Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-07-01, n. 201904511

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-07-01, n. 201904511
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904511
Data del deposito : 1 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

1998/html4">

Pubblicato il 01/07/2019

N. 04511/2019REG.PROV.COLL.

N. 09899/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9899 del 2018, proposto dal Sig. A C, rappresentato e difeso dall'Avvocato F I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore, l’U.T.G. - Prefettura di Catanzaro, in persona del Prefetto pro-tempore, la Questura di Catanzaro, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 830 del 2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell’ U.T.G. - Prefettura di Catanzaro e della Questura di Catanzaro;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Consigliere P A A P e uditi l’Avvocato Giacomo Carbone, su delega dichiarata dell’Avvocato F I, e l'Avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso al TAR per la Calabria, il Sig. Cafasi Alberto ha impugnato tre provvedimenti del maggio/giugno 2011 coi quali il Questore di Catanzaro gli revocava il porto di pistola per difesa personale e il porto di fucile per uso tiro a volo ed il Prefetto gli vietava la detenzione di armi.

I provvedimenti erano motivati con il giudizio di possibile abuso delle autorizzazioni poiché il ricorrente era stato denunciato per lesioni personali.

Il ricorrente affermava di essere un avvocato, socio agonista della locale sezione di tiro a segno, incensurato, persona affidabile e titolare ininterrottamente dal 1994 di autorizzazioni in materia di armi.

La denuncia posta a base dei provvedimenti era stata poi, nel 2013, archiviata ed il fatto ritenuto conseguenza di un cattivo funzionamento dell’arma.

2. - La sentenza in epigrafe ha rigettato il ricorso, richiamando la copiosa giurisprudenza che riconosce l’ampio margine di discrezionalità dell’Amministrazione nel valutare l’interesse privato a portare armi rispetto al prevalente interesse all’incolumità pubblica e l’imprescindibilità della sussistenza del requisito di “affidabilità” nell’uso delle armi, che costituisce presupposto generale per il conseguimento dei titoli autorizzatori di polizia.

Nella specie, il TAR ha ritenuto logica ed adeguata la motivazione dei provvedimenti alla luce della denuncia a carico del ricorrente e della descrizione del fatto contenuta negli stessi provvedimenti.

3. - Con l’appello in esame, il ricorrente ha lamentato l’erroneità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 38, 39, 40, 43, 134 e 138 del TULPS e dell’art. 3 della l. 241 del 1990, per difetto di istruttoria, insufficiente motivazione, carenza dei presupposti di fatto.

La prognosi di inaffidabilità del ricorrente posta a base del procedimento di revoca della licenza disposto dal Questore di Catanzaro, e che ha successivamente comportato gli ulteriori provvedimenti della Prefettura, sarebbe stata desunta in modo irragionevole da circostanze, nemmeno di rilevanza penale, posto che, nelle more del giudizio di I grado, il procedimento penale è stato archiviato dal GIP di Catanzaro in data 1° marzo 2013.

4. - Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate che chiedono il rigetto dell’appello.

5. - Alla pubblica udienza del 20 giugno 2019, la causa è stata decisa.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato.

2. - Il rilascio di porto d'armi (per difesa personale e per uso sportivo) rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.).

Il potere di rilasciare le autorizzazioni di polizia, in generale, anche in ragione dell'originaria natura intuitu personae che connotava tale tipologia di licenze, si caratterizza per l’ampia discrezionalità dell'Autorità competente, e così pure il potere di revoca e sospensione, esercitabile in qualsiasi momento, nel caso di “abuso” della persona autorizzata (art. 10).

L'art. 11, concernente i cosiddetti requisiti morali, condiziona il rilascio delle autorizzazioni di polizia alla verifica della mancata sussistenza di alcuni requisiti necessariamente ostativi (la condanna per tipologie di reati tassativamente individuati), ovvero ne facoltizza il diniego sulla base di altri, tra i quali, oltre a meno gravi fattispecie penali, rientra ancora genericamente la cosiddetta 'buona condotta'.

Analoga indicazione è contenuta all'art. 43, comma secondo, in materia di porto d'armi, laddove al requisito della 'buona condotta', si aggiunge anche la necessità di dare 'affidamento di non abusare delle armi' stesse.

