e a “verificare l’entità del presumibile costo dell’accoglienza dell’interessato, al fine di determinare l’entità del pregiudizio patrimoniale subito”.

8. Alla pubblica udienza del 19 maggio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il T Lazio, con sentenza -OMISSIS- ha accolto in parte il ricorso, proposto dal cittadino -OMISSIS- -OMISSIS- per l’annullamento della revoca delle misure di accoglienza e per il riconoscimento del conseguente risarcimento del danno subito per effetto del provvedimento asseritamente illegittimo. In particolare, il giudice di primo grado ha annullato il provvedimento impugnato per violazione del principio del contraddittorio, essendo stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento e per difetto di motivazione ed ha, invece, respinto l’istanza di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, per non essere “stata raggiunta la prova di tutti gli elementi dell’illecito, in particolare di quello soggettivo relativo alla colpa dell’Amministrazione, considerata la particolare situazione delle proteste nel centro di accoglienza e trattandosi delle prime applicazioni della disciplina relativa alla revoca delle misure di accoglienza”.

La sentenza è stata impugnata dal solo signor -OMISSIS- per il capo relativo alla reiezione dell’istanza di risarcimento danni.

Al fine del decidere, in mancanza di scritto difensivo delle Amministrazioni intimate, la Sezione, con ordinanza collegiale -OMISSIS-, ha disposto incombenti istruttori a carico dell’appellante e di parte appellata, adempiuti solo dal primo. Ciò nonostante il Collegio ritiene di poter decidere allo stato degli atti, in considerazione delle ragioni poste dal giudice di primo grado alla base dell’annullamento della impugnata revoca e alla luce della domanda formulata da parte appellante. Nello specifico, quest’ultimo ha richiesto il risarcimento del danno da perdita del bene della vita (i.e. le misure di accoglienza) che sicuramente gli sarebbe spettato se l’amministrazione avesse agito legittimamente, postulando quindi unicamente un danno da spettanza.

2. L’appello è infondato.

Invero, va premesso che costituisce orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione (Cons. Stato, -OMISSIS-;
id. -OMISSIS-).

Ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto;
ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico (Cons. Stato, -OMISSIS-).

Ciò posto, occorre principiare dall’accertamento contenuto nella sentenza gravata, che costituisce il perimetro oggettivo all’interno del quale va delibata la pretesa risarcitoria azionata in giudizio.

Il primo giudice – come anticipato – ha annullato il decreto questorile avendo riscontrato una violazione del principio del contradditorio in fase procedimentale e un difetto di motivazione e ha fatto salve le ulteriori determinazioni che l’amministrazione avrebbe potuto assumere.

Già questo dato permette di concludere nel senso che manchi nel caso di specie adeguata prova della spettanza del bene della vita anelato dal privato.

Invero, sul punto il Collegio non intende discostarsi dai consolidati principi giurisprudenziali in base ai quali l’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo per vizi formali, tra i quali si può annoverare non solo il difetto di motivazione, ma anche e soprattutto i vizi del procedimento, non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può, pertanto, costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno (Cons. Stato, -OMISSIS-).

L’ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell’amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario;
tutela che, invece, deve essere esclusa quando l’interesse legittimo riceva tutela idonea con l’accoglimento dell’azione di annullamento, ossia nel caso in cui il danno sia stato determinato da una illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l’amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante (Cons. Stato, -OMISSIS-).

Nel caso all’esame del Collegio, l’annullamento disposto dal primo giudice per vizi procedimentali ha lasciato intatto il potere dell’amministrazione di rinnovare il procedimento eliminando i vizi riscontrati in sede giurisdizionale, tanto che lo stesso T ha fatto salve le ulteriori determinazioni dell’autorità pubblica. Dunque, nelle ipotesi in cui residui spazio per la discrezionalità amministrativa, risulta impossibile sia configurare come “ingiusto” il danno lamentato dal signor -OMISSIS-, sia configurare un collegamento causale tra il suddetto danno e il comportamento procedimentale tenuto dall’amministrazione competente, sicché non è suscettibile di positiva valutazione l’affermazione dell’appellante secondo cui “appare infatti lampante come l’odierno ricorrente, se non fosse stato emesso il provvedimento impugnato, avrebbe avuto diritto ad usufruire delle misure di accoglienza fino alla definizione della procedura di riconoscimento della protezione internazionale”.

