Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-10-31, n. 201305267
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N. 05267/2013REG.PROV.COLL.
N. 02382/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2382 del 2013, proposto da:
Comune di San Ferdinando di Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. A L, con domicilio eletto presso Loiodice &Partners Studio Legale Associato in Roma, via Ombrone, 12/B;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 01461/2012, resa tra le parti, concernente appello avverso sentenza con cui il giudice ha dichiarato il difetto di giurisdizione - diritto di rivalsa dello Stato per la somma pagata in esecuzione di condanna CEDU
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
visti gli artt. 105, co. 2 e 87, co. 3, cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2013 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati Cigliano, per delega dell'Avv. Loiodice;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Comune di S. Ferdinando è stato destinatario di un decreto del PCM con cui lo Stato ha esercitato il diritto di rivalsa per la somma pagata in esecuzione di una condanna della CEDU per violazione del diritto di proprietà derivante da una procedura espropriativa illegittima.
Il giudice di prime cure, ritenuta preliminare ed assorbente l’eccezione di difetto di giurisdizione, sulla base dell’art. 16 bis della legge n. 11/2005 e succ. modif., commi da 5 a 9, secondo cui lo Stato ha "diritto" di rivalersi - sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati responsabili delle relative violazioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo - degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese nei suoi confronti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e, quindi, sulla base della qualificazione formale di "diritto", operata dall’art. 16 bis, citato, della pretesa di rivalsa dello Stato, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo la controversia alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, e ha compensato tra le parti delle spese di causa.
L'appellante ritiene erronea tale pronuncia per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del c.p.a., dei principi in materia di giurisdizione amministrativa, erronea presupposizione, carenza di motivazione, erroneità e manifesta ingiustizia, sollevando eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 16 bis della legge n. 11/2005, sostenendo che la giurisdizione sarebbe del giudice amministrativo.
Si è costituita l’Amministrazione, tramite il patrocinio difensivo dell’Avvocatura erariale, depositando memoria e chiedendo il rigetto dell’appello.
Il Collegio, rilevata d’ufficio la questione relativa alla tardività dell’impugnazione, l’ha indicata in sede di discussione (21 maggio 2013), dandone atto a verbale, ai sensi dell’art. 73, comma 3 del c.p.a.
Alla camera di consiglio del 29 ottobre 2013 la causa è stata spedita in decisione.
L’appello è irricevibile per tardività.
Come, infatti, di recente statuito da questo Consiglio (cfr. sez. VI, 20.3.2012, n. 1574), l’art. 105, secondo comma, cod. proc. amm. prevede che «nei giudizi di appello contro i provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione o la competenza si segue il procedimento in camera di consiglio, di cui all’articolo 87, comma 3» del medesimo codice.
Il richiamato art. 87, comma 3, nella versione originaria, stabiliva che nei giudizi in camera di consiglio «tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti».
L’ampia formulazione impiegata ha fatto sorgere dubbi in ordine alla assoggettabilità al dimezzamento anche dei termini previsti per la notificazione del ricorso di appello. La oggettività della incertezza interpretativa ha indotto il legislatore – in sede di adozione del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69) – a modificare la norma specificando che detto dimezzamento non opera esclusivamente per gli atti sopra indicati relativi però ai «giudizi di primo grado», in quanto solo in relazione ad essi si pone l’esigenza di assicurare un maggiore spazio temporale per garantire l’esercizio adeguato del diritto di difesa. Ne consegue, aggiunge il precedente citato di cui alla sentenza n. 1574/2012, “che, allo stato, non sussistono più dubbi in ordine al fatto che l’appello avverso le sentenze che declinano la giurisdizione debba essere proposto nel termine breve di tre mesi e non di sei”, mentre solo “prima dell’adozione di tale decreto legislativo si era in presenza di quelle «oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto» che integrano gli estremi dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 cod. proc. amm.”.
Nella specie la sentenza è stata depositata il 16 luglio 2012 e l’appello è stato proposto in data 6 marzo 2013, ben oltre quindi il termine breve di tre mesi, con conseguente tardività del medesimo.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizio.