Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-08-19, n. 202207312

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-08-19, n. 202207312
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207312
Data del deposito : 19 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/08/2022

N. 07312/2022REG.PROV.COLL.

N. 05882/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5882 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sez. I, -OMISSIS-, che ha rigettato il ricorso proposto per l’annullamento del decreto del Questore di Novara, -OMISSIS-, con il quale è stato revocato il permesso di soggiorno e intimato al cittadino straniero di abbandonare il territorio nazionale entro il termine di 15 giorni lavorativi dalla notifica dell’atto.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;

Visti tutti gli atti della causa,

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi i difensori delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data -OMISSIS-, la Questura di Novara ha revocato il permesso di soggiorno all’odierno appellante, cittadino -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che il cittadino straniero, in data -OMISSIS-, è stato condannato dal Tribunale di Pescara per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 alla pena -OMISSIS-, a seguito dell’arresto in flagranza di reato avvenuto nel corso di una perquisizione presso il suo alloggio, dove sono stati trovati e di conseguenza sequestrati 334,5 g. di cocaina e un bilancino elettronico di precisione.

Da tale condanna la Questura ha dedotto la pericolosità sociale del soggetto, ritenendo che la salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato rendessero recessivo l’interesse privato del cittadino -OMISSIS- al prosieguo della sua vita familiare e lavorativa in Italia.

2. Con ricorso proposto innanzi al T Piemonte, il cittadino straniero ha impugnato il provvedimento questorile, lamentando, in particolare, l’assenza di un accertamento in concreto sulla pericolosità sociale del soggetto e la mancata valutazione dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo, in violazione dell’art. 4, comma 3, e 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998.

3. Con sentenza -OMISSIS-, il T Piemonte ha rigettato il ricorso, ritenendo esente il provvedimento gravato dai prospettati vizi.

Il primo Giudice ha evidenziato che la revoca del titolo di soggiorno non è dipesa in via automatica dalla condanna riportata dal ricorrente ma, al contrario, è derivata da un accertamento complesso fondato sul tenore e sulla rilevante gravità della condanna. In particolare, il T ha ritenuto che l’oggettiva rilevanza della condanna dovesse desumersi dalla circostanza del sequestro di un quantitativo di cocaina individuato nella misura di oltre 3 kg., sufficiente per predisporre più di 1.500 dosi. Dalla ricostruzione compiuta dal T, il giudice di prime cure ha dedotto l’evidente legame dello straniero con un circuito criminale di sufficiente spessore da giustificare la gestione di una tale entità di sostanza stupefacente. Inoltre, dalla motivazione del provvedimento impugnato emergerebbe chiaramente che l’Amministrazione ha comparato tutti gli interessi in gioco, ritenendo correttamente prevalente l’indubbia pericolosità del ricorrente.

4. Il cittadino straniero ha impugnato la citata sentenza e ne ha chiesto la riforma, previa istanza di sospensione, con appello -OMISSIS-, nel quale ha censurato l’iniquità della pronuncia, in quanto fondata, a suo dire, su presupposti errati. In particolare, l’odierno appellante evidenzia l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado, nel momento in cui ha ritenuto che il quantitativo di sostanza stupefacente sequestrato allo straniero fosse pari a 3 kg. e non, come emerge dalla sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pescara, a 334,5 g. Da tale presupposto errato, il giudice di primo grado avrebbe tratto il collegamento con circuiti criminali di rilevante spessore e, di conseguenza, la pericolosità sociale dello straniero, mancando tuttavia di esaminare le richieste di cui al ricorso di primo grado. Il Giudice di prime cure non avrebbe infatti considerato che la condanna posta a fondamento del provvedimento reiettivo sarebbe stata l’unico episodio criminoso che ha visto coinvolto il cittadino straniero e, soprattutto, che il giudizio di pericolosità sociale espresso dall’Autorità questorile si porrebbe in contrasto con la valutazione posta in essere dal Giudice penale in sede di condanna, a parere del quale non sussiste in concreto la pericolosità sociale del cittadino straniero ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza di cui all’art. 86, d.P.R. n. 390 del 1990, posto che l’imputato è incensurato ed è stanziale sul territorio nazionale in ragione del nucleo familiare e dello svolgimento di attività lavorativa. A fronte della valutazione espressa dal Gip, l’Amministrazione sarebbe venuta meno, secondo l’appellante, all’obbligo di motivare le ragioni per le quali ha deciso di discostarsi dal giudizio di non sussistenza di pericolosità in capo al cittadino straniero.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno senza depositare memoria per controdedurre all’atto di appello.

5, Nella camera di consiglio -OMISSIS-, il Consiglio di Stato ha respinto, per carenza di fumus, l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata.

6. Alla pubblica udienza del 23 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio ritiene di dare atto dell’intervenuta sanatoria dell’erronea notifica dell’appello all’Avvocatura Distrettuale di Torino, in luogo dell’Avvocatura Generale dello Stato, essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

2. Nel merito, l’appello è infondato.

Viene in rilievo, nel caso in esame, il combinato disposto di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286 del 1998.

