Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-02-26, n. 201500965

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-02-26, n. 201500965
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500965
Data del deposito : 26 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07758/2014 REG.RIC.

N. 00965/2015REG.PROV.COLL.

N. 07758/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7758 del 2014, proposto da:
A T, rappresentato e difeso dall'avv. A F T, con domicilio eletto presso A F T in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, ope legis, domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00343/2014, resa tra le parti, concernente decadenza dalla nomina a volontario di truppa in servizio permanente dell'esercito.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Tartaglia e l'avv. dello Stato Palatiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. T, volontario in ferma breve dell’Esercito Italiano, a seguito di una colluttazione veniva sottoposto ad indagini, dal 28 novembre 2007, per il delitto di cui all’art. 588 co. 2 c.p. da parte della Procura di Verona;
successivamente, in data 16 aprile 2009, egli assumeva lo status di imputato a seguito delle richieste del P.M..

Nel frattempo, in data 3 dicembre 2007, l’odierno appellante presentava domanda di partecipazione al concorso per l’ammissione di 1750 unità nel ruolo di volontari di truppa in servizio permanente dell’Esercito Italiano.

All’esito della procedura comparativa, il sig. T si collocava in posizione utile ai fini dell’ammissione: la relativa graduatoria veniva approvata con decreto dirigenziale n. 8 del 27 ottobre 2009 e, per l’effetto, egli veniva immesso nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito, con contestuale promozione al grado di I Caporal Maggiore e con decorrenza giuridica ed amministrativa dal 31 dicembre 2008.

A distanza di circa sei mesi dall’approvazione della graduatoria, il 23 aprile 2010, veniva notificata al sig. T, mediante raccomandata prot. n. M_DGMIL/430119552, la comunicazione di avvio del procedimento di decadenza dalla nomina a vincitore di concorso ai sensi dell’art. 2 co. 2 e 4 del bando di concorso. In particolare veniva evidenziata la carenza del requisito previsto dell’art. 2 co. 1 lett. e) del bando (secondo cui i concorrenti all’atto di presentazione della domanda avrebbero dovuto dichiarare di “non avere procedimenti penali in corso per delitti non colposi”).

Al termine del procedimento istruttorio, mediante decreto n. 98 del 17 giugno 2010, veniva notificata al sig. T la decadenza dalla nomina a volontario di truppa in servizio permanente, a causa dell’esclusione dalla relativa graduatoria: conseguentemente, il servizio prestato in qualità di volontario di truppa in servizio permanente, era considerato eseguito in via di fatto dalla data di immissione in servizio.

Il 14 dicembre 2011 il Tribunale di Verona pronunciava, in favore del sig. T, sentenza di assoluzione per il delitto a lui ascritto “perché il fatto non sussiste”.

Con ricorso al T.A.R. per il Veneto, il sig. T impugnava il provvedimento con cui era stato dichiarato decaduto dalla nomina di volontario di truppa in servizio permanente, affermandone l’illegittimità in quanto fondato su un’erronea interpretazione del bando, nonché per violazione di legge e difetto di motivazione.

Il T.A.R. per il Veneto, con sentenza n. 343 del 17 marzo 2014, respingeva il ricorso, ritenendo immune da censure l’operato dell’amministrazione.

Con il presente gravame, il sig. T impugna la decisione del T.A.R. affidando l’appello a due motivi: in particolare, con il primo motivo viene dedotta l’illogicità e l’irragionevolezza della decisione del giudice di prime cure e dell’operato dell’amministrazione nonché l’erronea interpretazione del bando di concorso;
con il secondo motivo viene censurata la violazione dei principi sanciti all’art. 24 Cost. e l’eccesso di potere per omessa valutazione della situazione di fatto.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa che, con memoria, ha ritenute infondate nel merito le censure dell’appellante, concludendo per il rigetto dell’impugnazione.

Con ordinanza n. 4644 del 15 ottobre 2014 il Collegio ha accolto l’istanza cautelare proposta dall’appellante ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito.

Chiamata all’ udienza pubblica del 20 gennaio 2015, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione, l’appellante censura la decisione del T.A.R. per il Veneto, affermando che i requisiti di partecipazione alla procedura non sarebbero stati interpretati alla luce dei principi costituzionali: l’irragionevolezza dell’operato dell’amministrazione risulterebbe evidente in quanto il sig. T è stato escluso dalla graduatoria a causa della sua qualità di indagato, nonostante il bando richiedesse, quale requisito soggettivo, l’assenza di imputazioni per reati non colposi. In tal modo secondo parte appellante, verrebbe lesa la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 co. 2 Cost..

