Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-12-15, n. 202310868

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-12-15, n. 202310868
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202310868
Data del deposito : 15 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/12/2023

N. 10868/2023REG.PROV.COLL.

N. 09154/2022 REG.RIC.

N. 06930/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9154 del 2022, proposto da
Comune di La Maddalena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, A P, A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

GdS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati B B, N M, S B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 6930 del 2023, proposto da
Comune di La Maddalena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, A P, A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

G.D.S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati B B, N M, S B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

quanto al ricorso n. rg. 9154 del 2022:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Sardegna (sezione Seconda) n. 00508/2022, resa tra le parti;

quanto al ricorso r.g. n. 6930 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (sezione Seconda) n. 00414/2023, resa tra le parti;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di GdS s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2023 il Pres. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati A C, B B e S B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame (r.g. n. 9154/2022), il Comune di La Maddalena impugna la sentenza 15 luglio 2022 n. 508, con la quale il TAR per la Sardegna, sez. II, previa riunione, ha accolto i ricorsi r.g. n. 338/2020 e 65/2022, con conseguente annullamento degli atti impugnati, e precisamente:

- (ric. n. 338/2020): del provvedimento 27 aprile 2020, con il quale è stata dichiarata la decadenza dell’autorizzazione unica 17 agosto 2016 n. 35/16, di ampliamento della struttura bar-ristorante in loc. Spalmatore, ed implicitamente respinta l’istanza di proroga;

- (ric. N. 65/2022): del provvedimento 2 dicembre 2021 n. 26329, del Dirigente SUAPE del Comune di La Maddalena, con il quale è stato comunicato il diniego della pratica SUAPE avente come oggetto “ripristino stato dei luoghi ex ante con eliminazione bonus volumetrico ex l. reg. 4/2009”, in loc. Spalmatore.

La controversia in esame riguarda una struttura per servizi di ristorazione, di proprietà della società GdS s.r.l., per la quale erano stati autorizzati interventi con provvedimento unico 17 agosto 2016 n. 35/2016, con una serie di prescrizioni, fra le quali, in particolare, la previa demolizione dei volumi cd. “incongrui”, abusivamente realizzati.

Essendosi verificato un “crollo accidentale” di alcune parti di vetuste pareti, il Comune sospendeva i lavori (ord. n. 1/2017) e con sopralluogo effettuato in data 19 gennaio 2017, verificava che l’intero immobile era stato illegittimamente demolito.

Inibita una SCIA presentata dalla società proprietaria (provv. del 3 marzo 2017), in quanto le opere erano da ritenersi in “difformità totale” da quanto autorizzato, la società impugnava sia tale ultimo atto, sia l’ordinanza di sospensione lavori.

Tuttavia, tale ricorso veniva respinto dal

TAR

Sardegna, con sentenza n. 519/2017 e, di seguito, il Consiglio di Stato respingeva l’appello proposto avverso tale decisione, con sentenza n. 5734/2018.

Successivamente, la società presentava una nuova SCIA per ristrutturazione edilizia senza modifica di sagoma, ma la stessa veniva rigettata:

- sia sul presupposto della insussistenza della conformità urbanistica dell’intervento con le NTA del Piano regolatore e del PUC adottato nel 2015, che non consentirebbero interventi di ristrutturazione in zona H;

- sia sul presupposto che, essendo stata la SCIA presentata quale “variante in corso d’opera”, la stessa – in quanto assoggettata alla medesima disciplina urbanistica vigente al momento dell’adozione del titolo principale (ex art. 7ter, co. 6, l. reg. n. 23/1985), non sarebbe stata assentibile, in quanto la l. reg. n. 4/2009 non prevedeva la ristrutturazione in zona H nei 150 m. dal mare.

Avverso tale atto non veniva interposto gravame e successivamente, con ordinanza del 27 aprile 2020 veniva dichiarata la decadenza dell’autorizzazione unica n. 35/16 (della quale era stata richiesta proroga), sul presupposto della “abusività” e della “non sanabilità” delle opere realizzate senza titolo (demolizioni nella parte non prevista).

