Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-07-28, n. 201703779
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Pubblicato il 28/07/2017
N. 03779/2017REG.PROV.COLL.
N. 02318/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2.318 del 2016, proposto da
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
G D C, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, F P e L M M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A A in Roma, via V. Bellini, 10;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Roma – Sezione Seconda Ter, n. 13.753/2015, resa tra le parti, concernente la quantificazione dell’importo dovuto a titolo di rimborso spese legali relative ai giudizi di responsabilità contabile dinanzi alla Corte dei Conti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G D C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri e, per l’appellato, l‘Avvocato Alessandro Lendvai, su delega dell’Avvocato A A;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, l’odierno appellato, Giuseppe di Croce, già Capo del Corpo Forestale dello Stato, dall’aprile 1999 al 1 agosto 2003, ha impugnato il provvedimento prot. 14.910 del 12 dicembre 2011, con cui il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha quantificato in € 2.831,00- l’importo dovutogli a titolo di rimborso delle spese legali sostenute in relazione ad un giudizio di responsabilità contabile relativo a fatti inerenti ai suoi compiti istituzionali, conclusosi in entrambi i gradi di giudizio con assoluzione dagli addebiti e, in particolare, quanto alle spese di lite, in primo grado, con la compensazione delle stesse (sentenza Corte dei Conti n. 1.362/2008) nonché, in secondo grado, con la condanna dell’Amministrazione alla rifusione dell’importo di € 2.000,00- (sentenza Corte dei Conti n. 419/2010).
Il difensore del ricorrente nel giudizio contabile ha invece quantificato il proprio onorario per l’opera professionale svolta rispettivamente in € 20.888,00-, oltre accessori di legge, e in € 18.546,00-, oltre accessori di legge, somme che il ricorrente assumeva dovessero essergli liquidate per intero, stante il disposto dell’articolo 18, comma 1, D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 1997, n. 135, che statuisce il diritto alla rifusione delle spese processuali sostenute per fatti attinenti ai compiti istituzionali in caso di sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità, e dell’art. 10- bis , comma 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella L. 2 dicembre 2005, n. 248. Infatti, il rimborso delle spese legali avrebbe dovuto essere parametrato alla complessità e durata del contenzioso, alla gravità degli addebiti e tenere conto non solo delle voci di spese attinenti alla celebrazione del processo, ma anche dell’attività defensionale successiva all’adozione del provvedimento giurisdizionale, nonché di quella prodromica all’avvio del processo.
Il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il ricorso, accertando il diritto del ricorrente ad ottenere il rimborso delle spese legali da parte dell’Amministrazione, previa acquisizione di un nuovo parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, il quale, senza essere in alcun modo vincolato alla liquidazione delle spese effettuata dal giudice contabile, dovrebbe verificare le necessità difensive dell’assistito in relazione alle accuse che gli sono state mosse ed ai rischi del giudizio, nonché la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale.
Contro tale decisione ha interposto gravame il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, formulando un unico motivo, con il quale ha sostenuto che il rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente in primo grado va limitato a quanto riconosciuto in sede di giudizio contabile nella parte relativa alla condanna alle spese, senza possibilità di integrare l’importo in sede extragiudiziale, il tutto in virtù del chiaro disposto dell’articolo 10- bis , della L. 248/2005, del seguente tenore: “Le disposizioni dell'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell'articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza” [la parte relativa al divieto di compensazione delle spese è stata aggiunta dall'art. 17, comma 30- quinquies , D.L. 1 luglio 2009, n. 78, inserito dall’art. 1 della L. 3 agosto 2009, n. 102, ndr].
Secondo l’Amministrazione, il parere di congruità contemplato dalla disposizione di legge è da considerarsi “ridimensionato al ruolo di riscontro formale” , sul piano amministrativo, della conformità della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza, nonché, eventualmente, per valutare la congruità degli oneri accessori non espressamente indicati in sentenza (rimborso forfettario, CAP, IVA), ovvero la rimborsabilità di spese strettamente necessarie, sostenute successivamente alla sentenza. Qualora il dipendente non condividesse il quantum liquidato, avrebbe poi in ogni modo la possibilità di impugnare il capo autonomo della sentenza del giudice contabile (ai sensi dell’art. 395 c.p.c.), che è “idoneo al giudicato sostanziale” .
A sostegno della propria tesi, l’appellante cita la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 19.195 del 19.08.2013, secondo la quale: “Dopo l'entrata in vigore dell'art. 10-bis, comma decimo, del D.L. 30 settembre 2005 n. 203, convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalità di cui all'art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell'amministrazione di appartenenza - l'ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest'ultimo di chiedere in separata sede, all'amministrazione medesima, la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile. Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10-bis, comma decimo, D.L. n. 203 del 2005, anteriormente alla novella di cui all'art. 17, comma 30-quinquies, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102” .