Inoltre, il giudice di prime cure e, ancor prima, l’amministrazione non avrebbero adeguatamente considerato la sentenza assolutoria intervenuta nei confronti dell’appellante: ne deriverebbe la lesione del principio di uguaglianza, stante la disparità di trattamento fra chi subisce un procedimento penale, con esito negativo circa l’accertamento della colpevolezza e chi, invece, non viene iscritto nel registro delle notizie di reato.

Sotto un ulteriore profilo, parte appellante ritiene che l’amministrazione abbia applicato in modo irragionevole la disposizione, contenuta nel bando, secondo la quale i requisiti soggettivi di partecipazione devono essere “posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione al concorso e mantenuti [...] fino alla data di decorrenza giuridica dell’immissione in servizio permanente”. In effetti, grazie all’intervenuta sentenza di assoluzione, che ha travolto ogni imputazione a carico del sig. T, verrebbe meno ogni impedimento formale alla partecipazione di quest’ultimo alla procedura concorsuale.

1.2 Il motivo nel complesso è fondato.

La doglianza verte, sostanzialmente, sull’attuazione, da parte della pubblica amministrazione, dei principi di ragionevolezza e proporzionalità: giova pertanto specificarne la portata e l’applicazione al caso di specie.

Come è noto, il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato.

Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.

Date tali premesse, la proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità.

In definitiva, il principio di proporzionalità va inteso “nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale” (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284).

Parallelamente, la ragionevolezza costituisce un criterio al cui interno convergono altri principi generali dell’azione amministrativa (imparzialità, uguaglianza, buon andamento): l’amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali.

In virtù di tale principio, l’azione dei pubblici poteri non deve essere censurabile sotto il profilo della logicità e dell’aderenza ai dati di fatto risultanti dal caso concreto: da ciò deriva che l’amministrazione, nell’esercizio del proprio potere, non può applicare meccanicamente le norme, ma deve necessariamente eseguirle in coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità ed adeguatezza.

Sul punto, la giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito che il criterio di ragionevolezza impone di far prevalere la sostanza sulla forma qualora si sia in presenza di vizi meramente formali o procedimentali, in relazione a posizioni che abbiano assunto una consistenza tale da ingenerare un legittimo affidamento circa la loro regolarità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5609;
id. 18 agosto 2009 n. 4958;
id. 2 ottobre 2007, n. 5074).

1.3 Passando all’esame del caso oggetto del presente giudizio, il bando di concorso, all’art. 2 co. 1 lett. e) indica, fra i requisiti di partecipazione, l’assenza di imputazioni in procedimenti penali in corso per delitti non colposi;
il successivo co. 2 prevede, invece, che i requisiti “debbono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione al concorso e mantenuti fino alla data [...] di decorrenza giuridica per l’immissione in servizio permanente”.

La ratio della disposizione richiamata può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il sig. T dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili.

Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti.

Nel caso di specie, invece, la domanda del sig. T, pur non menzionando esplicitamente la pendenza del procedimento penale dinanzi al Tribunale di Verona, non soltanto è stata ritenuta valida, ma ha consentito all’appellante, all’esito della procedura comparativa, di collocarsi in posizione utile in graduatoria e di essere, conseguentemente, immesso in servizio.

Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità.

A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione.

Ancor più evidente risulta l’irragionevolezza e la sproporzione del provvedimento n. 98 del 17 giugno 2010, con cui il sig. T è stato dichiarato decaduto dalla nomina a volontario di truppa in servizio permanente, laddove si consideri che lo stesso è stato adottato a distanza di quasi otto mesi rispetto all’approvazione della graduatoria (e conseguente immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito, e contestuale promozione al grado di I Caporal Maggiore).

Risulta pertanto che la Direzione Generale per il Personale Militare, nel dichiarare la decadenza del sig. T, non ha valutato la qualità del servizio medio tempore prestato, né il legittimo affidamento sulla stabilità della sua posizione.

Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare e, dall’altro lato, risulta privo di fondamento il provvedimento n. 98 del 17 giugno 2010 con cui il sig. T è stato dichiarato decaduto.

In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo.

L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa.

2. Alla luce di quanto sin qui affermato, va accolto il motivo di appello del sig. T in relazione alla necessità di riforma della sentenza impugnata, con la quale il T.A.R. per il Veneto ha condiviso le modalità di applicazione della normativa di riferimento effettuata dall’amministrazione. Per l’effetto, si ritiene assorbito il secondo motivo di appello e va dichiarato illegittimo il provvedimento impugnato in primo grado, a causa dell’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante.

5. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti, stante la complessità della vicenda contenziosa.

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