Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-05-18, n. 201602003
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N. 02003/2016REG.PROV.COLL.
N. 03723/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 3723 del 2011, proposto dalle signore G G e M G D G, rappresentate e difese dall’avv. G L, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Stella Lopinto in Roma, via Orazio, 10,
contro
il COMUNE DI SAN NICANDRO GARGANICO, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. G Z, con domicilio eletto presso l’avv. Annalisa Flena in Roma, via Crescenzio, 19,
per l’annullamento e la riforma
della sentenza del T.A.R. della Puglia, Sezione Terza, nr. 3891/2010 depositata il 10 novembre 2010, non notificata, con cui risultano respinti il ricorso e i motivi aggiunti nr. 1903/2008.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Nicandro Garganico;
Vista la memoria prodotta dalle appellanti in data 4 marzo 2016 a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016, il Consigliere R G;
Uditi l’avv. Lombardi per le appellanti e l’avv. Zaccagnino per il Comune di San Nicandro Garganico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le signore G G e M G D G hanno appellato la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia ha respinto il loro ricorso, integrato da motivi aggiunti, avverso l’ingiunzione di sospensione dei lavori originariamente assentiti con permesso di costruire rilasciato loro dal Comune di San Nicandro Garganico, nonché avverso il successivo provvedimento di annullamento in autotutela del predetto titolo edilizio.
L’impugnazione è affidata ai seguenti motivi in diritto:
1) violazione di legge ed eccesso di potere per insussistenza del potere di caducazione in capo alla p.a.;violazione dell’art. 27 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380;difetto di motivazione ed omessa pronuncia (in relazione alla censura articolata con riferimento all’essere stato il procedimento di annullamento in autotutela avviato successivamente alla scadenza del termine di efficacia dell’ordine di sospensione dei lavori);
2) errore di fatto;violazione e falsa applicazione dell’art. 21- septies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e s.m.i.;difetto di motivazione (in relazione alla reiezione della doglianza articolata circa il mancato annullamento della retrostante delibera del Consiglio Comunale nr. 64 del 30 dicembre 2002, riduttiva della fascia di rispetto cimiteriale, della quale il primo giudice ha ritenuto la “ nullità ”);
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 21- nonies della legge nr. 241 del 1990;difetto di istruttoria e di motivazione;violazione dell’art. 3 della legge nr. 241 del 1990;irragionevolezza manifesta;violazione ed elusione degli artt. 7, 8 e 10 della legge nr. 241 del 1990;omessa pronuncia (in relazione alla reiezione della censura relativa al difetto dei presupposti e della motivazione a sostegno dell’intervento in autotutela);
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.;violazione dei principi in materia di risarcimento del danno ingiusto;violazione del principio del neminem laedere (in relazione alla reiezione della domanda risarcitoria articolata in prime cure).
Resiste il Comune di San Nicandro Garganico, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento del gravame e instando per la conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 7 aprile 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le odierne appellanti, signora G G e M G D G, proprietarie di un suolo sito nel territorio del Comune di San Nicandro Garganico, hanno chiesto e ottenuto nel 2006 un permesso di costruire finalizzato alla realizzazione di una “ area a servizio per il traffico ”.
Nella circostanza, l’acclarata compatibilità urbanistica dell’intervento si fondava sull’intervenuta riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, da 200 metri a 50 metri, disposta con due precedenti provvedimenti comunali – la delibera commissariale nr. 133 del 7 dicembre 2001 e la delibera consiliare nr. 64 del 31 dicembre 2002 – fra i cui effetti vi era stato quello di rendere il suolo in proprietà delle istanti esclusa dal vincolo sanitario.
Tuttavia, con nota del 4 ottobre 2006, sopravvenuta a pochi giorni dall’avvio dei lavori, il Comune ne ha ingiunto la sospensione immediata, rappresentando che l’area interessata dall’intervento doveva considerarsi ancora ricadente nella fascia di rispetto;in effetti, con nota del 26 settembre 2006, la Regione Puglia, alla quale la suindicata delibera nr. 64 del 2002 era stata trasmessa per conoscenza, aveva chiesto chiarimenti e documentazione istruttoria in ordine alla disposta riduzione della fascia di rispetto, richiamando i limiti discendenti alla facoltà del Comune di ridurre tale fascia di vincolo ai sensi della normativa vigente.
Le odierne istanti hanno impugnato in sede giurisdizionale l’ingiunzione di sospensione, e tuttavia a titolo cautelativo si sono astenute dal riprendere i lavori anche dopo la scadenza del termine legale di efficacia di essa;malgrado ciò, per un lungo lasso di tempo nessuna altra determinazione è intervenuta da parte del Comune, giungendosi solo nel febbraio del 2008 – e dopo numerose note di sollecito inviate dalle stesse interessate – all’avvio del procedimento di ritiro in autotutela del permesso di costruire.
