Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-11-21, n. 201907945
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Testo completo
Pubblicato il 21/11/2019
N. 07945/2019REG.PROV.COLL.
N. 10201/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10201 del 2015, proposto da
Maxcom Petroli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A Z, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, piazza di Spagna, n. 15;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è legalmente domiciliata;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma (Sezione Prima), n. 10433/2015, resa tra le parti, concernente il contributo da versare per il funzionamento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per l'anno 2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Vercillo, in dichiarata delega di A Z e Alessandro Iacoangeli dell'Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con delibera 9/5/2013, n. 24352, adottata ai sensi dell’art. 10, commi 7- ter e 7- quater , della L. 10/10/1990, n. 287, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha determinato il contributo per il proprio funzionamento dovuto, per l’anno 2014, dalle società con fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della detta delibera superiore a 50 milioni di euro, quantificandolo in un importo pari allo 0,06 per mille del detto fatturato (voce A1 del conto economico).
Ritenendo la delibera illegittima, la Maxcom Petroli s.p.a. (di seguito solo Maxcom), inclusa per fatturato fra i soggetti tenuti al versamento del detto contributo, l’ha impugnata con ricorso al TAR Lazio – Roma.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti la Maxcom ha esteso l’impugnazione alle delibere 22/1/2014, n. 24766 e 28/5/2014, n. 24939, aventi a oggetto, rispettivamente, la conferma della precedente delibera n. 24352/2013 e le modalità di versamento del contributo.
L’adito Tribunale, con sentenza 29/7/2015, n. 10433, ha respinto il gravame.
Avverso la sentenza ha proposto appello la Maxcom.
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’AGCM.
Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 17/10/2019 la causa è passata in decisione.
Può prescindersi dall’esame delle eccezioni di rito sollevate in primo grado dall’appellata e in questa sede riproposte, essendo l’appello da respingere nel merito.
Col primo motivo si denuncia innanzitutto l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel ritenere che la dedotta violazione degli artt. 3,41,53 e 117 comma 2, lett. c), Cost. riguardasse i provvedimenti impugnati invece che le norme di cui commi 7- ter e 7- quater dell’art. 10 della L. n. 287/1990 di cui nella specie era stata fatta applicazione.
Si censura, quindi, l’impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso che le suddette disposizioni di legge fossero in contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53, rilevando che:
a) il richiamo operato dal giudice di prime cure ai principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 21/5/2001, n. 156 non sarebbe pertinente atteso che diversamente da quanto vale per l’IRAP (sulla cui disciplina si è pronunciata la Corte) nel contributo per cui è causa la base imponibile (il fatturato) non sarebbe in alcun modo espressivo di capacità contributiva o di ricchezza;
b) sarebbe irrilevante la circostanza, evidenziata dal Tribunale, che si faccia riferimento al fatturato anche nelle disposizioni che disciplinano le concentrazioni di imprese e le sanzioni amministrative “ antitrust ”, poiché, con riguardo alle concentrazioni, il legislatore ha dovuto tener conto della normativa comunitaria, mentre in relazione alle sanzioni il riferimento al fatturato sarebbe giustificato dalla finalità deterrente delle stesse;
c) il primo giudice non avrebbe, inoltre, considerato che le contestate norme fanno riferimento a un’entità economica che, come nella fattispecie, non è espressiva di effettiva ricchezza, entrando a fra parte del fatturato anche componenti costituite da tributi (accise), che vengono incassati dall’impresa per essere riversati all’erario;
d) risulterebbe ugualmente inconferente, al fine di confutare la dedotta irrazionalità della scelta di considerare per il calcolo del contributo anche la parte di fatturato relativa ai tributi, il riferimento fatto in sentenza all’art. 2425- bis , comma 1, cod. civ. che impone di rilevare il valore della produzione (voce A1 del conto economico) “ al netto delle imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi ”, atteso che la detta norma non riguarda le imposte che - come le accise – gravano sul prodotto al momento della sua importazione o immissione in commercio;
e) erroneamente sarebbe stata ritenuta compatibile con gli invocati parametri costituzionali la previsione di un tetto massimo al contributo pari a cento volte la sua misura minima, posto che la stessa si risolverebbe in una spropositata discriminazione a danno delle imprese con fatturati minori.
La doglianza così sinteticamente riassunta non merita accoglimento.
Occorre preliminarmente rilevare che per pacifica giurisprudenza eventuali difetti di motivazione della sentenza non sono idonei a viziare la pronuncia, atteso che, in virtù dell'effetto devolutivo dell'appello, in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest'ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
Ciò posto può procedersi ad esaminare la questione relativa alla dedotta incostituzionalità dei commi 7- ter e 7- quater della L. n. 287/1990 per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
La tematica è già stata risolta in senso negativo da questa Sezione con sentenza che il Collegio condivide (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25/9/2017, n.4458).
Non resta, pertanto, che riprendere le motivazioni poste a base della detta pronuncia.
“ 6.2. Ai fini di un esatto inquadramento delle questioni, appare utile una breve ricostruzione dell'assetto normativo e degli istituti che qui vengono in rilievo.
6.2.1. L'art. 10, commi 6 e 7, l. 10 ottobre 1990, n. 287, attribuisce all'AGCM il potere di emanare le norme organizzative interne necessarie per il proprio funzionamento, il trattamento economico e giuridico del personale e l'ordinamento delle carriere, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese nei limiti previsti dalla legge istitutiva dell'Autorità, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, e il potere di gestire autonomamente le spese per il proprio funzionamento, con obbligo di rendicontazione alla Corte dei Conti sulla gestione finanziaria, sottoposta al controllo della stessa magistratura contabile, senza alcuna approvazione e controllo da parte dell'Esecutivo. L'autonomia e indipendenza dell'Autorità antitrust è dunque garantita, oltre che dalla composizione e dal procedimento di nomina dei relativi componenti, dall'autonomia organizzativa, contabile, amministrativa e finanziaria ad essa attribuita.
Originariamente, le risorse finanziarie provenivano in via esclusiva da un fondo all'uopo stanziato nel bilancio dello Stato, iscritto in un capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico.
Successivamente, è stata introdotta una forma aggiuntiva di finanziamento di tipo 'contributivo' da parte delle imprese, che si realizzava sia in occasione dell'attività di controllo svolta dall'AGCM sulle operazioni di concentrazione, sia in conseguenza dell'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per le pratiche commerciali scorrette e la pubblicità ingannevole e comparativa illecita, assegnate all'Autorità nel limite di euro 50.000 per ogni sanzione.
Precisamente, nel triennio 2010-2012, le entrate correnti destinate a coprire gli oneri di funzionamento dell'Autorità, erano costituite per una quota del 27,5% ca. da trasferimenti dello Stato, per una quota del 41% ca. da trasferimenti del fondo di solidarietà ex art. 2, comma 241, l. n. 191/2009 alimentato con risorse riferibili ad altre Autorità indipendenti, per il 22% ca. dalla contribuzione di imprese tenute all'obbligo di comunicazione delle operazioni di concentrazione, e per il 7,5% ca. dal provento pro quota sulle sanzioni irrogate (v. le risultanze dei lavori parlamentari relativi all'approvazione della novella legislativa, prodotti in primo grado dalla difesa erariale).
6.2.2. Con la disposizione di cui all'art. 10, comma 7-ter, l. n. 287/1990, inserito dall'art. 5-bis d.-l. n. 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012, per