Conclusivamente, l’Amministrazione appellante ritiene che il dipendente abbia diritto al rimborso delle sole spese liquidate nella sentenza e delle spese vive successive, se documentate, oltre accessori di legge e sempreché l’Amministrazione non ne abbia già disposto il pagamento sulla base della sentenza, difettando in tale caso il presupposto stesso per il rimborso.
Si è costituito in giudizio l’appellato, per resistere al gravame.
L’appello è infondato per le considerazioni in seguito esposte.
Nella specie, si pone all’attenzione del presente giudicante la questione se il rimborso delle spese sostenute dal dipendente prosciolto nel giudizio di responsabilità contabile debba avvenire necessariamente nei limiti riconosciuti dal giudice contabile nella sua sentenza o se la relativa liquidazione debba avvenire, in maniera indipendente dalle statuizioni del giudice contabile, in sede extragiudiziale, previa acquisizione del parere di congruità dell’Avvocatura erariale.
Ritiene il Collegio che non si possa condividere l’assunto dell’Amministrazione appellante della riserva esclusiva in capo al giudice contabile del potere di determinare le spese legali da rimborsare al dipendente assolto all’esito del giudizio contabile.
Se è vero che l’art. 10- bis , comma 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella L. 2 dicembre 2005, n. 248, statuisce che “il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto” , nella risoluzione della questione giuridica sub iudice si deve infatti comunque tenere conto del principio di diritto enunciato dalle SS.UU., nella sentenza 14 marzo 2011, n. 5.918, per cui: “il rapporto, che si instaura fra l'incolpato, poi assolto, e l'amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile. Il primo, infatti, si riferisce al rimborso delle spese sopportate dall'incolpato, poi, assolto e si costituisce tra l'interessato e l'amministrazione di appartenenza. A questo rapporto è estraneo quello relativo al giudizio di responsabilità contabile. Tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (così, Cass. SS. UU. 12 novembre 2003, n. 17.014)” .
In altre parole, mentre nel giudizio contabile la regolamentazione delle spese spetta appunto al giudice contabile, la statuizione sulle spese relative al rapporto sostanziale che intercorre fra amministrazione di appartenenza e dipendente - e sulla base del quale l'amministrazione è onerata ex lege del suo rimborso in favore del dipendente prosciolto - esula dalla giurisdizione contabile, con la conseguenza che va affermata indubbiamente la piena autonomia dei due rapporti.
Il predetto rapporto sostanziale trova la sua fonte di disciplina normativa principalmente nell’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, il quale prevede che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato” e, in particolare, quanto al giudizio contabile, nell’articolo 3, comma 2-bis del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, secondo il quale: “In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza” .
Ebbene, appare evidente che la finalità dei due dettati normativi appena citati sia proprio quella di tenere indenne a tutti gli effetti il pubblico dipendente dalle spese legali sopportate in relazione a giudizi conclusisi con sentenza di esclusione di responsabilità;in altre parole, la normativa de qua va letta nel senso che va garantita senz’altro l’effettività del diritto al rimborso, con la ineludibile conseguenza che la sentenza di proscioglimento nel merito costituisce necessariamente mero presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è sì deputato a quantificare, ma salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’Amministrazione di appartenenza.
Diversamente opinando, si ammetterebbe, infatti, che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra Amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile, come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato (come apparentemente successo, nella specie, all’esito del secondo grado di giudizio innanzi alla Corte dei Conti) o addirittura l’eventuale compensazione delle spese (come avvenuto nel caso di specie, con la sentenza di primo grado del giudice contabile), il che sarebbe senz’altro incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso sopra affermato, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense.
Conseguentemente, il rimborso delle spese sopportate dal dipendente prosciolto in sede di giudizio contabile, dovuto dall’Amministrazione di appartenenza, va necessariamente determinato autonomamente da quest’ultima, sulla base di un parere di congruità dell’Avvocatura erariale, non solo qualora la sentenza della Corte dei Conti non contiene alcuna statuizione sul punto, ma anche in presenza di una liquidazione effettuata dal giudice contabile, fermo restando che la somma liquidata dal predetto giudice va naturalmente assorbita nell’importo complessivo.
Come già affermato dal primo giudice, detto parere che, quindi, non ha la mera funzione “di riscontro formale, sul piano amministrativo, della conformità della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza” , come sostenuto dall’appellante, deve tenere conto delle necessità difensive dell’assistito in relazione alle accuse che gli sono state mosse ed ai rischi del giudizio e deve riguardare la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale ed ai criteri di fissazione del compenso ivi previsti.
Sulla scorta di tale parere, spetta poi all’Amministrazione rimborsare l’importo dovuto, ovviamente, previa dimostrazione dell’effettivo pagamento della relativa somma al difensore, da parte del dipendente, in ossequio al principio dell’effettività del rimborso di cui si è già detto ed al fine di evitare qualsivoglia forma di possibile locupletazione in capo al beneficiario.
In conclusione, l’appello va quindi respinto, e la sentenza di primo grado va integralmente confermata.
Le spese del presente grado di giudizio, considerata la novità della questione trattata, possono essere interamente compensate tra le parti.
Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato anticipato per la proposizione del gravame.