La rilevante permanenza del requisito della 'buona condotta' si desume, d'altro canto, anche dalla lettura della sentenza della Corte Costituzionale che ha inciso sulle due disposizioni sopra citate nella parte in cui si pone a carico dell'interessato l'onere di provare la sua buona condotta. (Corte Costituzionale 16 dicembre 1993, n. 440).

L'art. 39, inoltre, dispone che " Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne ".

2.1 - La giurisprudenza ha costantemente affermato che ai fini del giudizio di affidabilità e del giudizio circa la capacità di “abusare dell’arma” non è necessario che sia attribuibile all’interessato una responsabilità penale per fatti riconducibili all’uso delle armi, in quanto la valutazione ai fini amministrativi differisce da quella compiuta in sede penale ed ha finalità non punitiva, ma preventiva del rischio di abusi e del mero pericolo che la detenzione di armi da parte dei privati possa essere occasione di incauto uso, anche solo per disattenzione o distrazione, elementi psicologici questi riconducibili ad un grado di colpa afferente alla stessa attitudine a custodire l’arma, di per sè rilevante nella materia dell’interesse alla tutela della pubblica incolumità.

Il giudizio prognostico a fondamento del diniego di uso delle armi viene considerato più stringente del giudizio di pericolosità sociale o di responsabilità penale, atteso che il divieto può essere adottato anche in base a situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza (da ultimo, Consiglio di Stato sez. III, 1/04/2019, n. 2135;
25/03/2019, n.1972).

3. - Il ricorrente afferma che la sola comunicazione di reato, avulsa dalle successive valutazioni sulla dinamica dei fatti, come ricostruita da parte dell’AG penale, che lascia ragionevolmente supporre (come anche affermato nel provvedimento di sequestro preventivo) che l’incidente sia occorso per un verosimile “difetto di funzionamento dell’arma”, non poteva giustificare la valutazione negativa sulla sua affidabilità.

4. - Il Collegio rileva, innanzitutto, che all’epoca in cui i fatti oggetto della notitia criminis furono valutati dalla Questura (decreto prot. 606 del 15 giugno 2011) e dalla Prefettura (decreto 33910/Area I bis e decreto 33908/ Area I bis del 18 maggio 2011) non era ancora intervenuto il provvedimento di archiviazione in sede penale.

Il giudizio prognostico di pericolosità effettuato all’epoca dall’Amministrazione era, dunque, ampiamente giustificato e motivato dal contesto della vicenda: le lesioni personali derivate all’operaio in seguito all’esplosione di un colpo dalla pistola detenuta dal ricorrente, nelle vicinanze della sua abitazione, l’intervenuta denuncia penale, essendo sostanzialmente ignota e non conoscibile ex ante la riconducibilità dell’esplosione al malfunzionamento dell’arma.

In questo caso, la regola tempus regit actum , rende indenni i provvedimenti impugnati dalla denunciata illogicità e irrazionalità della valutazione discrezionale compiuta dall’Amministrazione.

5. - Ritiene, inoltre, il Collegio che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, i contestati provvedimenti non siano affetti dai vizi dedotti dall'appellante.

La scelta di revocare l’autorizzazione e vietare la detenzione di armi è di per sé ragionevole e, comunque, non sindacabile in sede di legittimità amministrativa, come ritenuto dal primo giudice, nei confronti di chi sia protagonista di un episodio, ancorché isolato, di lesioni personali cagionati dall’uso o semplice porto dell’arma, in quanto risponde alla logica della massima cautela e del massimo rigore cui è improntata la possibilità eccezionale di autorizzare l’uso di armi da parte dei privati nel nostro ordinamento.

Si consideri che anche il solo mancato assolvimento degli oneri di diligente custodia, che l'ordinamento impone a chi detenga armi o esplosivi, potrebbe giustificare il giudizio prognostico negativo circa la possibilità e la capacità del soggetto di compiere l'abuso (Consiglio di Stato sez. VI, 02/05/2006, n.2438).

A maggior ragione tale giudizio è giustificato nella circostanza, come nel caso di specie, in cui sia derivato un evento lesivo alla persona dall’uso dell’arma, sia pure in modo accidentale.

6. - In conclusione, l’appello va respinto.

7. - Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della peculiarità della vicenda.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi