Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-12, n. 201905660
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Pubblicato il 12/08/2019
N. 05660/2019REG.PROV.COLL.
N. 04249/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 4249 del 2011, proposto dal Ministero della giustizia e dal Ministero dell'economia e delle finanze in persona dei rispettivi Ministri
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
la dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato A Ceo e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ludovisi n. 36;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Sezione staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente indennità giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria per maternità.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della dott.ssa -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il Cons. Giancarlo Luttazi e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello e l’avvocato Mario Sanino su delega dell’avvocato A Ceo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con atto d’appello notificato alla dott.ssa -OMISSIS- il 9 maggio 2011 (data di spedizione) il Ministero della giustizia e il Ministero dell’economia e delle finanze hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. -OMISSIS-, depositata il 24 marzo 2010, la quale ha accolto il ricorso n. 720/2007, proposto dall’appellata (alla data del ricorso introduttivo magistrato in servizio nel distretto della Corte d’appello di Reggio Calabria) ed avente il seguente petitum : “ il riconoscimento e la declaratoria del diritto della ricorrente alla restituzione dell’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 27 del 19/2/1981, così come modificata dall’art. 1, comma 325, della legge 30.12.2004 n. 311, relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all’art. 4 della l. 30.12.1971 n. 1204 ed oggi disciplinata dagli artt. 16 e 17 del dlgs 151/2001, indennità indebitamente trattenuta dalla Direzione provinciale dei servizi vari del Tesoro di Reggio Calabria, e per la condanna delle Amministrazioni resistenti alla restituzione dell’indennità giudiziaria non corrisposta alla ricorrente per i periodi meglio indicati in atti, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, dal dovuto al soddisfo;nonché per l’annullamento del provvedimento emesso dal Direttore generale della Direzione generale dei magistrati (Ufficio secondo) del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del Ministero della giustizia prot. n. 7820/mgg/5627 dell'8 maggio 2007, consegnato alla ricorrente il 18.05.2007 ”.
La sentenza appellata ha preso atto che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 137/2008, resa su ordinanze di rimessione di questo Consiglio di Stato, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 3, comma 1, della legge 19 febbraio 1981. n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta da pure citato art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nella parte in cui, per il personale della magistratura, esclude la corresponsione dell'indennità giudiziaria nel periodo di astensione obbligatoria per maternità;e ha preso atto altresì che la Corte ha affermato in proposito che non è “ possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, l. n. 311 del 2004 a favore dei magistrati assenti per maternità, l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento, in quanto la novella citata costituisce la manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative “. Ma il T ha tuttavia ritenuto:
- che invece dai lavori preparatori della citata legge n. 311/2004 è dato di evincere l’intenzione del legislatore di rimuovere la suddetta disparità di trattamento;
- che, diversamente da quanto affermato dalla Corte, la novella legislativa non rappresenta solo “ la manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative ”, sussistendo invece, ad avviso del T, “ obbligatoria applicazione della norma a tutte le situazioni giuridiche non compiutamente definitesi sotto l’imperio della precedente normativa ”;
- che il fatto che l’astensione obbligatoria sia stata fruita prima della novella legislativa non implica che la situazione giuridica si è consumata o che si è maturato un diritto quesito dello Stato a trattenere la retribuzione.
In base a queste considerazioni il T, pur consapevole della natura minoritaria dell’indirizzo giurisprudenziale che ha riconosciuto l’applicabilità della nuova disposizione a fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, ha aderito a quell’indirizzo minoritario, riconoscendo portata retroattiva alla novella in esame e dunque accogliendo il ricorso.
L’appello contesta diffusamente le argomentazioni del primo giudice, e richiama in proposito le ordinanze di questo Consiglio di Stato di rimessione alla Corte costituzionale delle relative questioni di costituzionalità, e le relative pronunce della Corte, concludendo per l’accoglimento dell’appello e la conseguente pronuncia in ordine alle spese.
L’appellata ha depositato in data 11 novembre 2011 comparsa di costituzione e risposta, resistendo.
In esito ad avviso di perenzione del 27 maggio 2016 parte appellante ha depositato, in data 28 luglio 2016, domanda di fissazione di udienza.
L’appellata, con memoria del 23 maggio 2019, ha ribadito i propri assunti, concludendo che qualora questo Consiglio di Stato non dovesse ritenere immediatamente applicabile al caso di specie la citata legge n. 311/2004, sussisterebbero certamente, alla luce dei lavori preparatori della legge, i presupposti per rimettere gli atti alla Consulta per un riesame della questione già esaminata.
La causa è passata in decisione all’udienza del 25 giugno 2019.
DIRITTO
L’appello è fondato.
1.1 - Lo specifico tema della retroattività dell’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 era stato già affrontato, e risolto in senso contrario alla tesi dell’appellata, dalle ordinanze di questo Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2279, n. 2280, n. 2285, n. 2286, n. 2287 dell’11 maggio 2007, le quali avevano invece ravvisato contrasto con l’art. 3 della Costituzione (sotto vari profili, ma in specie in considerazione di una ravvisata differenza del regime della regolamentazione del rapporto di lavoro tra le donne magistrato e il personale femminile dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie) da parte dell’art. 3, comma 1, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (nella versione antecedente alle modifiche ad esso apportate dal citato art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004, e nella parte in cui escludeva la corresponsione, durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi dell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, della speciale indennità dallo stesso istituita, anche in relazione alla nuova disciplina recata dall’art. 3 medesimo nella versione sopravvenuta);e ciò proprio per la irretroattività del suddetto art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004, nonché per la sua natura di novella normativa, priva di portata di interpretazione autentica della normativa precedente;e quindi proprio in considerazione del rilievo che “ il nuovo testo dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (come risultante dalle modifiche allo stesso apportate dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 )… non possa che disporre per il futuro ”.
