Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-08, n. 202302399

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-08, n. 202302399
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302399
Data del deposito : 8 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/03/2023

N. 02399/2023REG.PROV.COLL.

N. 10920/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10920 del 2021, proposto dalla sig.ra K M, rappresentata e difesa dall’avvocato V B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Regione Calabria, l’INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e la Direzione Regionale Calabria dell’INPS, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, Sezione Prima, n. 543/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2023 il Cons. E F e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante ha agito dinanzi al T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, per l’accertamento nei confronti della Regione Calabria e dell’INPS del diritto al pagamento della mobilità in deroga per il periodo dal 15 ottobre 2013 al 31 dicembre 2013, mediante riassunzione del giudizio definito con sentenza declinatoria della giurisdizione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Lavoro.

Il T.A.R., dopo aver attivato la procedura di interpello ex art. 73 c.p.a. ed acquisito le osservazioni della parte ricorrente, ha statuito, con la sentenza appellata:

1) l’inammissibilità del ricorso in riassunzione, non risultando lo stesso validamente notificato nei confronti della Regione Calabria, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., presso il domicilio del procuratore costituito davanti al giudice sfornito di giurisdizione: vizio ritenuto, dal giudice di primo grado, non rimediabile mediante la concessione dell’errore scusabile e la conseguente rimessione in termini ex art. 44, comma 4, c.p.a.;

b) l’irricevibilità del ricorso in riassunzione, non risultando lo stesso depositato entro il termine dimezzato di 15 giorni previsto per il rito speciale del silenzio dall’art. 87, comma 3, c.p.a., decorrente dalla notifica del ricorso in riassunzione, previa conforme riqualificazione dell’azione di accertamento originariamente proposta.

2. Mediante i motivi di appello, l’originaria ricorrente si duole della statuizione di irricevibilità recata dalla sentenza appellata, sulla scorta delle deduzioni di seguito sintetizzate.

Premesso che originariamente, in sede di translatio , venivano proposte plurime domande, ovvero una volta all’accertamento e al riconoscimento del diritto del ricorrente alla corresponsione del beneficio denominato “ indennità di mobilità in deroga ” e, dunque, una domanda di accertamento della pretesa e una costitutiva del diritto leso, ed una di condanna al pagamento di somme, e che correttamente il giudice di primo grado ha qualificato la domanda di accertamento come comprendente una domanda contra silentium , lamenta la appellante che il medesimo T.A.R. ha errato nel ritenere “ accorpata ” alla domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio quella di accertamento e di riconoscimento della pretesa oltre che quella di condanna, dal momento che – sottolinea sempre la parte appellante - non ricorrono i requisiti di cui all’art. 31, comma 3, c.p.a., ai sensi del quale “ il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità… ”.

Ne consegue, ad avviso della appellante, che le suddette domande, autonome rispetto a quella avverso il silenzio, non condividono né i presupposti, né i requisiti dell’azione ex art. 31, comma 1, c.p.a., e che, in presenza della suddetta pluralità di domande, deve trovare applicazione l’art. 32, comma 1, c.p.a., che prevede l’applicazione del rito ordinario nel caso di azioni cumulate soggette, come nel caso di specie, a riti diversi.

Allega altresì la parte appellante che, mediante l’operazione interpretativa fatta dal giudice di prime cure, la sua domanda, costituita da una pluralità di richieste (e, conseguentemente da una pluralità di azioni), è stata stravolta e riduttivamente trasformata in un’unica azione contra silentium , laddove non è la domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio a contenere le altre domande, bensì essa è contenuta all’interno della sola domanda di accertamento, l’unica nella quale è convertibile l’azione per caratteristiche e presupposti.

Allega inoltre la appellante che, a voler ritenere accorpabili tutte le domande a quella contra silentium , si sostituirebbe inammissibilmente l’originaria domanda giudiziale e i fatti allegati.

