Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-09-05, n. 201204711

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-09-05, n. 201204711
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204711
Data del deposito : 5 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05934/2012 REG.RIC.

N. 04711/2012REG.PROV.COLL.

N. 05934/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5934 del 2012, proposto da:
G G, G V, G D, rappresentati e difesi dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso Ferruccio De Lorenzo in Roma, via L. Lucani, 1;

contro

Comune di Afragola, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula, 34;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 03013/2012, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e acquisizione gratuita al patrimonio comunale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e la successiva memoria del Comune di Afragola;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 agosto 2012 il consigliere R V e uditi per le parti gli avvocati Palma e Messina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I signori Gennaro, V e D G chiedono la riforma della sentenza con la quale il Tar della Campania ha respinto i ricorsi proposti avverso i provvedimenti del Comune di Afragola repressivi di alcuni abusi edilizi realizzati dai ricorrenti.

La vicenda in esame origina dalla edificazione, ad opera dei signori G G e C M, genitori degli altri ricorrenti, di due piani in sopraelevazione, ciascuno di 190 mq. di superficie) ad un preesistente fabbricato, originariamente composto da un piano terra e un seminterrato e già oggetto, nel 2001, di concessione in sanatoria ex legge n. 724 del 1994, piani sui quali sono stati realizzati due distinti appartamenti oggetto di distinte domande di condono da parte dei figli.

Sia la sopraelevazione (proseguita in violazione dei sigilli apposti dall’Amministrazione), sia i successivi lavori di completamento sono stati oggetto di successive ordinanze di demolizione da parte del Comune (n. 4 del 2 gennaio 2003, n. 354 del 17 giugno 2003, n. 471 del 30 luglio 2003), che ha respinto l’istanza di accertamento di conformità proposta ai sensi dell’art. 13 legge n. 47 del 1985 (atto n. 713 del 31 marzo 2003), ha disposto l’acquisizione gratuita delle opere abusive al patrimonio comunale (ordinanza n. 596 del 18 novembre 2003) ha ingiunto la demolizione di ulteriori manufatti abusivi rilevati a seguito di successivi sopralluoghi (ordinanza n. 148 del 14 dicembre 2009), ha respinto le distinte istanze di condono proposte da V e D G ai sensi della legge n. 326 del 2003, relative, come si è detto, agli appartamenti realizzati sui due piani in elevazione (provvedimento n. 4969 del 30 dicembre 2009) ed ha, infine, rinnovato l’ingiunzione di demolizione delle opere edilizie suddette (ordinanza n. 4 del 2 febbraio 2010).

Tutti tali provvedimenti sono stati oggetto di quattro distinti ricorsi, poi riuniti, al Tar della Campania, che, dopo aver disposto una verificazione volta a stabilire l’effettiva volumetria sviluppata dalle opere oggetto delle domande di condono, ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso le originarie ordinanze di demolizione, superate dalle ingiunzioni rinnovate dopo il diniego di condono del 30 dicembre 2009;
rilevato la tardività, e comunque l’infondatezza, dell’impugnazione del diniego di accertamento di conformità urbanistica, di cui al provvedimento n. 713 del 31 marzo 2003;
respinto, anche sulla scorta delle risultanze della verificazione (che ha evidenziato come i due piani abbiano sviluppato complessivamente una cubatura di 992,064 mc., superiore al limite massimo consentito di 750 mc.), i ricorsi proposti avverso il rigetto delle due istanze di condono edilizio di cui al provvedimento del 30 dicembre 2009, diniego che si basa sul fatto che i due piani in elevazione realizzano una volumetria eccedente i limiti posti dall’art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, conv. nella legge n. 326 del 2003 anche con riferimento al limite del 30% rispetto alla originaria volumetria del piano terra, del quale triplicano l’intero volume.

Secondo i primi giudici, corretta è la considerazione unitaria effettuata dall’Amministrazione delle due istanze ai fini della verifica del rispetto dei due suindicati parametri volumetrici, trattandosi di valutare un complesso edilizio unitario e non le singole unità che lo compongono, realizzato mediante successivi ampliamenti. Né, osserva il Tar, è applicabile l’art. 4 legge reg. Campania n. 19 del 2009, che non consente di sanare opere già realizzate in assenza di idoneo titolo abilitativo. Sulle scorta delle medesime considerazioni la sentenza impugnata ha respinto anche il ricorso proposto avverso l’ordinanza n. 4 del 2 febbraio 2010, che ha riattivato il procedimento sanzionatorio nei confronti dei proprietari dell’immobile (G G e C M) e dei soggetti che avevano presentato le istanze di condono (V e D G).

Avverso tale sentenza i ricorrenti sostanzialmente adducono l’errata percezione, da parte del Tar, della vicenda come unitaria, laddove quella che interessa i genitori è distinta da quella che vede protagonisti i figli, ai quali si deve il completamento dei due piani sopraelevati, la cui costruzione era stata iniziata dai genitori, e che hanno proposto distinte istanze di condono nel proprio interesse, ognuno per il piano di cui ha la disponibilità e che sono i veri responsabili ultimi dell’abuso edilizio. Secondo gli appellanti da ciò consegue la necessità di tenere distinte le posizioni giuridiche dei figli tra di loro e da quelle dei genitori;
pertanto, erroneamente non si è tenuto conto dell’autonomia della legittimazione dei primi a proporre, nel proprio esclusivo interesse, le domande di condono, da intendersi relative ai distinti piani e perciò da valutare distintamente ai fini del calcolo della volumetria e del relativo limite per ognuno di essi.