Tale ultimo procedimento si è concluso in data 15 dicembre 2008, col provvedimento di “ revoca ” del titolo edilizio, che le interessate hanno censurato con motivi aggiunti.
2. Con la sentenza che ha definito il primo grado del giudizio, il T.A.R. della Puglia ha per un verso dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, a cagione della perdita di efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori, e per altro verso respinto i motivi aggiunti, reputando legittimo l’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’Amministrazione comunale.
A fronte delle doglianze di parte ricorrente, incentrate in principalità sulla perdurante validità ed efficacia della delibera riduttiva della fascia di rispetto cimiteriale che costituiva l’atto presupposto del permesso di costruire (non essendo stata la stessa mai formalmente annullata), e quindi sull’insufficienza di una motivazione dell’intervento di autotutela che richiamasse unicamente i rilievi al riguardo mossi dalla Regione, il primo giudice ha ribadito i rigorosi limiti posti dall’art. 338, comma 5, del r.d. 27 luglio 1934, nr. 1265, al potere dei Comuni di modificare in riduzione la predetta fascia di rispetto, inferendone una “ nullità ” della ricordata delibera nr. 64 del 2002.
Inoltre, il primo giudice ha disatteso anche la domanda risarcitoria che parte ricorrente aveva formulato, in via alternativa, con riferimento al pregiudizio determinato dall’illegittimo annullamento del permesso di costruire ovvero a quello cagionato dall’agire del Comune nell’esercizio del potere di autotutela (e, in particolare, dal ritardo con cui, dopo la sospensione dei lavori, erano intervenute le finali determinazioni sul titolo edilizio a suo tempo rilasciato).
3. Avverso tali statuizioni si concentra l’appello oggi all’esame della Sezione, limitatamente alla reiezione dei motivi aggiunti.
4. La ricostruzione in fatto che precede, quale ricavabile dagli atti e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
5. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato nei sensi e per le ragioni di seguito esposte.
6. In particolare, non è meritevole di positiva delibazione il primo mezzo, col quale è reiterata la censura di pretesa “consumazione” del potere del Comune di intervenire in autotutela sul permesso di costruire precedentemente rilasciato, a causa del lungo tempo decorso dall’ingiunzione di sospensione dei lavori, ben superiore ai 45 giorni cui l’art. 27, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, circoscrive l’efficacia di tale provvedimento.
Al riguardo, è sufficiente richiamare il condivisibile indirizzo di merito secondo cui il termine previsto dalla disposizione dianzi citata ha natura meramente ordinatoria in assenza di una diversa qualificazione normativa, per cui il suo eventuale superamento opera esclusivamente nei riguardi dell’ordine di sospensione dei lavori, consentendone semmai la ripresa da parte dell’interessato, ma non costituisce impedimento per l’esercizio dei doverosi poteri repressivi attribuiti al Comune in materia edilizia.
Il suddetto orientamento, elaborato in relazione all’adozione dell’ordine di demolizione dopo quello di sospensione in ipotesi di lavori avviati in assenza di titolo, deve ritenersi a fortiori valido laddove le opere siano state intraprese sulla scorta di un titolo del quale sia stata successivamente accertata l’illegittimità, con il conseguente dovere dell’Amministrazione comunale di attivarsi in autotutela.
7. Risultano invece fondati il secondo e il terzo dei motivi d’appello, che in questa sede possono essere esaminati congiuntamente.
7.1. Con essi, le appellanti lamentano rispettivamente l’inadeguatezza della motivazione dell’intervento in autotutela basata sul rinvio alla nota regionale con cui erano stati chiesti chiarimenti circa la disposta riduzione della fascia cimiteriale, e la conseguente insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’esercizio stesso del potere di secondo grado.
7.2. In effetti, non è contestato fra le parti che la suddetta nota del 26 settembre 2006 non ebbe alcun seguito, né alcuna attività fu posta in essere dal Comune per la modifica o la rimozione dei provvedimenti, più sopra richiamati, con i quali era stata disposta la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale (e sui quali si fondò inizialmente il giudizio di compatibilità urbanistica dell’intervento richiesto dalle odierne appellanti).
In sostanza, è come se l’Amministrazione comunale, condividendo le perplessità espresse dalla Regione, si sia risolta a considerare tamquam non essent le pregresse delibere nr. 133/2001 e nr. 64/2002, assumendo perciò solo che la fascia di rispetto dovesse intendersi “restaurata” nella sua originaria estensione, senza necessità di alcun ulteriore atto formale.
