Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-03-06, n. 201201266

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-03-06, n. 201201266
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201266
Data del deposito : 6 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09010/2011 REG.RIC.

N. 01266/2012REG.PROV.COLL.

N. 09010/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9010 del 2011, proposto da:
S R, M T M, P C, B I, F G, F C, M G I S, A C, U S, G C, D P, D B, rappresentati e difesi dall'avv. D C, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Maria Giuseppina Lo Iudice in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 55;

contro

Presidenza della Repubblica, in persona del Presidente pro-tempore,
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore,
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore,
Ufficio Territoriale del Governo -Prefettura di Vibo Valentia, in persona del Prefetto pro-tempore,
tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Comune di Nicotera, in persona del Sindaco pro-tempore;
Commissione Straordinaria nominata per la Gestione del Comune di Nicotera, in persona dei Commissari pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Orlando, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza della Liberta', 20;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I, n. 05856/2011, resa tra le parti, concernente SCIOGLIMENTO CONSIGLIO COMUNALE DI NICOTERA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Interno, della Prefettura di Vibo Valentia e della Commissione Straordinaria nominata per la gestione del Comune di Nicotera;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2012 il Cons. P A A P e uditi per le parti gli Avvocati Colaci, Orlando e dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al TAR Lazio n. 8555/2010, i componenti del disciolto Consiglio comunale ed il Sindaco di Nicotera impugnavano il Decreto del Presidente della Repubblica del 13 agosto 2010, adottato ai sensi dell’art. 143 D.lgs 18.8.2000 n. 267, di scioglimento del Consiglio comunale per la durata di diciotto mesi e contestuale nomina della Commissione straordinaria, nonché la relazione di accompagnamento del Ministero dell’Interno, la relazione del Prefetto di Vibo Valentia del 19 maggio 2010 ed il decreto prefettizio di sospensione del 9 agosto 2010, deducendo l’insussistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti, di cui al citato art. 143, l’eccesso di potere per carenza di presupposti, il travisamento dei fatti, l’illogicità manifesta, lo sviamento di potere.

Con ordinanza del 17.11.2010 n. 107, il TAR disponeva incombenti istruttori a carico del Ministero ed acquisiva la relazione riservata della Commissione di indagine prefettizia.

Con successivi motivi aggiunti, notificati il 19 gennaio 2010, i ricorrenti deducevano ulteriori vizi avverso la relazione della Commissione di indagine, esponendo che la stessa confermava l’insussistenza di qualsiasi collegamento diretto o indiretto tra la disciolta amministrazione e le organizzazioni criminali, nonché di influenze, pressioni, collegamenti e collusioni.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno, la Prefettura di Vibo Valentia e la Commissione Straordinaria nominata, sostenendo l’infondatezza dell’impugnazione.

Con sentenza n.6856 del 20 aprile 2011, oggetto dell’appello in esame, il TAR Lazio- Roma, I sezione, ha rigettato il ricorso ritenendo non idonea la prospettazione dei ricorrenti, esaminata analiticamente, a scalfire l’iter logico e fattuale che sorregge la valutazione e la scelta dell’Amministrazione.

Il TAR, esaminati i punti salienti della vicenda, ha ritenuto che il quadro complessivo degli elementi rilevati a carico del disciolto organo, come emergenti dagli atti gravati, presentano elementi idonei a sorreggere un non irragionevole apprezzamento circa l’esistenza di una situazione di grave condizionamento e di degrado.

In appello, i ricorrenti criticano la motivazione della sentenza e richiamano una serie di rilievi già svolti in primo grado riguardo ad iniziative antimafia;
contestano la ricostruzione operata dalla sentenza riguardo alle vicende della presentazione delle liste alle elezioni del 2008, escludono l’influenza di collegamenti tra amministratori e criminalità organizzata nella gestione della cosa pubblica, cercano di dimostrare l’insussistenza di interessi privati e/o della criminalità nella questione della costituzione della Società “Porto di Nicotera” s.r.l. e della localizzazione del porto turistico, minimizzano i rilievi della sentenza in ordine agli affidamenti diretti di alcuni appalti;
in definitiva, il TAR non sarebbe riuscito a dimostrare l’esistenza di un concreto condizionamento mafioso sul disciolto Consiglio comunale.

Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate.

All’udienza del 27 gennaio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

- L’appello, pur essendo ammissibile, non è fondato.

- Gli appellanti svolgono sostanzialmente due ordini di censure avverso la sentenza impugnata:

1° - la motivazione della sentenza sarebbe “errata e lacunosa” e denoterebbe un atteggiamento del primo giudice volto a ribaltare l’onere della prova, in quanto si è limitato ad affermare che il complesso degli elementi raccolti dalla Commissione d’accesso “non avrebbe escluso” un condizionamento degli organi del Comune di Nicotera, anzicchè mettere in risalto episodi effettivamente significativi di un concreto e reale condizionamento;

2° - il TAR non avrebbe dato giusto peso alle motivate censure formulate per dimostrare la parzialità delle attività compiute dalla Commissione d’accesso.

- Entrambi questi ordini di critiche sono destituiti di fondamento.

- Và, innanzitutto, condivisa la premessa svolta dal TAR Lazio in ordine ai principi consolidati in giurisprudenza a proposito della natura del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, di cui agli art. 143 e ss. d.lgs. n. 267 del 2000, e delle caratteristiche del relativo giudizio di legittimità.

La natura di questo provvedimento, di carattere straordinario, non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 10 marzo 2008 , n. 321);
ciò comporta che quale presupposto si richiede solo la presenza di “elementi” su “collegamenti” o “forme di condizionamento” che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata, ma che non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né in forme di responsabilità personali, anche penali, degli amministratori.

Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non esige né la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l'amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili;
sono sufficienti, invece, semplici "elementi" (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l'amministrazione e i sodalizi criminali ( T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 06 febbraio 2006 , n. 1622 ), ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.

È da affermarsi, dunque, l’autonomia del provvedimento di scioglimento rispetto all’esito di procedimenti penali aventi ad oggetto fatti e comportamenti degli amministratori.

(Consiglio Stato, sez. VI, 26 novembre 2007 , n. 6040)

Inoltre, trattandosi di atto di alta amministrazione, connotato anche da una significativa valenza politica, così come la relazione ministeriale che viene presa a fondamento per l'esercizio del potere di scioglimento, il sindacato del giudice amministrativo non può essere che estrinseco, secondo le regole proprie del giudizio di legittimità, senza possibilità di apprezzamenti che ne concernino il merito (Consiglio Stato , sez. VI, 04 agosto 2006 , n. 4765).

Come già affermato dal primo giudice, inoltre, il sindacato di legittimità e la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti sono il risultato di un giudizio complessivo, su più fatti ed episodi sintomatici, che isolatamente considerati potrebbero anche non essere particolarmente significativi o determinanti, ma che rilevanza acquistano in una considerazione di insieme.

“Gli elementi addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell'addebito mosso al consiglio comunale in un determinato contesto e a prescindere da responsabilità dei singoli” ( così Consiglio Stato, sez. IV, 24 aprile 2009 , n. 2615;
6 aprile 2005, n. 1573).

L'applicazione dell'istituto di cui all'art. 143, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267 ricorre nelle ipotesi in cui l'andamento generale della vita amministrativa di un ente locale subisce influenze da un ipotizzato condizionamento mafioso, potendo di conseguenza l'indagine riguardare, oltre che scelte strettamente di governo - soprattutto quelle in materia di programmazione e pianificazione - anche specifiche attività di gestione, le quali sostanzialmente finiscono per essere quelle di maggior interesse per le consorterie criminali, in considerazione della maggiore e più repentina disponibilità che viene offerta di risorse pubbliche.

- In applicazione dei richiamati principi ed alla luce delle risultanze istruttorie, valutate nel loro insieme, il TAR ha correttamente ritenuto, nel caso in esame, che gli elementi raccolti sono sufficienti a formare un quadro indiziario ragionevole e credibile, idoneo a dimostrare la connessione e vicinanza tra organizzazione criminale e sfera pubblica.

Non appare, viceversa, idonea a scalfire tale quadro complessivo l’analitica esposizione delle iniziative antimafia messe in atto dalla disciolta amministrazione comunale, né la mera confutazione del “peso” dei fatti presi in esame dal TAR , con riguardo alle elezioni amministrative del 2008, ai collegamenti tra amministratori e criminalità organizzata, alla questione del porto turistico, alla gestione degli appalti, fatti sostanzialmente non contestati nella loro realtà storica.

- Quanto alle iniziative antimafia, secondo gli appellanti il TAR avrebbe supinamente fatto proprie le tesi ministeriali e non avrebbe colto la manifestata e ferma intenzione degli amministratori di attuare progetti e attività educativi della popolazione alla legalità.

Invero, le valutazioni compiute dal TAR non appaiono acritiche, né lacunose e non vengono scalfite dai rilievi che muovono gli appellanti.

A parte la mancata attuazione del difensore civico (figura che in effetti il d.l. 2/2010 ha soppresso dopo pochi mesi dall’adozione della delibera relativa, nel giugno 2009), con riguardo alla segnalazione dei ricorrenti, concernente la destinazione di appositi capitoli di bilancio alla gestione di due beni confiscati alla mafia e destinati ad uso sociale, il TAR ha rilevato come i riscontri contabili effettuati dal Ministero, alla data del 12 ottobre 2010, ( sul capitolo 001830, art. 2 e 3 di importo pari a 3.000,00 euro) hanno messo in luce che gli esigui fondi stanziati non sono mai stati utilizzati.

Gli stessi ricorrenti riconoscono, nell’atto di appello ( pag. 16) la mancata attuazione dei due più significativi progetti avviati nell’immobile in località Timpa, sequestrato alla mafia, ( la “caserma della guardia di finanza” ed il “centro aggregazione sociale”), attuazione che, a loro dire, sarebbe stata solo “questione di tempo”.

Sul Centro di Cinematografia realizzato e sull’adesione manifestata dai cittadini si sofferma particolarmente la difesa degli appellanti anche nel corso della trattazione orale: tuttavia, nulla dice sulla circostanza, messa in rilievo dalla sentenza appellata, che l’immobile destinato al Centro Cinematografia sia stato ristrutturato con fondi del PON Sicurezza a seguito di progetto la cui presentazione non è ascrivibile all’organo disciolto, mentre gli unici mandati di pagamento effettuati sul relativo capitolo di bilancio risultano in favore del Direttore generale.

In definitiva, appare immune da vizi logici e da travisamento la valutazione compiuta dal TAR circa l’inidoneità di tali iniziative “culturali”, peraltro ancora non compiutamente attuate nonostante i due anni di amministrazione trascorsi, a controbilanciare gli altri elementi che, nel loro complesso, sono stati ritenuti decisivi e pregnanti nel delineare il quadro d’insieme della “deviata”gestione della cosa pubblica.

Le iniziative culturali, come talora accade nei territori interessati dal fenomeno mafioso, ben possono prestarsi a svolgere un “ruolo” di copertura e/o di “di facciata”, rispetto alla realtà della dinamica clientelare degli interessi sottesi alla gestione della cosa pubblica.

Il quadro che emerge dalle risultanze istruttorie compiute dalla Prefettura di Vibo descrive, in effetti, una gestione quasi “familiare”dell’Amministrazione, come bene ha messo in evidenza il TAR nell’esaminare i dati di fatto raccolti con riguardo allo svolgimento delle elezioni amministrative, agli affidamenti degli appalti, alla questione del porto.

- Passando all’esame dei singoli profili esaminati dal TAR e dalla relazione ministeriale posta a base del provvedimento impugnato, i ricorrenti ritengono insignificanti i fatti che hanno caratterizzato la presentazione delle liste nel 2008: non sarebbe dimostrata, a loro avviso, l’esistenza di indebite pressioni.

Invece, il Collegio non riscontra carenze probatorie, né la dedotta inversione dell’onere della prova nell’accertamento compiuto in primo grado.