Sostengono ancora gli appellanti che l’art. 32, comma 25, legge n. 326 del 2003, che consente la sanatoria degli ampliamenti nel limite del 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, non superiore a 750 mc., deve essere inteso nel senso che il primo limite è riferito all’ampliamento di una preesistente unità abitativa, e il secondo alle nuove costruzioni, come si evince anche dal fatto che la seconda parte della norma in esame estende la condonabilità a singole costruzioni residenziali inferiori a 750 mc., purché complessivamente non superino i 3000 mc. Di conseguenza, la volumetria massima di 750 mc. deve essere intesa come limite per ognuna delle richieste di condono anche riferite all’ampliamento, così come è consentito per le ipotesi di nuova edificazione.

Gli appellanti concludono per la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, della sentenza impugnata, anche nella parte relativa alla condanna alle spese del giudizio;
si è costituito, per resistere, l’intimato Comune di Afragola, che ha ribadito quanto già esposto in primo grado.

Alla camera di consiglio del 28 agosto 2012, nella quale è stata chiamata la domanda cautelare, i difensori delle parti sono stati avvertiti dell’intenzione del Collegio di pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm..

DIRITTO

La vicenda all’esame del Collegio concerne, come si è sopra riassunto, l’edificazione senza titolo di un immobile ad uso residenziale che si sviluppa per tre piani e un seminterrato (di circa190 mq. ognuno), proseguita in violazione dei sigilli apposti dalla polizia municipale, dopo che per il seminterrato e per il piano rialzato, realizzati dai signori G G e C M nel periodo da 1983 al 1993, il Comune di Afragola aveva rilasciato la concessione in sanatoria in data 29 novembre 2001 ai sensi della legge n. 47 del 1985.

I) I motivi di ricorso, riproposti in questo secondo grado di giudizio, possono riassumersi nei seguenti punti: erroneità, da parte del Comune prima e del Tar poi, della mancata scomposizione degli immobili realizzati (mentre il primo e il secondo piano sono stati completati dai figli V e D G), erroneità per effetto della quale la volumetria complessivamente considerata come abusiva ha superato i limiti che ne avrebbero consentito la sanatoria;
violazione dell’art. 32, comma 25, legge n. 326 del 2003, avendo il Comune prima, e il Tar poi, considerato la parte realizzata senza titolo come ampliamento e non come nuova costruzione;
mancata considerazione dell’autonoma legittimazione dei figli, che avevano inoltrato l’istanza ai sensi della legge n. 326 del 2003, ognuno per il piano per il quale avevano la disponibilità, ad ottenere a proprio nome l’assenso edilizio per la parte di rispettivo interesse.

II) Sotto tutti i suddetti profili l’appello è destituito di fondamento:

- con riguardo al primo e al terzo aspetto, va ribadito che, come la sentenza ha puntualmente rilevato, costituisce principio consolidato, che il Collegio condivide, quello per cui l'opera abusiva va identificata con riferimento alla unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare, ove sia stato realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative (Consiglio di Stato, sez. V, 3 marzo 2001, n. 1229), e non essendo consentita la presentazione di distinte domande per aggirare il limite di volumetria normativamente previsto (Corte Costituzionale, sentenza 23 luglio 1996, n. 302).

Applicando tali principi alla fattispecie in esame, ne consegue la legittimità del provvedimento impugnato, che ha considerato l’immobile nel suo complesso;
del resto, le stesse istanze di sanatoria presentate dai signori V e D G correttamente e testualmente descrivono l’appartamento come “facente parte di un fabbricato per civile abitazione”. Pertanto, non é revocabile in dubbio che sia l’assetto proprietario riconducibile ai medesimi soggetti (i genitori), sia l’unitarietà del disegno costruttivo (teso, come riconoscono gli stessi appellanti, alla realizzazione di un primo e un secondo piano in sopraelevazione a quanto già condonato) attestano l’integrazione delle singole unità abitative in un unico complesso edilizio;
di conseguenza, correttamente l’Amministrazione ha calcolato la volumetria abusivamente realizzata con riferimento al totale dell’ampliamento e non alle singole unità abitative.

Né, come si è detto, a distinguere le singole porzioni può valere la presentazione di istanze separate, essendo, in forza delle argomentazioni che precedono, l’immobile nella sua complessiva consistenza l’oggetto dell’esame devoluto all’Amministrazione, indipendentemente dalla diversità dei soggetti che hanno proposto le istanze di sanatoria (e, perciò, è irrilevante ai fini del decidere l’indagine circa la legittimazione a proporle), mentre l’inoltro di diverse domande rappresenta un evidente tentativo di aggirare i limiti consentiti per il condono, in particolare per quanto riguarda il calcolo della volumetria consentita;

- quanto al secondo aspetto (che rappresenta, sotto altra veste verbale, le medesime doglianze sopra esaminate), è evidente che la successiva realizzazione di opere edilizie su una preesistente costruzione vale come ampliamento dell’esistente e non quale nuova costruzione, indipendentemente dall’assetto proprietario e/o di possesso delle singole porzioni.

Pertanto, legittimamente il Comune ha riportato l’esame delle istanze proposte ai parametri indicati dall’art. 32, comma 25, della legge n. 326 del 2003, riscontrando il superamento dei limiti previsti per l’ampliamento (limiti che non appaiono contraddittori, come pretendono gli appellanti, implicando l’applicazione di quello più favorevole: in ogni caso, trattasi di argomentazione resa superflua dal riscontrato superamento, nella fattispecie in esame, di entrambi i parametri, come ha accertato la verificazione disposta dal Tar), mentre non può trovare ingresso la disciplina delineata dalla norma in esame per le nuove costruzioni, dato che, come si è più volte osservato, la fattispecie in esame non concerne nuove costruzioni, ma l’ampliamento dell’esistente.

III) In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

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