Ciò chiarito con riguardo all’elemento oggettivo della fattispecie risarcitoria, va evidenziato che la sentenza di prime cure ha escluso la sussistenza della pretesa risarcitoria ritenendo carente la prova di tutti gli elementi dell’illecito aquiliano con particolare riferimento al requisito soggettivo attinente alla colpa dell’amministrazione.

Tale affermazione risulta corretta e si correla logicamente, per le ragioni anzidette, alla mancata prova della spettanza del bene della vita in capo al privato.

Invero, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non può ritenersi che il primo giudice abbia invertito l’onere della prova in ordine all’elemento soggettivo della colpa ponendolo in capo al signor -OMISSIS-.

Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in capo al privato danneggiato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria, potendo lo stesso limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, mentre spetta alla pubblica amministrazione provare di essere incorsa in un errore scusabile.

Va però chiarito che l’illegittimità in grado di fondare la presunzione di colpevolezza in capo all’autorità pubblica è quella di carattere c.d. sostanziale, la quale da sola consente di ritenere l’accertamento, in termini di certezza o quantomeno di probabilità vicino alla certezza, della spettanza del bene della vita oggetto dell’aspettativa giuridicamente tutelata. Di converso, l’acclarata illegittimità c.d. “formale” – qual è quella che qui si occupa – si risolve nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento, ma non contiene alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso e quindi non riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale azionata (Cons. Stato, -OMISSIS-).

Dunque, la prova richiesta dal T era tanto più necessaria considerate le ragioni dell’annullamento giurisdizionale (ormai coperte dal giudicato endoprocessuale), che ex se escludono addirittura la debenza del risarcimento. In altri termini, nel caso all’esame, risulta carente quel principio di prova che permette al privato di alleggerire il suo onere probatorio e di riversarlo in capo alla p.a.

Venuto meno il principio di prova idoneo a fondare la presunzione di colpevolezza, sarebbe stato onere del privato far emergere elementi in grado di dimostrare che la condotta dell’amministrazione avesse violato i canoni del buon andamento e dell’imparzialità;
prova che non è stata raggiunta.

Invero, contrariamente a quanto sostenuto dal signor -OMISSIS-, la normativa concernente il potere di revoca delle misure di accoglienza di cui all’art. 12, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 140 del 2005, ratione temporis applicabile, non è di facile lettura e tutt’oggi i suoi confini applicativi sono oggetto di diverse interpretazioni ermeneutiche. Né è prova la circostanza che attualmente pendono dinanzi alla Corte di giustizia UE due questioni concernenti l’interpretazione della normativa interna in tema di revoca delle misure di accoglienza (Cons. Stato, -OMISSIS-), sicché la regola dell’azione amministrativa, che asseritamente ha sottratto illegittimamente al signor -OMISSIS- il bene della vita, non è chiara, ma ambigua ed equivoca.

Pertanto, non può dirsi che l’amministrazione abbia violato in maniera macroscopica ed evidente i criteri del buon andamento e dell’imparzialità. L’elevato grado di discrezionalità che caratterizza il potere di revoca de quo (Cons. Stato, -OMISSIS-, in riferimento alla medesima causa di revoca, trasposta oggi nell’art. 23, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 142 del 2015) e la circostanza che non risulta palese che tale potere sia stato esercitato in spregio delle regole di correttezza e proporzionalità, data l’ambiguità della normativa, impediscono di considerare provata la colpa in capo all’autorità procedente.

3. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto, non risultando provato né l’elemento oggettivo della fattispecie risarcitoria di illecito aquiliano, né quello soggettivo.

Le spese possono essere compensate stante l’assenza di difese scritte del Ministero dell’Interno, costituito in giudizio. Nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma, non costituita in giudizio.

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