Proposto ricorso avverso tale provvedimento, la società proprietaria ha proposto altresì, in data 17 luglio 2020, una istanza di accertamento di conformità, rubricata “ripristino stato dei luoghi ex ante con eliminazione bonus volumetrico ex l. r. 4/2009”.

Anche tale istanza era, però, rigettata dal Comune, ed essa ha formato oggetto del secondo ricorso proposto.

2. La sentenza impugnata – precisato in via preliminare che entrambi i ricorsi avrebbero dovuto essere esaminati nel merito, non comportando l’eventuale accoglimento del primo l’improcedibilità del secondo per difetto di interesse - afferma, in particolare:

- il provvedimento oggetto del primo ricorso “non sarebbe un provvedimento di decadenza ex art. 15 del DPR n. 380/2001…bensì quale atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere sanzionatorio, riconducibile alla categoria concettuale della c.d. revoca-decadenza, derivante dal fatto che nell’esecuzione dei lavori fosse stato commesso un abuso i.e. la demolizione totale del fabbricato e non dei soli volumi indicati nel titolo edilizio”;

- a fronte di ciò, il Comune “non avrebbe potuto per tale ragione dichiarare la decadenza del titolo edilizio, che è circostanza connessa unicamente al decorso dei termini”;
in altri termini “il Comune avrebbe dovuto provvedere sull’istanza di proroga del titolo edilizio da parte del ricorrente, valutando le circostanze rilevanti per l’esercizio del potere di decadenza previste dall’art. 15 del TUE, non potendo ritenere che la presenza di un abuso nell’esecuzione dei lavori possa condurre all’adozione di un provvedimento di decadenza dal titolo”;

- “né può assumersi che tale potere si fonderebbe su un supposto generale potere di revoca-decadenza, posto che l’eventuale realizzazione di opere difformi dal titolo edilizio è fattispecie che abilita l’ente locale ad esercitare altri e diversi poteri repressivi e sanzionatori, ma non già quello di dichiarazione di decadenza dall’autorizzazione unica rilasciata”;

- quanto al secondo ricorso (r.g. n. 65/2022), è illegittimo il diniego opposto all’istanza della società sulla base di quanto affermato, proprio con riferimento all’intervento de quo, dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 5734/2018.

3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando;
illogicità ed abnormità manifesta;
travisamento della fattispecie in diritto;
travisamento dei fatti di causa in merito alla valutazione del presupposto;
erronea valutazione delle risultanze documentali;
difetto di motivazione;
illogicità e incongruenza della motivazione;
travisamento dei presupposti e delle risultanze processuali;
sviamento;
ciò in quanto: a1) il provvedimento di decadenza adottato è “un atto vincolato, dettato dalla assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine il rilascio della stessa autorizzazione. Si tratta dunque di un atto emanato nell’esercizio di un potere vincolato di revoca sanzionatoria, o decadenziale, o decadenza sanzionatoria, correlato unicamente alla ricorrenza dei presupposti richiesti per far venir meno il beneficio originariamente concesso”, né “l’esercizio del suddetto potere . . . richiede una valutazione specifica o una motivazione sulla sussistenza e prevalenza dell’interesse pubblico, rispetto all’affidamento del privato, essendo questo in re ipsa”;
a2) il provvedimento adottato non è qualificabile come annullamento in autotutela, in quanto esso è espressione di un potere vincolato e “trova la sua ratio nella violazione commessa dalla società ricorrente in primo grado, in relazione alla sussistenza dei requisiti posti a fondamento della a.u. ed è pertanto idoneo a reprimere un comportamento integrante un abuso”;
a3) in tal senso, il richiamo all’art. 15 DPR n. 380/2001 è “del tutto inappropriato, fuorviante ed inconferente, trattandosi anche in questo caso di fattispecie ontologicamente distinte”, poiché “il provvedimento di decadenza oggetto di gravame in primo grado consiste in un atto di ritiro, naturalmente conseguente ad una condotta contra ius”;

b) error in iudicando;
illogicità ed abnormità manifesta;
travisamento della fattispecie in diritto;
ingiustizia manifesta;
violazione dei canoni di logicità e congruità della motivazione;
travisamento dei fatti in merito alla valutazione del presupposto del fumus ed erronea valutazione delle risultanze documentali;
difetto di motivazione;
ciò in quanto “l’obiter contenuto nella sentenza n. 5743/2018 del Consiglio di Stato rileva al tempo della pronuncia quando – di contro – la SCIA è stata presentata il 17 luglio 2020, con attuazione ed efficacia delle NTA del PAI al precedente 16 giugno 2020”;
l’art. 27 NTA, pur consentendo nelle aree di pericolosità idraulica molto elevata interventi di ristrutturazione edilizia “esclude da esso quello più rilevante e significativo demolizione-ricostruzione, ancorché quest’ultimo sia astrattamente ricompreso negli interventi edilizi previsti dalla ristrutturazione edilizia”, come definita dall’art. 3 DPR n. 380/2001;
peraltro gli interventi di ristrutturazione (esclusa la ristrutturazione effetto di demolizione e ricostruzione), sono ammessi “soltanto a valere su immobili a destinazione residenziale”.

4. Si è costituita in giudizio la società GdS s.r.l., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Nelle more del giudizio, l’appellante ha fatto presente, con istanza del 9 agosto 2023, per l’adozione di misura cautelare collegiale (sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata), che:

“la ricorrente in primo grado società GDS S.r.l. ha proposto giudizio di ottemperanza ex art. 112114 c.p.a. avanti al Tribunale Amministrativo della Sardegna al fine di domandare l’esecuzione del giudicato nonché, con motivi aggiunti di ricorso, ha richiesto la declaratoria di nullità per elusione del giudicato e/o l’annullamento del provvedimento nelle more ‘rieditato’ dall’Amministrazione civica (prot. 4290 del 6.03.2023, che ha confermato integralmente, a seguito di debita ed ulteriore motivazione, il provvedimento prot. 26329 del 2.12.2021 in ordine al diniego sull’istanza di accertamento in conformità);
- con sentenza n. 414/2023, pubblicata in data 8.06.2023, il Tribunale Amministrativo della Sardegna ha dichiarato la nullità del citato provvedimento, ordinando all’Amministrazione civica un – nuovo ed ulteriore – riesercizio del potere amministrativo entro 60 giorni, nominando sin dalla pronuncia il Commissario ad acta, individuato nel Direttore Generale dell’Assessorato regionale degli Enti locali, con facoltà di delega;
- che la citata pronuncia n. 414/2023 è stata immediatamente impugnata con ricorso già notificato ed in corso di deposito, recante richiesta di misure cautelari collegiali”.

All’udienza in camera di consiglio, fissata per l’esame dell’istanza cautelare, la causa, sussistendo i presupposti ex art. 60 c.p.a., è stata trattenuta in decisione per il merito.

5. Con appello r.g. n. 6930/2023, il Comune di La Maddalena impugna la sentenza 8 giugno 2023 n. 414, con la quale il TAR per la Sardegna, sez. II, ha accolto il ricorso (integrato da successivi motivi aggiunti) per l’ottemperanza alla propria sentenza 15 luglio 2022 n. 508.

In particolare, la sentenza de quo, oltre a disporre per l’ottemperanza, nominando il commissario ad acta per il caso di perdurante inottemperanza, ha altresì dichiarato la nullità del provvedimento 6 marzo 2023 n. 4290, denominato “provvedimento di diniego – conferma” dei “contenuti nonché le condizioni e le prescrizioni di cui al provvedimento dirigenziale prot n. 26329 del 2 dicembre 2021” (cioè del provvedimento di diniego dell’accertamento di conformità (già oggetto di annullamento con la sentenza n. 414/2023), ma “ritenendo di avere integrato e approfondito la motivazione in sede di riesercizio del potere”.