L’art. 4 del TU immigrazione pone un automatismo secondo cui «non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite».

Tale automatismo, però, è mitigato dalla disposizione di cui al comma 5 dell’articolo immediatamente successivo, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 e ulteriormente modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 18 luglio 2013, n. 202, secondo cui «nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero, che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale».

Le norme recate dagli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286 del 1998, come da costante giurisprudenza di questo Consiglio (sez. III, n. 6699 del 2018), mirano, infatti, ad assicurare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica: nell’esercizio di tale potere, però, l’Amministrazione è tenuta a valutare la condizione familiare dello straniero in quanto l’interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l’interesse alla vita familiare dell’immigrato e dei suoi congiunti, trattandosi di diritti fondamentali, aventi copertura convenzionale, in particolar modo l’art. 8 Cedu.

L’automatismo di cui all’art. 4 cede il passo ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che, in caso di condanna per uno dei reati ostativi, deve tenere in debito conto l’effettività dei vincoli familiari, il legame effettivo con il Paese di origine, la durata del soggiorno.

La valutazione discrezionale dell’amministrazione è sindacabile allorquando la stessa risulti viziata da manifesti deficit di ragionevolezza.

Nel caso all’esame, il cittadino straniero è stato condannato alla pena -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, commesso in data -OMISSIS- in concorso con un altro connazionale, a seguito del rinvenimento sotto a un mattone nei pressi dell’abitazione dell’appellante di un quantitativo di sostanza stupefacente di tipo cocaina pari a 334,5 gr., per un totale di nr. 1791 di dosi singole ricavabili.

Ancorché la sentenza di primo grado abbia erroneamente indicato un quantitativo di sostanze stupefacenti di oltre 3 kg., il Collegio ritiene che la gravità del reato ascritto all’appellante non sia attenuata per il fatto che il quantitativo di sostanza stupefacente sequestrata consistesse in realtà in gr. 334,5 di cocaina, avendo il T adito percepito correttamente l’entità dello spaccio dal numero di singole dosi (più di 1.500) ricavabili dal quantitativo sequestrato. In altri termini, l’indicazione di un quantitativo superiore a quello effettivamente accertato nella sentenza di condanna, a fronte della corretta indicazione del numero di singole dosi destinate allo spaccio, costituisce un errore trascurabile, che non è in grado di attenuare la gravità della condotta, che correttamente la Questura ha ritenuto sintomatica della pericolosità sociale del cittadino straniero, nonché dei contatti con la criminalità organizzata nel traffico ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Non ha infine rilevanza il fatto che la sentenza di condanna abbia escluso, ai fini dell’art. 86, d.P.R. n. 309 del 1990, che il ricorrente sia soggetto pericoloso, in quanto, nel procedimento per il rinnovo del permesso di soggiorno, l’Amministrazione non è tenuta ad attenersi alle valutazioni espresse in sede giurisdizionale sulla base di altre norme. La stessa sentenza del Tribunale di Pescara ha chiarito che «non è ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 per il dato ponderale della sostanza costituente precipuo indicatore di diffusività».

Tanto premesso, al Questore non residuava che effettuare la valutazione comparativa imposta dal citato art. 5, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998.

Tale bilanciamento è stato eseguito correttamente dall’Amministrazione, che ha dato conto in un’articolata e congrua motivazione di come il cittadino straniero si sia fatto forza della copertura di una regolare occupazione lavorativa e di un nucleo familiare, -OMISSIS-, per ambire a facili guadagni attraverso azioni gravemente dannose per la collettività nazionale.

3. Valutate tali circostanze, la Questura ha ritenuto, con un giudizio condivisibile, che sulla pericolosità sociale riscontrata non potesse incidere positivamente il lungo soggiorno in Italia, l’attività lavorativa e i vincoli familiari, posto che il fatto ascritto all’appellante è stato commesso durante la sua permanenza pluriennale in Italia, a fronte di un’attività lavorativa subordinata -OMISSIS-.

La gravità della condotta posta in essere oggettivamente induce a ritenere che l’interesse all’ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato non possa essere considerato recessivo rispetto alle esigenze di tutela dell’unità familiare e dell’inserimento lavorativo dello straniero.

Del resto, la giurisprudenza di questa Sezione ha più volte chiarito che la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento - ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno - offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31, comma 3, del TU immigrazione, infatti «il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge» (Cons. St., sez. III, 4 maggio 2018, n. 2654).

La motivazione del diniego, resa dall’Amministrazione, è dunque, nel caso di specie, avuto riguardo alla connotazione della condotta e al giudizio di pericolosità che oggettivamente ne deriva, in concreto pienamente sufficiente.

4. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va confermata la sentenza del T Piemonte, -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso di primo grado.

Le spese del giudizio possono invece compensarsi tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

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