Anche la relativa pronuncia della Corte costituzionale (ordinanza 14/21 maggio 2008, n. 137, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalle citate ordinanze di questo Consiglio di Stato n. 2279, n. 2280, n. 2285, n. 2286, n. 2287 del 2007), pur non direttamente investita della specifica questione di legittimità costituzionale della irretroattività della citata novella di cui all’art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004, nella sostanza dà per scontata questa irretroattività.
Si legge infatti nell’ordinanza della Corte n. 137/2008: “ l'eccezione [n.d.r.: di inammissibilità, sollevata dalla difesa erariale nel giudizio di costituzionalità] non è fondata, in quanto detta rilevanza discende proprio dall'irretroattività della novella – presupposta dal rimettente – e, quindi, dalla perdurante applicabilità della precedente normativa alle fattispecie dei giudizi principali, tutte anteriori al 1° gennaio 2005 ”;e si legge altresì: “… che, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non è possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, della legge finanziaria per l'anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternità, l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento;che la novella citata costituisce invece la manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative ”.
1.2 – Altresì la Corte costituzionale – poi investita della questione di legittimità costituzionale dallo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - Sezione staccata di Reggio Calabria con ordinanza del 1° febbraio 2012 - ha poi avuto modo (con la sentenza 11/19 dicembre 2012, n. 295) di esaminare specificamente sia, nuovamente, la tematica della retroattività dell’art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004 sia la tematica della legittimità costituzionale della conclamata irretroattività della disposizione (questione riproposta dall’appellata anche nel presente giudizio).
La Corte si è nuovamente espressa in senso opposto alle tesi interpretative dell’appellata;e ha rilevato che il citato art. 1, comma 325, della legge n. 311/2004 “ secondo l'interpretazione ormai consolidata dal Consiglio di Stato e, dunque, in base al diritto vivente - anziché disporre in modo retroattivo il riconoscimento dell'indennità giudiziaria durante i periodi di astensione obbligatoria a tutte le lavoratrici in maternità, ha riconosciuto tale spettanza solo per l'avvenire ”;e che “ deve condividersi l'opzione ermeneutica adottata dal rimettente, circa l'irretroattività del riconoscimento dell'indennità giudiziaria ai magistrati in astensione obbligatoria ”;giacché tale interpretazione “ ormai consolidata nella giurisprudenza amministrativa, è stata già condivisa da questa Corte nella sentenza n. 137 del 2008 e nella successiva ordinanza n. 346 del 2008, nelle quali è stato affermato che «contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non è possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, della legge finanziaria per l'anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternità, l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento» e che «la novella citata costituisce invece manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni legislative» ”.
Quanto alla legittimità costituzionale della irretroattività della specifica disposizione (pure prospettata dall’attuale appellata) la Corte ha ribadito che “ con la riforma dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981, il legislatore non ha inteso porre rimedio ad alcun profilo di illegittimità costituzionale della precedente disciplina, costituendo, piuttosto, la novella citata la manifestazione della discrezionalità del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative ”.
È già stata pertanto più volte confermata – e dunque non è da sottoporre ulteriormente al Giudice delle leggi – la conformità a Costituzione delle disposizioni in argomento.
1.3 – Va aggiunto, relativamente ai lavori preparatori della citata legge n. 311/2004 - invocati sia dalla gravata sentenza che da parte appellata, la quale, di quei lavori preparatori, riporta in stralcio un testo riferito all’art. 1, comma 325, della legge (“… allo stato, al personale della magistratura è quindi riservato un trattamento differenziato e deteriore rispetto al personale delle cancellerie, che pure ha ottenuto l’indennità perché addetto ad uffici nei quali operano i magistrati. Con la modifica che si propone si viene ad eliminare tale disparità di trattamento incidendo sulla norma base che ha riconosciuto l’indennità, ferma restando la mancata attribuzione nei periodi di assenza facoltativa di cui ai capi V e VII del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, che ha abrogato la citata legge n. 1204 del 1971 ”) che - anche a prescindere dalla valenza soltanto sussidiaria dei lavori preparatori ai fini della integrazione della legge (la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma, voluntas legis , da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa: v., per tutte, Cassazione civile, Sezioni unite, 23 febbraio 2018, n. 4485;Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3414) - dallo stesso testo invocato dall’appellata si evince sì l’intenzione di eliminare una disparità di trattamento ma non l’intenzione di dare alla novella una valenza retroattiva in deroga al principio di irretroattività sancito dall’art. 11 delle preleggi.
Ciò concreta la manifesta infondatezza della ulteriore questione di legittimità costituzionale adombrata dall’appellata anche con riferimento ai lavori preparatori della normativa in esame.
2. - L’appello va dunque accolto, e pertanto, in riforma dell’appellata sentenza, respinto il ricorso di primo grado.
Peraltro la natura dell’interesse perseguito dall’appellata, comunque connesso alla tutela della maternità, induce a confermare la compensazione delle spese già disposta dal primo giudice.