Aggiunge che la fase del deposito del ricorso è consequenziale alla qualificazione giuridica della domanda e alla conseguente applicazione del rito fatta da parte ricorrente, sicché appare abnorme l’applicazione a posteriori dei termini di deposito del ricorso su una domanda riqualificata successivamente all’instaurazione del giudizio.

Conclude la appellante che delle due l’una: o si fa riferimento al solo termine decadenziale di cui all’art. 41 c.p.a., per cui, nel caso di specie, non trova ingresso il disposto dell’art. 87, comma 3, c.p.a., o, se si applica anche in sede di conversione il temine di deposito del ricorso, trattandosi di attività successiva indipendente dalla volontà e dalla disponibilità della parte e/o di errore scusabile, è necessario prevedere un termine per la rinnovazione del deposito al pari dell’istituto della rinnovazione della notifica, a maggior ragione in un caso, come quello di specie, in cui le regole della traslazione del giudizio non danno spazio ad una trasposizione rispettosa dell’instaurando giudizio, dovendo, a pena di inammissibilità, proporsi domanda identica a quella proposta innanzi al giudizio privo di giurisdizione.

3. Nessuna delle parti appellate si è costituita.

4. L’appello non può essere accolto.

5. Prima di affrontare il thema decidendum così come delineato dai motivi di appello, occorre evidenziare che il giudizio definito con la sentenza appellata veniva inizialmente instaurato dinanzi al G.O., al quale venivano proposte la domanda diretta ad “ accertare e dichiarare il diritto del ricorrente alla prestazione assistenziale denominata indennità di mobilità in deroga… ” e quella intesa a “ condannare, per l’effetto, previa autorizzazione dell’erogazione del beneficio medesimo, in solido la Regione Calabria e l’INPS al pagamento… ”.

A seguito della pronuncia declinatoria della giurisdizione adottata dal giudice civile adito – sul rilievo che “r ientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la

domanda con cui si contesti il mancato pagamento integrale, da parte dell’INPS, dell’indennità di mobilità in deroga successivamente sia al decreto dirigenziale della Regione di autorizzazione della concessione del beneficio, con inclusione del lavoratore tra i relativi destinatari, sia al

conseguente provvedimento dell’INPS, venendo in considerazione una posizione di diritto soggettivo - avente origine dal provvedimento di ammissione al beneficio ed attinente, in particolare, alle modalità di corresponsione di quest’ultimo - vantata dal lavoratore medesimo nei

confronti dell’Istituto ” (Cass., Sez. Un., 21435/2018), laddove nel caso di specie “ siamo di fronte alla fase anteriore al provvedimento di ammissione al beneficio, che non è di competenza del giudice ordinario ” – la parte attrice procedeva alla riassunzione del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, al quale sottoponeva la medesima causa petendi ed il medesimo petitum formulati dinanzi al G.O..

Il T.A.R. adito, previa riqualificazione della domanda così proposta – coerentemente con la situazione giuridica di interesse legittimo azionata in giudizio - in quella di accertamento del silenzio ex art. 31 c.p.a., dichiarava tuttavia irricevibile il relativo ricorso in quanto il relativo deposito era avvenuto senza rispettare il termine decadenziale dimezzato (di quindici giorni) di cui all’art. 87, comma 2, lett. b) e comma 3, c.p.a..

6. Ciò premesso, sostiene in sintesi la appellante che la conversione dell’azione ex art. 32, comma 2, c.p.a. non avrebbe potuto riguardare le domande di accertamento del diritto, di riconoscimento della pretesa e di condanna al relativo pagamento, le quali avrebbero conservato la loro autonomia (rispetto a quella, riveniente dalla conversione, di accertamento della illegittimità del silenzio) ed imposto l’applicazione (a tutte le azioni cumulativamente proposte) del (prevalente) rito ordinario, ai sensi dell’art. 32, comma 1, c.p.a., a mente del quale “ è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario… ”.