Certamente desta sospetti la sola circostanza che ben due liste avversarie, proprio l’ultimo giorno utile per la presentazione, si siano ritirate dalla competizione;
e ciò, anche se per ipotesi rispondesse al vero quanto affermano i ricorrenti, ovvero che il ritiro della candidatura dei potenziali candidati della lista capeggiata dal Dott. S R sarebbe stata determinata dall’improvvisa sostituzione del capolista (d’Aloi o C), e che la defezione del sig. F I sarebbe stata determinata dalla circostanza che lo zio U S, sostenuto dalla comune parentela, si sarebbe candidato nella lista del sindaco R, ovvero che lo “sparuto gruppo” a sostegno della lista che avrebbe dovuto essere capeggiata dal Dott. Macrì si sarebbe “auto dissolto” per mancanza di numero sufficiente di candidati nella lista.

Si ribadisce, infatti, che qualunque siano le circostanze concomitanti che hanno eliminato la competizione politica nelle elezioni di questo Comune, si profila consistente il sospetto che la “difficoltà” riscontrata dalle liste potenzialmente avversarie non fosse casuale, ma in qualche modo collegata alla forte “influenza” che la lista capeggiata dal sindaco R era in grado di esercitare sui candidati delle altre liste, non ultimo a causa dei rapporti di parentela intercorrenti tra i potenziali candidati concorrenti e gli appartenenti alla lista risultata poi eletta. Un vincolo familiare così forte, anche se tipico dell’ambiente di un piccolo paese e tipico della cultura calabrese, desta comunque inquietanti sospetti di possibili pressioni esercitate sui potenziali aspiranti, rinunciatari, candidati delle altre liste ( emblematico, tra tutti, il caso della defezione del Sig. Fortunato Ierace, nipote del sig. U S, che si è determinato a non candidarsi nelle file della compagine del Dott. Raimondo, in quanto la famiglia avrebbe scelto di appoggiare U S;
per lo stesso motivo, l’altro nipote Sig. Salvatore Mercuri, potenziale candidato nel raggruppamento di Macrì, decide di rinunciare a poche ore dalla scadenza del termine per il deposito delle liste).

Non si può tralasciare il fatto notorio che “Il vincolo familiare” rappresenta il tratto distintivo della mafia calabrese.

E sulla famiglia di U S, candidato della lista capeggiata da R, si sofferma particolarmente la relazione della Commissione: famiglia molto numerosa (-pag. 30 della relazione) cui appartengono S S, vice sindaco con delega al bilancio nella precedente amministrazione Adilardi, che è stata oggetto del DPR 2 sett. 2005 di scioglimento per infiltrazione mafiosa;
il fratello L S, gestore di stazioni di servizio Q 8, a cui il Comune appalterà diversi servizi;
il fratello V S, socio della “Porto Nicotera” s.r.l., titolare dell’agenzia funebre “Fratelli Solano”, a cui il Comune appalterà diversi servizi;
il fratello C S, sottoscrittore della lista “Nicotera Democratica”, notato in compagnia di pregiudicati vicini al clan Mancuso e titolare insieme al fratello della predetta agenzia di servizi funebri;
lo zio A S, presente in casa Corsi allorchè è stato comunicato al Raimondi il ritiro di 6 candidati dalla compagine avversaria, titolare della ditta omonima di distributore Q8.

I f S sono stati soggetti più volte a controlli, in quanto si sono intrattenuti con persone gravate da precedenti penali ed esponenti del clan Mancuso (pag. 30 Relazione).

Altra circostanza inquietante che su 89 sottoscrittori della lista “Nicotera Democratica”, 36 risultano avere precedenti penali, parentele, e frequentazioni con esponenti del clan Mancuso (uno simbolico, tra tutti, M J R, figlio del fratello del sindaco R, trafficante di droga, reso invalido dopo una sparatoria avvenuta in Brasile, che vanta rapporti di frequentazione con M A ( pag. 330 della relazione).

Tra l’altro, molti dei sottoscrittori sono soci della “Porto Nicotera” s.r.l.;
alcuni risultano poi intrattenere rapporti economici e professionali col Sindaco, uno di questi è stato assunto a tempo indeterminato nell’area vigilanza.

Gli appellanti non smentiscono i dati, anche numerici, risultanti dalla relazione della Commissione relativi ai sottoscrittori della lista, limitandosi a sminuirne la rilevanza e affermando che “nessun rilievo” avrebbe la circostanza che tra i presentatori della lista figurino “pochi soggetti con procedimenti penali a carico e altri con frequentazioni con affiliati alle locali organizzazioni criminali”, trattandosi di soggetti che godono comunque dell’elettorato attivo e non essendovi accertamento sulla “influenza negativa” dei sottoscrittori inquinanti.

Si ribadisce quel che già ha affermato il giudice di primo grado correttamente, ovvero che 36 su 89 rappresentano più di un terzo dei sottoscrittori della lista e che l’esistenza di collusioni, collegamenti e condizionamenti, risulta dall’insieme dei dati raccolti, non ultimo la circostanza che quei sostenitori della lista risultano poi essere anche i destinatari dei provvedimenti di affidamento di servizi da parte del consiglio comunale.

Deve ribadirsi, infatti, come ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale è sufficiente un insieme di elementi concreti, univoci e rilevanti, che nel complesso siano rivelatori di collegamento diretto o indiretto degli amministratori con la criminalità organizzata, a prescindere dalla prova rigorosa dell’effettivo condizionamento esercitato nel procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi.

- Quanto agli asseriti collegamenti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, gli appellanti sostengono che il mero rapporto di parentela con pregiudicati non può condizionare la valutazione del soggetto, e che comportamenti e valutazioni riferibili ad appartenenti alla famiglia non possono essere trasferiti ad altro componente.

Inoltre, la relazione ministeriale nulla dice in ordine alle azioni di interferenza amministrativa eventualmente poste in essere dalle cosche operanti sul territorio;
né è dimostrato che alcun atto dell’Amministrazione è stato adottato per favorire personaggi di dubbia moralità;
i fatti richiamati dalla commissione sarebbero insignificanti ed inesistenti.

Al contrario non si sarebbe tenuto conto che in un paese di 6.000 abitanti è impossibile evitare il contatto occasionale con qualche soggetto gravato da precedenti penali;
il dato trascurato sarebbe invece che nessuno degli amministratori eletti ha riportato condanne penali, neppure per contravvenzioni o reati bagatellari. Le frequentazioni con malavitosi segnalati a carico del sindaco si riferiscono a 14 anni addietro e i procedimenti penali in cui è stato coinvolto riguardavano episodi legati alla giovanile militanza politica nel P.C.I..

Tali affermazioni però sono smentite dalla Relazione, nella quale la Commissione:

- ha denunciato le parentele e le frequentazioni intrattenute dai componenti del consiglio comunale e dalla giunta con gli esponenti della criminalità organizzata ( pag. 16 e ss. della Relazione);

- ha indicato che il consigliere comunale con delega allo sport è detenuto dal 29 settembre 2009 in regime di arresti domiciliari a seguito di o.c.c. del Tribunale di Roma per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, contraffazione, contrabbando, introduzione nello stato e commercio di prodotti falsi, nonché emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Quanto alla parentela del Sindaco con Raffaele R ( il fratello condannato all’ergastolo per omicidio e irreperibile da 18 anni, alleato storico del clan Mancuso – pag. 158 relazione), pur condividendosi che non è sufficiente ad integrare presupposto del provvedimento di cui all’art. 143 T.U.EE.LL., la semplice circostanza del legame parentale con soggetto appartenente ad una cosca mafiosa (Consiglio Stato , sez. V, 20 ottobre 2005 , n. 5878), deve tuttavia ribadirsi che questo elemento, di per sè non decisivo, è stato considerato, dalla Commissione prima e dal TAR poi, nell’insieme degli altri elementi raccolti.

Il quadro che ne è risultato appare sufficiente a descrivere una situazione di “collegamenti” o “forme di condizionamento” indicative di uno stato di “non libertà” e “parzialità” dell’azione amministrativa: significativo appare al Collegio, ad es., il nesso tra il suddetto legame di parentela ed il fatto ( non contestato dagli appellanti) , risultante dalla relazione, che immediatamente dopo l’elezione a Sindaco, con procedura rapidissima, sia stato conferito mandato al dott. Carmelo Maccarrone per la realizzazione del porto turistico in prossimità dei terreni del figlio di Raffaele R, a nord della città, come dichiara lo stesso Maccarrone il 22.2.2010 alla Commissione, (rel pag. 153).