La sentenza ha, in particolare, affermato:

- il provvedimento di riesercizio del potere deve essere dichiarato nullo per violazione del giudicato;

- quanto al contrasto con l’art. 27 delle NTA del PAI, non è rilevante che la norma “non fosse vigente al momento della decisione del Consiglio di Stato, poiché detta norma non vieta gli interventi di ristrutturazione tout court, bensì solo quelli di demolizione e ricostruzione e il Consiglio di Stato ha rilevato che quanto oggetto dell’istanza della ricorrente non rientrasse nella seconda tipologia”;

- “il vincolo discendente dal giudicato afferisce all’impossibilità di qualificare l’intervento in esame come intervento di demolizione e ricostruzione, come già ritenuto dal Consiglio di Stato”;

- il Comune di La Maddalena può riesercitare il potere sull’istanza presentata dalla parte ricorrente “con il vincolo motivazionale portato dalla sentenza ottemperanda e dalla presente decisione, in relazione alla qualificazione dell’intervento in esame, che non può essere qualificato come “demolizione e ricostruzione”.

6. Avverso tale decisione, sono stati proposti i seguenti motivi di appello:

a1) error in iudicando;
illogicità ed abnormità manifesta;
travisamento della fattispecie in diritto;
travisamento dei fatti di causa in merito alla valutazione del presupposto;
erronea valutazione delle risultanze documentali;
difetto di motivazione;
illogicità e incongruenza della motivazione;
travisamento dei presupposti e delle risultanze processuali;
sviamento;
ciò in quanto la qualificazione dell’intervento e la possibilità di presentare una nuova SCIA sono state effettuate da parte del Consiglio di Stato con un mero obiter nell’ambito della sentenza n. 5734/2018 e la presentazione di SCIA costituisce una nuova pratica, assoggettata alla normativa vigente al momento della sua presentazione;

b1) error in iudicando;
illogicità ed abnormità manifesta;
travisamento della fattispecie in diritto;
ingiustizia manifesta;
violazione dei canoni di logicità e congruità della motivazione;
travisamento dei fatti in merito alla valutazione del presupposto del fumus ed erronea valutazione delle risultanze documentali;
difetto di motivazione;
ciò in quanto “l’obiter contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato rileva al tempo della pronuncia quando – di contro – la SCIA “è stata presentata il 17 luglio 2020, con attuazione ed efficacia delle NTA del PAI al precedente 16 giugno 2020”.

7. Si è costituito anche in questo giudizio la società GdS s.r.l., che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza in Camera di consiglio per la decisione sulla proposta istanza cautelare, il Collegio, ravvisati i presupposti di cui all’art. 60 c.p.a., ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO

8. Gli appelli, previa loro riunione stante la connessione, sono fondati e devono essere, pertanto, accolti.

8.1. Il Collegio ritiene utile precisare che non osta alla riunione (sussistendo le ragioni di connessione) l’appartenenza delle due cause in grado di appello la prima al giudizio di cognizione e la seconda a quello di ottemperanza, e ciò anche sulla scorta di quanto già affermato (e concretamente disposto) dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 15 gennaio 2013 n. 2.

Come ivi affermato, “la riunione dei ricorsi appare coerente con il principio di effettività (completezza) della tutela giurisdizionale, rendendo possibile la valutazione complessiva del giudice di una pretesa di parte sostanzialmente unitaria. In attuazione di quanto esposto, occorre quindi ritenere corretto che nel caso di specie si sia proceduto alla riunione dei due appelli originati, rispettivamente, dal giudizio di ottemperanza e dal giudizio di cognizione”.

La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha già avuto modo di osservare che “stante l’identità di collegio giudicante e di data di udienza, i dati dei due giudizi (atti processuali ivi depositati ed esito della decisione), rientrando nella legittima cognizione del giudice, ben possono essere scambievolmente utilizzati, anche in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dall’art. 24 Cost. ed affermato dagli artt. 1 e 2 c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4027;
20 gennaio 2012 n. 257;
11 settembre 2011 n. 4889).