7.3. Evidentemente così non è, atteso che la nota regionale aveva un chiarissimo contenuto istruttorio e interlocutorio, e poteva al più intendersi come invito a un ripensamento delle determinazioni assunte con le citate delibere del 2001-2002, e non certo quale atto di annullamento di esse (ciò che, peraltro, è quanto meno discutibile rientrasse fra i poteri dell’Amministrazione regionale).
Meno che mai può convenirsi con l’avviso del primo giudice secondo cui la delibera consiliare nr. 64/2002 avrebbe dovuto ritenersi addirittura “ nulla ” a seguito dei rilievi regionali: infatti, come correttamente evidenziato dalle appellanti, con richiamo al noto principio della tassatività delle ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, la fattispecie all’esame non rientra in alcuno dei casi specificamente previsti dalla legge (non, in particolare, in quello del difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21- septies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, atteso che il potere di intervenire sull’estensione della fascia di rispetto cimiteriale è in realtà riconosciuto ai Comuni dal citato art. 133, comma 5, r.d. nr. 1265/1934, essendone nella specie soltanto contestato un esercizio in difformità dalle condizioni normative).
7.4. Così stando le cose, deve ritenersi inidonea a sostenere l’intervento in autotutela compiuto sul titolo ad aedificandum una motivazione, quale è quella spesa dal Comune odierno appellato, che si limiti a richiamare la nota interlocutoria ricevuta dalla Regione Puglia in ordine alla riduzione della fascia di rispetto.
In altri termini, se anche fossero apparse in modo chiaro e lampante condivisibili le criticità rappresentate dalla Regione, ciò non esimeva l’Amministrazione comunale dalla necessità di porre in essere atti formali la cui utilità si sarebbe sostanziata non solo nel ricondurre a “legalità” l’assetto della fascia de qua, ma anche nel fare chiarezza una volta per tutte sul regime urbanistico di suoli privati, quale è quello delle attuali istanti (basti pensare che ancora oggi, in assenza di tale intervento, un ipotetico certificato urbanistico attesterebbe la piena assentibilità dell’intervento per cui è causa).
8. Se dunque, alla stregua dei rilievi fin qui svolti, appare meritevole di accoglimento la domanda di annullamento articolata in prime cure avverso il provvedimento di “ revoca ” del permesso di costruire (salve restando le successive determinazioni che l’Amministrazione comunale vorrà adottare, ovviamente nel rispetto dei presupposti e criteri oggi previsti in materia di esercizio del potere di autotutela), altrettanto deve dirsi quanto alla domanda di risarcimento danni reiterata col quarto motivo di impugnazione.
Naturalmente, la domanda de qua va positivamente delibata per la parte in cui con essa viene chiesto il ristoro di un danno da lesione di interesse legittimo per effetto dell’illegittima attività provvedimentale del Comune, e non anche per l’ulteriore richiesta – per vero formulata in via alternativa – di risarcimento del pregiudizio cagionato dall’agire dell’Amministrazione, per l’ipotesi in cui gli atti impugnati fossero stati ritenuti legittimi (e in relazione alla quale, pertanto, la Sezione è esonerata dall’approfondire le delicate questioni di giurisdizione sollevate dal recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in fattispecie simili).
In particolare, le istanti hanno allegato e documentato di avere stipulato nel giugno 2006 un contratto preliminare di compravendita a terzi dell’immobile assentito col permesso di costruire per cui è causa, e che in seguito, per effetto dell’impossibilità di realizzare l’opera, furono costrette ad addivenire a transazione con la promissaria acquirente, alla quale restituirono in duplum la caparra ricevuta in due riprese per un importo complessivo di € 70.000,00 (dovendo sborsare, quindi, la somma complessiva di € 140.000,00);di tale somma hanno chiesto il ristoro a titolo di danno emergente, precisando che la loro richiesta è ovviamente limitata ai soli € 70.000,00 corrispondenti all’esborso affrontato per effetto della mancata sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita.
Entro tali limiti, l’istanza risarcitoria va accolta;non può essere favorevolmente delibata, invece, l’ulteriore richiesta di liquidazione dei maggiori costi oggi necessari per l’esecuzione dell’intervento assentito (in relazione alla quale parte istante ha chiesto procedersi a C.T.U. ovvero a stima equitativa), atteso che l’effetto dell’attuale pronuncia di annullamento, anche in considerazione del lungo tempo trascorso, non potrà prescindere da una nuova valutazione dell’Amministrazione, non restando escluso – ancorché nei limiti sopra precisati – neanche un nuovo esercizio del potere di autotutela.
9. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata e del solo parziale accoglimento delle richieste attoree, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
10. Va disposta, invece, la trasmissione di copia della presente sentenza e del fascicolo di causa alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza in ordine alla non lineare condotta dell’Amministrazione comunale, tale da risolversi in pregiudizio per le finanze pubbliche.