Infine, va ribadito che al fine dell’adozione della misura in esame sono sufficienti circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (Consiglio Stato , sez. VI, 10 marzo 2011 , n. 1547).

- Quanto alla vicenda relativa alla realizzazione del porto turistico, gli appellanti ripropongono le censure che la sentenza impugnata ha respinto ed osservano che il Comune, contrariamente a quanto affermato in sentenza, non ha mai ricevuto finanziamenti per la realizzazione del porto;
negano la tesi della Commissione riguardo l’ipotizzato scopo per cui sarebbe sorta la Società, che è rimasta sempre inattiva;
quanto alla mutata localizzazione del porto, affermano che i tecnici stessi sentiti dalla Commissione hanno confermato, a seguito di ispezione dei luoghi, che la soluzione a sud risulta completamente “ostruita” e che esiste un progetto risalente nel tempo (anni 60) che prevede l’ubicazione del porto a nord;
quanto al preteso favoritismo nei confronti del nipote del sindaco R, osservano che i terreni dello stesso sarebbero distanti circa un chilometro dal punto in cui è stata ipotizzata la costruzione del porto e sono separati dall’ipotizzata sede dell’infrastruttura portuale da una scogliera naturale di grandissime dimensioni che cade a picco sul mare.

La sentenza appellata, ad avviso del Collegio, ha correttamente ritenuto plausibili i sospetti emergenti dal quadro d’insieme evidenziato dalla Commissione: per un verso, l’inattività della Società rispetto allo scopo ufficiale per cui era stata costituita, ed il risultato delle elezioni corroborano l’ipotesi sostenuta dalla Commissione, secondo cui la costituzione della società è da mettere in relazione con il successo della lista capeggiata dal sindaco R alle elezioni del 2008, molti essendo i soci della società che sono risultati eletti al consiglio comunale, compresi sindaco e vicesindaco, ovvero sottoscrittori della lista;
non è contestato poi dagli appellanti che molti dei soci della “Porto Nicotera” s.r.l. siano risultati avere precedenti penali e frequentazione con personaggi di spicco di clan criminali, del clan Mancuso in particolare ( pag. 125 relazione).

Circa la localizzazione del porto, l’esistenza di diverse ipotesi progettuali risalenti negli anni non inficia il fatto certo della localizzazione a sud inserita nel piano regolatore comunale;
e pare difficile escludere che la modifica del sito, sollecitata con tanto tempismo dal Sindaco, non sia stata condizionata dalla circostanza della vicinanza dei terreni di proprietà del nipote, Achille R, “figlio di un boss noto della malavita calabrese, affiliato ad uno dei clan più potenti della zona”, ancorchè siti ad un chilometro di distanza. A rendere credibile l’ipotizzato scopo di voler favorire gli interessi economici di quest’ultimo, anche la vicinanza del lido Marameo, anch’essa non smentita dagli appellanti.

- Un’ultima puntualizzazione merita la questione relativa alla gestione degli appalti.

Gli appellanti affermano che si tratterebbe di legittimi affidamenti diretti di appalti e cottimi di importo modesto, a ditte fiduciarie del Comune sin dai tempi della Commissione straordinaria del 2005 e che tali affidamenti sono continuati anche successivamente allo scioglimento del Consiglio comunale (citano ad es. la ditta Pirelli).

Ben più approfondita è però sul punto la motivazione della sentenza, che i rilievi degli appellanti non scalfiscono.

La sentenza, infatti, ha rilevato come una parte corposa della relazione sia stata dedicata all’argomento, che ha esaminato partitamente singoli episodi, nonché il ruolo svolto dal responsabile dell’area tecnica e lavori pubblici dell’ente, su cui nulla eccepiscono gli appellanti.

Inoltre, non rileva che singoli procedimenti di affidamento possano risultare legittimi, a fronte di un sistema che appare complessivamente finalizzato a soddisfare interessi diversi da quelli generali.

Anche su tale profilo, nulla oppongono gli appellanti.

- In conclusione, l’appello va rigettato.

- Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della delicatezza delle questioni trattate.

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