9.1. Ai fini della decisione del primo degli appelli proposti, giova osservare, in punto di fatto, che:

- il provvedimento impugnato 27 aprile 2020 che ha dichiarato la decadenza del titolo autorizzatorio unico n. 35/16 è stato adottato onde provvedere sull’istanza di proroga della validità del predetto titolo, di modo che (si legge nell’atto) “al fine di dare riscontro all’istanza di proroga suddetta, si rende necessario verificare il perdurare dei presupposti e delle condizioni che hanno consentito il rilascio del Provvedimento Unico in argomento”;

- a tal fine, si è constatato che “alla luce delle risultanze dell’Ordinanza di Sospensione Lavori n. 1 del 19.01.2017 (i cui contenuti sono stati confermati dalle Sentenze citate) - con la quale è stata constatata la pressoché completa demolizione del fabbricato originario e legittimato - siano venute meno le condizioni del Provvedimento edilizio in oggetto che non prevedeva la preventiva demolizione del fabbricato, intervento quest’ultimo “in totale difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato”;
Dato atto e ritenuto che le prescrizioni apposte al titolo abilitativo unico alla Sezione F – Prescrizioni particolari, rappresentavano, così come rappresentano, delle condizioni essenziali per l’assentibilità dell’intervento tenuto conto sia della normativa edilizia/urbanistica che di quella ambientale generalmente applicabili alla fattispecie”;

- che “appare evidente che le condizioni di cui al titolo abilitativo alla Sezione F – Prescrizioni particolari, non sono state osservate giacché come emerge dagli stessi atti processuali del contenzioso celebratosi: - Il provvedimento unico del 17 agosto 2016 imponeva di procedere alla demolizione di “tutti i volumi incongrui o sui quali sussista il dubbio di legittimità”, prima di iniziare gli interventi di ampliamento della struttura. Dal confronto tra le elaborazioni di cui alla pagina 23 della relazione paesaggistica e la documentazione fotografica allegata alla relazione concernente il sopralluogo del 19 gennaio 2017 si evince chiaramente che il manufatto è completamente diverso rispetto a quello esistente al tempo dell’autorizzazione”;

- alla luce di tutto ciò, il provvedimento – preso atto del fatto che “alla luce delle risultanze istruttorie agli atti di Questo ufficio appare evidente che le condizioni di cui al titolo abilitativo alla Sezione F – Prescrizioni particolari, non sono state osservate giacché come emerge dagli stessi atti processuali del contenzioso celebratosi” – ha proceduto a pronunciare la “decadenza” dell’autorizzazione unica n. 35/16.

9.2. Come si evince, dunque, dall’atto impugnato, l’amministrazione, onde procedere alla verifica della concedibilità della richiesta proroga dell’autorizzazione unica (la quale – occorre ricordarlo – consisteva nell’ampliamento di una struttura preesistente, previa demolizione di alcune porzioni di fabbricato realizzate abusivamente), ha doverosamente proceduto a verificare lo stato di fatto, in tal modo accertando una situazione diversa da quella oggetto dell’autorizzazione e il mancato rispetto di una prescrizione ( “procedere alla demolizione di “tutti i volumi incongrui o sui quali sussista il dubbio di legittimità”, prima di iniziare gli interventi di ampliamento della struttura”), che costituiva condizione per l’assentibilità stessa dell’intervento.

Orbene, come è noto, è ben possibile il rilascio di un titolo autorizzatorio edilizio “condizionato”, ovvero sottoponendo la realizzazione dell’intervento assentito a condizioni e prescrizioni.

Queste ultime possono:

- sia costituire presupposti per l’avvio stesso dell’attività edilizia, in mancanza dei quali cioè, il titolo stesso non sarebbe stato emanato (ed in questa ipotesi può più propriamente parlarsi di “condizioni”);

- sia costituire prescrizioni in senso stretto, cioè modalità afferenti alla realizzazione stessa dell’attività edilizia ed al suo risultato.