Deve in senso contrario osservarsi che la conversione dell’azione originariamente proposta – nella sede giurisdizionale iniziale ed in quella conseguente alla riassunzione – con la duplice direzione petitoria (di accertamento del diritto e di condanna dell’Amministrazione) innanzi indicata in quella intesa all’accertamento della illegittimità del silenzio ha prodotto l’effetto di conformare la domanda originaria – senza “ residui ” di contenuto eterogeneo - in termini coerenti con la natura della situazione giuridica azionata.

Invero, la deduzione ad oggetto del ricorso di una posizione di interesse legittimo (al corretto esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di autorizzare la mobilità in deroga richiesta dalla parte, e quindi, in primo luogo, alla definizione del relativo procedimento con un provvedimento espresso), così come definitivamente qualificata, in sede di declinatoria di giurisdizione, dal giudice ordinario non poteva non avere l’effetto di restringere lo spettro delle domande proponibili, a fronte del mancato esercizio da parte dell’Amministrazione del potere spettantele, a quella sola di accertamento della illegittimità del silenzio, ai fini dell’eventuale adozione da parte del giudice amministrativo dei conseguenti provvedimenti ordinatori e sostitutivi ex art. 117, comma 2, c.p.a..

Ad avviso del Collegio, la conversione del duplice (ovvero, secondo il ricorrente, triplice, dovendo aggiungersi la domanda di riconoscimento del diritto) petitum originario in quello unico avente ad oggetto il silenzio dell’Amministrazione si traduce inevitabilmente nella “ reductio ad unitatem ” del primo, che, da un punto di vista processuale, viene interamente “ consumato ” o “ assorbito ”, senza lasciare in vita domande residuali suscettibili di giustificare, come ritiene la parte appellante, l’applicazione (eventualmente prevalente) di riti alternativi a quello speciale ex artt. 87, comma 2, lett. b) e 117 c.p.a..

7. Del resto, non potrebbe non cogliersi il carattere artificioso di una costruzione che, al fine di attrarre la controversia entro una cornice processuale di taglio ordinario, ipotizzasse la sopravvivenza alla conversione di una azione (di accertamento del diritto o di condanna dell’Amministrazione), inevitabilmente destinata ad essere dichiarata inammissibile perché estranea all’ambito dei poteri esercitabili dal giudice amministrativo – e quindi delle azioni proponibili dinanzi ad esso - a tutela della situazione giuridica effettivamente dedotta in giudizio, così come qualificata dal giudice a quo .

Da questo punto di vista, erra lo stesso giudice di primo grado nell’affermare che “ le due domande (quella di accertamento della illegittimità del silenzio e quella di condanna, n.d.e. ) , infatti, non sono sottoposte a riti diversi ma sono attratte, come inizialmente argomentato dalla stessa parte ricorrente, al rito del silenzio regolato dal combinato disposto dell’art. 31 c.p.a. e 117 c.p.a. In particolare, la domanda rivolta a far dichiarare l’illegittimità del silenzio-inadempimento per decorrenza dei termini della conclusione del procedimento rientra tipicamente nel catalogo delle azioni previste dall’art. 31 comma 1 c.p.a. unitamente alla domanda di condanna al pagamento di quanto dovuto, ad essa accessoria e non autonomamente veicolata in giudizio tramite l’invocato rito “speciale” del silenzio (art. 117 comma 6 c.p.a.- v. per caso analogo T.A.R. Reggio Calabria 29 dicembre 2020 n. 783) ”.

Invero, da un lato, la domanda di condanna ex art. 117, comma 6, c.p.a., proponibile insieme all’azione avverso il silenzio, non è quella intesa “ al pagamento di quanto dovuto ”, come affermato dal T.A.R., ma, ai sensi dell’art. 30, comma 4, c.p.a. (richiamato dal predetto art. 117, comma 6, c.p.a.), quella avente ad oggetto “ il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento ”, dall’altro lato, non di accessorietà tra la domanda di accertamento della illegittimità del silenzio e quella di condanna può discutersi nella specie, al fine di ritenere che siano entrambe soggette al rito speciale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., ma, più semplicemente, di “ assorbimento ” della seconda nella prima, quale effetto della conversione disposta dal giudice di primo grado.

