Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-12-28, n. 201706138
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Testo completo
Pubblicato il 28/12/2017
N. 06138/2017REG.PROV.COLL.
N. 07847/2014 REG.RIC.
N. 09278/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7847 del 2014, proposto da:
Italcementi Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio eletto presso lo studio Emanuela Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski N.118;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Trieste non costituito in giudizio;
nei confronti di
Siot-Società per l'Oleodotto Transalpino Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, 32;
Ministero Infrastrutture, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ezit-Ente per la Zona Industriale di Trieste non costituito in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 9278 del 2014, proposto da:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Società Italcementi Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio eletto presso lo studio Emanuela Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski N.118;
nei confronti di
Ezit - Ente Zona Industriale di Trieste, Società Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa - Siot, Comune di Trieste non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA - TRIESTE: SEZIONE I n. 00184/2014, resa tra le parti, concernente interventi di bonifica al sito di interesse nazionale di "Trieste".
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Siot-Società per l'Oleodotto Transalpino Spa e del Ministero delle Infrastrutture e di Società Italcementi Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2017 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati G M, Beatrice Gaia Fiduccia dell'Avvocatura Generale dello Stato e Marcello Clarich;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1-Italcementi spa è proprietaria sin dal 1952 di alcuni terreni nella zona industriale di Trieste, ricompresi all'interno del perimetro del Sito di Interesse Nazionale di Trieste, ove ha realizzato un impianto di lavorazione del cemento.
2-Nel 2005 Italcementi ha predisposto un Piano di Caratterizzazione, poi approvato dalla Conferenza dei Servizi dell'ottobre 2005, per cui la società nel novembre 2006 ha trasmesso al Ministero un piano di interventi di messa in sicurezza di emergenza della falda, effettuando al contempo una serie di analisi, da cui era emersa la presenza di due aree "critiche": l'area 1 ove erano stati rinvenuti rifiuti generici;l'area 2 ove sono stati rinvenuti terreni contaminati da idrocarburi c>12 ed IPA.
3-Il piano di intervento proposto veniva approvato dalla Conferenza dei Servizi istruttoria del 21 maggio 2007, a cui seguiva in data 26 luglio 2007, la Conferenza dei Servizi decisoria, in cui il Ministero rappresentava alle varie Società coinvolte la possibilità di aderire ad un intervento consortile per la messa in sicurezza dell'intera falda, specificando che l'adesione alla soluzione unitaria degli interventi rappresentava una mera facoltà, e non già un obbligo, per i soggetti interessati che non avrebbero quindi potuto, in caso di adesione, condizionarla alle condizioni tecnico-economiche preferite dall'Azienda. Con riguardo al piano di interventi di messa in sicurezza d'emergenza della falda, la stessa Conferenza Decisoria prescriveva ad Italcementi di rimuovere i rifiuti eventualmente presenti nell'area 1 ovvero, in alternativa, la messa in sicurezza permanente secondo i criteri dettati dal D.lgs. n. 36/2003, con realizzazione di una barriera idraulica di emungimento e trattamento delle acque di falda come rifiuti, non condividendosi la proposta della Società di impermeabilizzare anche le aree verdi interne. Quanto all'area 2, il Ministero riteneva di non condividere la proposta di limitare l'intervento di risanamento ai soli terreni insaturi, pertanto, chiedeva altresì all'Azienda di integrare la caratterizzazione delle acque di falda, prevedendo, oltre alla rimozione del terreno contaminato, un'ulteriore area denominata Area Impianti, ove era stata riscontrata una contaminazione di ferro, manganese e solfati.
4 - Con ricorso ritualmente notificato in data 17 gennaio 2008, la società Italcementi spa ha impugnato avanti il Tar Friuli Venezia Giulia il decreto direttoriale 7 novembre 2007 prot. n.4109, con il quale erano state rese definitive le prescrizioni contenute nel verbale della Conferenza dei Servizi Decisoria dei 26 luglio 2007, nella parte in cui le era stato ordinato di porre in essere interventi di messa in sicurezza della falda, o per tramite di un intervento autonomo, ovvero aderendo all'intervento consortile tra i vari soggetti operanti all'interno del SIN di Trieste, previa realizzazione di un sistema di barriere idraulico e rimozione dei rifiuti presenti nei terreni di sua proprietà. In particolare, la società deduceva l'illegittimità dei provvedimenti impugnati per i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione di norme di legge (articoli 242, 243, 250, 252 e 253 del d.lgs. n. 152/06) ed eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria. Secondo Italcementi, essa non era responsabile dell'inquinamento, in quanto le contaminazioni dei terreni e della falda sarebbero dipese da fatti avvenuti prima dell'acquisto da parte sua dell'area in questione. Per tale ragione non poteva essere destinataria delle prescrizioni che le erano state imposte;
b) violazione dell'art. 254 del d.lgs. n. 152/06 ed illogicità della prescrizione secondo cui la sua "adesione" ad una soluzione unitaria degli interventi di messa in sicurezza della falda non può essere condizionata "alla valutazione da parte dell'azienda delle condizioni tecnico-economiche";
c) violazione degli articoli 240 e 242 del d.lgs. n. 152/06 ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, in quanto l'Amministrazione avrebbe imposto la bonifica unicamente in ragione del superamento dei valori di CSC senza determinare i valori di CSR e senza verificarne il loro superamento;
d) illegittimità della prescrizione di presentare un progetto definitivo di bonifica della falda acquifera entro 30 giorni dalla comunicazione del verbale sia per il mancato riscontro della CRS sia per la mancanza di una sua responsabilità;
e) sosteneva inoltre che, nel caso di specie, le modifiche dei presupposti per la qualificazione di un'area come Sito di Interesse Nazionale, introdotte dal d.lgs. 156/2006, rendevano necessario procedere ad una nuova verifica delle caratteristiche dell'area;
f) contestava che le acque di falda derivanti dalle operazioni di emungimento "debbono essere gestite ai fini dello stoccaggio, del trasporto e dello smaltimento in conformità alla vigente normativa in materia di rifiuti" in quanto "le acque di falda" non sono rifiuti ma acque reflue.
5- Il T.A.R. Friuli Venezia Giulia ha accolto parzialmente il ricorso, ritenendo che l'obbligo di mettere in sicurezza il sito va considerato legittimo per quanto riguarda le acque di falda e la rimozione dei rifiuti presenti nell'area, considerato che esso pur riguardando un proprietario incolpevole rientra tra gli interventi urgenti e precauzionali;riteneva invece illegittima la prescrizione di formulare un progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dell'intera area entro 30 giorni nonché quella relativa alla realizzazione e al montaggio di una barriera, trattandosi in questo caso di obblighi che trascende l'emergenza e non assegnabile a un proprietario incolpevole, se non su sua volontà.
6 - Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originaria ricorrente per i seguenti motivi:
1) con il primo di appello si contesta la sentenza del TAR nel punto in cui ha operato una selezione tra le varie prescrizioni, ritenendo legittime quelle dettate (ad avviso del giudice di primo grado) da ragioni di urgenza, di prevenzione, di precauzione e precisamente: a) obbligo di mettere in sicurezza per le acque di falda;b) prescrizioni riguardanti gli accertamenti e i controlli;c) rimozione dei rifiuti presenti nell'area. La sentenza sarebbe pertanto errata nella parte in cui qualifica tali prescrizioni come urgenti e/o di precauzione o di prevenzione e di rimando ne addossa gli oneri a carico dell’appellante, posto che da nessuna parte la legislazione applicabile attribuisce all'Amministrazione poteri di intervento per ragioni di urgenza, di precauzione e di prevenzione, che prescindano dalla colpevolezza del proprietario. Inoltre, la qualificazione fatta dal TAR di tali interventi come misure di precauzione, di prevenzione, di urgenza, e dunque come misure autonome, svincolate dagli art-t. 239 e ss. sarebbe in palese contrasto con il principio di legalità e con quello di tipicità dei provvedimenti amministrativi;
2) con il secondo motivo si lamenta che la sentenza immotivatamente non ha esaminato taluni motivi di ricorso, che vengono pertanto riproposti in sede di appello.
7- Avverso la medesima sentenza, ha proposto appello il Ministero per i seguenti motivi:
1) con il primo motivo si deduce l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su una questione controversa e decisiva. Precisamente, secondo l’appellante erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto che costituisce 'fatto, pacifico in causa, che la ditta ricorrente non risulta responsabile dell'inquinamento delle zone in cui opera". In particolare, il T.A.R. avrebbe completamente trascurato la circostanza, inequivocabilmente emergente dagli stessi verbali impugnati, che le sostanze rinvenute nelle matrici ambientali (suolo e falde, quindi, rispettivamente, suolo insaturo e saturo) sono identiche a quelle trattate dalla società Italcementi, che occupa da sempre e, comunque, da prima della stessa perimetrazione del sito d'interesse nazionale le aree di cui si chiede la bonifica e la messa in sicurezza d'emergenza.