Nel caso di specie, la previa demolizione dei “volumi incongrui” costituiva chiaramente – come emerge dalla lettura degli atti – una condizione legittimante la possibilità stessa dell’ampliamento dell’immobile.

Non essendo stata previamente rispettata la condizione e a fronte di una situazione di fatto ben diversa da quella oggetto del provvedimento autorizzatorio, non può che venir meno lo stesso titolo a suo tempo rilasciato. E ciò in quanto un provvedimento favorevole (quale è quello autorizzatorio), sottoposto quanto alla efficacia del proprio contenuto dispositivo al previo inverarsi di condizioni ad esso apposte, costituisce nella sostanza un provvedimento negativo “allo stato”.

Ne consegue che, nel caso in cui la condizione non si avveri, ovvero risulti in ogni caso diversa la situazione di fatto oggetto del provvedimento, cioè quella situazione sulla quale si è esercitato il potere autorizzatorio (nel caso di specie, autorizzazione all’ampliamento di un immobile sostanzialmente demolito in toto), il provvedimento risulta privo del contenuto dispositivo ampliativo della sfera giudica del destinatario.

In altre parole, il difetto del presupposto condizionante, così come la modificazione e/o sopravvenuta inesistenza dell’oggetto materiale dell’esercizio del potere autorizzatorio (manufatto da ampliare), priva il provvedimento del proprio contenuto dispositivo, determinandone non già l’annullamento in autotutela (essendo esso originariamente del tutto legittimo);
non già la revoca propria (non essendo sopravvenuti fatti o atti tali da far valutare diversamente l’interesse pubblico), bensì una revoca sanzionatoria, nel caso in cui il difetto di presupposto sia originario e dipenda dall’attività del destinatario, ovvero nel ritiro dell’atto, laddove lo stesso non possa (o non possa più) esplicare alcun effetto.

Nel caso di specie – e di qui l’incertezza “definitoria” dell’atto impugnato (ben ricordando, tuttavia, che il provvedimento amministrativo va definito nella sua natura giuridica in relazione al proprio contenuto ed al potere esercitato, non già al nomen juris ad esso apposto) – sono contestualmente presenti due situazioni:

- la prima, costituita dal mancato inveramento di una condizione apposta, il che rende ab origine l’atto privo di efficacia;

- la seconda, un mutamento dello stato dei luoghi tale da non consentite nel caso di specie l’esplicarsi del contenuto dispositivo del provvedimento (in sostanza, non è possibile “ampliare” ciò che non è più esistente nella consistenza considerata all’epoca dell’esercizio del potere).

Deve essere condiviso, quindi, quanto affermato dall’appellante con il primo motivo di impugnazione, sia laddove afferma che il provvedimento, al di là del suo nomen, è “un atto vincolato, dettato dalla assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine il rilascio della stessa autorizzazione”;
sia laddove afferma che esso è atto vincolato, “correlato unicamente alla ricorrenza dei presupposti richiesti per far venir meno il beneficio originariamente concesso”.

Non ricorre, dunque, nel caso di specie – contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata che ha dato preminenza al dato formale del nomen attribuito al provvedimento– una ipotesi di decadenza ex art. 15 DPR n. 380/2001, della quale difetterebbero i presupposti per l’esercizio del potere.

Così come non ricorre una ipotesi di provvedimento repressivo/sanzionatorio, che riguarderebbe, a seguito delle valutazioni dell’amministrazione, l’attività edilizia in concreto svolta contra legem.

Giova, a tal fine, sottolineare che, se è certamente condivisibile che le difformità in corso di esecuzione non rendono invalido il titolo a suo tempo rilasciato e sollecitano l’esercizio di poteri sanzionatori (in questi casi, è l’attività che è illecita mentre il provvedimento è legittimo), è altrettanto vero che le difformità, per essere tali, devono costituire appunto una “divergenza illecita” da un titolo legittimo.