Cade, conseguentemente, anche l’argomento sostenuto dalla parte appellante per negare, al contrario di quanto ritenuto dal T.A.R., che la domanda di accertamento del diritto e di condanna dell’Amministrazione sia “ accorpata ” in quella avverso il silenzio: argomento incentrato sulla insussistenza nella fattispecie in esame dei presupposti – connessi al carattere vincolato dell’azione amministrativa o all’esaurimento di ogni margine di discrezionalità – per consentire al giudice di pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza.

8. Né può sottacersi che la parte appellante non chiarisce quale azione dovrebbe costituire oggetto di conversione, una volta ammesso – seguendo il suo ragionamento – che sia quella di riconoscimento del diritto (cui essa attribuisce erroneamente carattere costitutivo), sia quella di condanna conserverebbero, pur dopo la conversione, la loro autonomia rispetto a quella di accertamento del silenzio della P.A., tanto da fondarvi la tesi della applicazione prevalente del rito ordinario che a quelle domande si attaglia.

E’ vero, piuttosto, che già in sede di riassunzione sarebbe stato onere della parte ricorrente apportare alla domanda originaria gli adattamenti necessari a conformarla alla situazione giuridica (di interesse legittimo) azionata: onere il cui assolvimento si sarebbe tradotto nello sfrondamento della domanda originaria delle sue componenti direttamente satisfattive dell’interesse fatto valere (quelle, cioè, di tipo accertativo del diritto e di condanna dell’Amministrazione al pagamento), sostituendole con quella sola conforme all’unico rimedio prospettabile a tutela di quella situazione giuridica, così come disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a..

Ad essere interdetta infatti, in sede di riassunzione, non è la rimodulazione dell’azione – fermo restando il suo nucleo fattuale e giuridico originario – al fine di renderla calzante agli strumenti di tutela esperibili dinanzi al giudice ad quem , ma l’alterazione dei fatti e delle ragioni giuridiche portate alla cognizione del giudice carente di giurisdizione: ciò che non si sarebbe verificato attraverso la mera sostituzione delle domande di accertamento e di condanna con quella intesa all’accertamento della illegittimità del silenzio (ché, se così fosse stato, nemmeno il giudice amministrativo avrebbe nemmeno potuto procedere alla conversione, la quale presuppone una attività meramente qualificatoria dell’azione “ in base ai suoi elementi sostanziali ”, ex art. 32, comma 2, primo periodo, c.p.a.).

E’ vero che l’omissione da parte del ricorrente di tale adattamento non potrebbe precludere l’esercizio da parte del giudice adito in sede di riassunzione del potere di conversione dell’azione: tale potere sostitutivo, tuttavia, non potrebbe rappresentare un modo per sollevare la parte dall’assolvimento degli oneri processuali (e dalle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza) connessi all’azione scaturente dalla conversione, che essa avrebbe dovuto assolvere ab initio , nel rispetto degli schemi processuali vigenti dinanzi al giudice munito di giurisdizione.

9. Né può sostenersi, come fa la parte appellante, che l’irricevibilità dichiarata dal giudice di primo grado deriverebbe dalla imposizione retroattiva di un onere processuale il cui assolvimento non avrebbe potuto esigersi dal ricorrente, tenuto a rispettare il principio di stretta corrispondenza del ricorso in riassunzione alla domanda inizialmente proposta dinanzi al giudice sguarnito di giurisdizione.

Infatti, se da un lato, come si è detto, sarebbe stato onere del ricorrente, già in sede di riassunzione, di individuare il mezzo di tutela coerente con la situazione giuridica azionata e rispettare, nel relativo esperimento, le corrispondenti regole processuali, dall’altro lato non può non rilevarsi che tra la situazione del ricorrente in riassunzione e quella del ricorrente che abbia adito ab initio il giudice dotato di giurisdizione (ma che, al pari del primo, non abbia individuato la corretta “ veste ” processuale dell’azione né rispettato i connessi adempimenti) non sono ravvisabili significative differenze, tali da esonerare (solo) il primo dal rispetto di quelle regole.