2) Con il secondo motivo di appello il Ministero deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 240, 242, 244, 245, 252, 253 e 257 del d.lgs. n. 152/2006 e dell'art. 2051 c.c, nonché contraddittoria motivazione. A tal fine rileva che:
a) dalla mancata responsabilità ambientale della società il T.A.R. fa discendere anche l'impossibilità di richiedere ad essa misure d'emergenza o preventive, sebbene poi esso affermi correttamente il contrario al fine di rigettare in parte il ricorso. Inoltre, secondo il Ministero non vi sarebbe dubbio che la definizione di messa in sicurezza d'emergenza (c.d. m.i.s.e.) è di ampiezza tale da includere anche la possibilità di ricorrere alle più svariate misure, oltre quelle stabilite dalle specifiche disposizioni. Non sussisterebbe, quindi, la pretesa violazione dell'art. 242 del Codice e del principio di derivazione comunitaria "chi inquina paga", in quanto l'ordine in messa in sicurezza di emergenza sfugge totalmente, in forza della sua natura cautelare e non già sanzionatoria, al presupposto accertamento della responsabilità da inquinamento del sito, pur chiaramente accertato.
b) nei confronti del proprietario del sito inquinato ben possono essere adottati i provvedimenti di cui al titolo IV della parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a prescindere dalla sussistenza di una prova dell’addebitabilità dell'inquinamento a suoi comportamenti. Invero, il principio di matrice comunitaria "chi inquina paga" va interpretato non esclusivamente in senso "letterale" e cioè che debba rispondere della contaminazione esclusivamente chi, tra gestore e proprietario, abbia materialmente causato la contaminazione;esso, invece, postulerebbe la responsabilità anche del proprietario che, pur non avendo concorso materialmente alla causazione della contaminazione, quale titolare di un bene che a sua volta inquina, nulla fa al fine di confinare, arrestare e, quindi, limitare quella contaminazione.
c) Il T.A.R. avrebbe anche erroneamente escluso l'applicabilità della responsabilità del custode, di cui all'art. 2051, dal momento che la società è stata sempre l'unica titolare della zona da ben prima della stessa perimetrazione del sito d'interesse nazionale. Pertanto, non si comprenderebbe la ragione per la quale il T.A.R. ha ritenuto di non potere considerare la società "custode" della propria area che è contaminata e continua a contaminare le aree circostanti.
d) Il T.A.R. avrebbe errato anche quando ha ritenuto che "il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento della colpa tra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso" per cui "se ne trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dallo stesso Ministero". Secondo la prospettazione del Ministero, quella posta in capo al proprietario sarebbe una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che, nello specifico, non richiederebbe neppure la prova dell'apporto causale del superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione, bastando in tal caso la dimostrazione della presenza della contaminazione e del concreto pericolo di trasmissione.
8-Alla luce delle censure proposte, previa riunione dei ricorsi in appello proposti avverso la medesima sentenza, il Collegio ha disposto una prima verificazione al fine di accertare l’eventuale responsabilità di Italcementi dell’inquinamento del sito;nonché in una seconda verificazione circoscritta all’area 2 al fine di stabilire la natura e dunque l’origine degli idrocarburi presenti nel terreno di tale porzione. Gli esiti di tali accertamenti escludono ragionevolmente la responsabilità di Italcementi.
8.1-In particolare, l’Arpa ha ritenuto escludibile la correlazione tra i contaminanti rinvenuti nel suolo, nel sottosuolo e nelle falde dei terreni in titolarità attuale di Italcementi con l'attività principale svolta da tale società nonché con eventuali attività accessorie e strumentali alla prima: “anche alla luce del fatto che nel ciclo produttivo di un cementificio tipo non si utilizzano e/o si producono anche come scarto di produzione materiali contenenti gli analiti rinvenuti nei terreni (idrocarburi pesanti ed IPA) e nelle acque sotterranee (solfati ed alcuni metalli). Rispetto al parco serbatoi, oramai in disuso, che conteneva l'olio combustibile utilizzato per alimentare le fornaci dello stabilimento, l'olio veniva convogliato mediante condotte prevalentemente aeree ed in tale zona, come nelle zone ove sono presenti serbatoi internati (di cui Italcementi ha fornito la documentazione rispetto alle prove di tenuta) il piano di caratterizzazione non ha evidenziato superamenti di idrocarburi nei terreni. La stessa Agenzia ha rilevato che la contaminazione riscontrata in sito, con particolare riferimento al parametro idrocarburi nella matrice suolo e sottosuolo, non sia da ricondursi alle attività svolte da Italcementi S.p.A. e/o da SIOT S.p.A. bensì al contesto evolutivo del sito e/o alle attività industriali svoltesi in precedenza sul sito stesso. Al riguardo, deve precisarsi che l'area ove insiste lo stabilimento di Italcementi si trova al confine fra un area di reinterro della fine degli anni '40 e la discarica di Zaule. Se ne può dedurre che il rinvenimento di frammenti di legno, plastica, ferro, lamiere, tessuti e laterizi, frammisti a terreno, ed identificati come rifiuto nel corso dell'esecuzione del piano di caratterizzazione sia ascrivibile a questa tipologia di origine dell'area. Analogamente non si può escludere che anche le contaminazioni rilevate nei terreni siano ascrivibili al contesto evolutivo del sito. Degna di nota è la significativa contaminazione da idrocarburi rilevata nella zona definita