Nel caso di specie, invece, è la stessa autorizzazione, di cui si è chiesta la proroga, ad essere priva, per le ragioni esposte, di contenuto dispositivo e di efficacia.

A fronte di tale situazione – ed al di là del nomen attribuito all’atto – l’amministrazione ha fatto esercizio di un potere vincolato, accertativo dell’insussistenza delle condizioni legittimanti all’esplicazione del contenuto dispositivo del titolo medesimo.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, il primo motivo di appello (sub lett. a) dell’esposizione in fatto), deve essere accolto.

10. Anche il secondo motivo di appello (sub lett. b) dell’esposizione in fatto è fondato e deve essere, pertanto, accolto.

Occorre osservare, innanzi tutto, che la qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia” e la possibilità di richiedere a tal fine una SCIA, contenute nella sentenza n. 5734/2018 del Consiglio di Stato, costituiscono, nel corpo della stessa, un obiter (la stessa sentenza afferma espressamente di prospettare una eventualità “incidenter tantum”), come tale non coperto da giudicato.

Ed infatti, ciò che costituiva il thema decidendum in quella sede era la legittimità (o meno) del provvedimento inibitorio di una SCIA per intervento qualificato come di “manutenzione straordinaria”, e la sentenza richiamata ha escluso che l’intervento avesse tale natura.

A ciò aggiungasi che l’ipotesi prospettata in sentenza riguarda – come esplicitamente affermato – “l’intervento di ricostruzione della parte demolita in eccesso”, nulla osservandosi sulla legittimità della intervenuta demolizione e sulla concreta sussistenza di un titolo autorizzatorio concernente l’attività svolta.

In disparte la circostanza che l’accertamento della insussistenza del titolo autorizzatorio – per le ragioni esposte in accoglimento del primo motivo di ricorso –nel rendere priva di qualunque “copertura provvedimentale” quanto realizzato, esclude la possibilità di presentare una SCIA che finirebbe per costituire una impropria sanatoria di attività edilizia non previamente autorizzata, giova osservare come l’intervento proposto non può prescindere, nella sua considerazione complessiva, dalla previa attività di demolizione.

Ne consegue che non è possibile qualificare l’intervento come mera ristrutturazione edilizia (sottacendo ogni considerazione in ordine alla intervenuta demolizione), ma, a tuto concedere esso si presenta come ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione.

Lo stesso Consiglio di Stato, del resto, nell’accennare incidenter tantum all’ipotesi di ristrutturazione edilizia (avendo escluso trattarsi di manutenzione straordinaria) discute di “ristrutturazione della parte demolita”, demolizione che non può non essere valutata ai fini della qualificazione complessiva della fattispecie (e, dunque, “demolizione e ricostruzione”).

E l’attività di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione risulta inibita, così come affermato nel provvedimento di diniego impugnato, dall’art. 27, comma 2, lett. d2, delle NTA del PAI.

Diversamente opinando, si realizzerebbe un “aggiramento” del divieto normativo, in quanto si attuerebbe dapprima una demolizione per così dire “a sé stante”, e poi una ristrutturazione senza demolizione, non essendo quest’ultima più considerata (ancorché già intervenuta).

In conclusione, la sentenza impugnata ha in modo non condivisibile attribuito una valenza “di giudicato” ad un passaggio motivazionale della più volte citata sentenza del Consiglio di Stato, giungendo ad affermare, senza ulteriore motivazione autonoma, che l’intervento “deve essere realizzato quale ristrutturazione edilizia”, del tutto tralasciando di considerare la già intervenuta (e non legittima) demolizione.

11. Per tutte le considerazioni esposte, l’appello r.g. n. 9154/2022 deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e rigetto dei ricorsi proposti in primo grado.

12. L’accoglimento dell’appello e la conseguente riforma della sentenza impugnata privano di titolo e legittimazione (condizioni dell’azione rilevabili di ufficio) il ricorrente in ottemperanza, non essendovi più alcuna sentenza provvisoriamente esecutiva cui prestare ottemperanza.

Ciò comporta, l’annullamento della sentenza del

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