10. Deve solo aggiungersi che, una volta che la parte si sia avvalsa della facoltà di riassunzione, l’esercizio del diritto di azione deve sottostare alle condizioni previste dall’ordinamento processuale applicabile dinanzi al giudice ad quem , tra le quali quella relativa al termine (eventualmente dimezzato) entro il quale provvedere al deposito del ricorso, mentre il potere di conversione, pur avendo finalità conservativa dei mezzi processuali, in un’ottica di effettività della tutela, non può condurre al risultato di derogare alle condizioni di rito all’uopo contemplate, come è fatto chiaro dal disposto dell’art. 32, comma 2, secondo periodo c.p.a., laddove prevede che “ sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni ”, a salvaguardia delle esigenze del contraddittorio e di quelle oggettive sottese al celere ed efficiente esercizio della funzione giurisdizionale, così come valutate dal legislatore in relazione alla specifica tipologia processuale.

11. Né del resto, come già evidenziato, potrebbe sostenersi che la ricorrente non avrebbe potuto assolvere ad un onere processuale (quello cioè del deposito del ricorso entro il suddetto termine dimezzato) le cui condizioni sono maturate solo per effetto della conversione dell’azione originariamente esperita, avendo questa la funzione di rimediare ad un errore di inquadramento del diritto di azione entro la cornice processuale appropriata ascrivibile, in ultima analisi, alla stessa ricorrente.

Allo stesso modo, laddove si ritenga – ciò che non contesta nemmeno la ricorrente – che il rispetto del termine per la notifica del ricorso integri uno dei presupposti per la conversione dell’azione, non potrebbe pervenirsi a diversa conclusione relativamente al termine per il deposito, concorrendo tale adempimento, al pari del primo, al perfezionamento della fattispecie della rituale instaurazione del rapporto processuale dinanzi al giudice amministrativo.

12. Quanto poi all’eventuale riconoscimento a favore della ricorrente dell’errore scusabile, deve osservarsi che la parte appellante non suffraga la richiesta – recte , il relativo motivo di appello – con alcuna specifica deduzione intesa a dimostrare la sussistenza degli eccezionali presupposti – inerenti alla sussistenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto – di cui all’art. 37 c.p.a..

13. L’infondatezza dell’appello pone in secondo piano il profilo di inammissibilità dello stesso, conseguente al fatto che i motivi formulati con esso convergono sulla sola statuizione di irricevibilità del ricorso in riassunzione, senza svolgere alcuna censura in relazione alla declaratoria di inammissibilità dello stesso recata dal par. 8 della sentenza appellata, laddove testualmente si afferma che:

A prescindere dall’inammissibilità del ricorso in riassunzione per invalidità della notifica (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna-Bologna sez. I, 12 ottobre 2020 n. 603;
T.A.R. Basilicata 9 aprile 2019 n. 359) e dell’impossibilità di rilevare l’ipotesi dell’errore scusabile, unica a legittimare la richiesta di rimessione in termini ex art. 44 co. 4 c.p.a, il ricorso è irricevibile, essendo fondata l’ulteriore eccezione rilevata d’ufficio dal Collegio
”.

Sebbene, infatti, la suddetta statuizione di inammissibilità non sia formalmente riprodotta nella parte dispositiva della sentenza impugnata, il carattere unitario del decisum imporrebbe, ai fini della compiuta delimitazione contenutistica della pronuncia di rito (specialmente laddove, come nel caso di specie, non di contrasto tra parti diverse della sentenza si tratti, ma della integrazione dell’una mediante le statuizioni contenute nell’altra), una lettura integrale e coordinata dello stesso, la quale non può ritenersi preclusa dalla articolazione della sentenza in elementi formalmente distinti.

14. La mancata costituzione delle parti appellate esime da ogni pronuncia in merito alle spese di giudizio.

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