Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-01-13, n. 202300468
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Testo completo
Pubblicato il 13/01/2023
N. 00468/2023REG.PROV.COLL.
N. 01311/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1311 del 2020, proposto dal
signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, n. -OMISSIS-resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento disciplinare di destituzione dal servizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2022 il Cons. C A; udito per la parte appellata l'Avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi e dato atto della richiesta di passaggio in decisione del difensore della parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con l’appello in trattazione è stata impugnata la sentenza segnata in epigrafe che ha respinto il ricorso proposto dal sig. -OMISSIS- Assistente capo della Polizia penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di-OMISSIS- avverso il decreto ministeriale n. 00468840 – 2018/32649/14 del 26 giugno 2018, con cui il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria gli ha irrogato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio all’esito del procedimento disciplinare.
Quest’ultimo era stato avviato con la contestazione degli addebiti del 4 dicembre 2017, notificata il 15 dicembre 2017, a seguito della sentenza del Tribunale di -OMISSIS- del 15 giugno 2017 (passata in giudicato il 29 luglio 2017), che aveva prosciolto il predetto signor -OMISSIS- dal reato di falso materiale in attestati del contenuto di atti (478 c.p.) per l’intervenuta prescrizione.
La vicenda penale riguardava la fruizione di permessi per attività svolte nel Comune di -OMISSIS- dove il predetto era stato assessore e poi consigliere comunale, in particolare per la partecipazione ad una Commissione istituita, ai sensi della legge 14 maggio 1981 n. 219, che secondo l’ipotesi accusatoria, non avrebbe svolto alcuna effettiva attività, ma sarebbe stata istituita al fine di usufruire di permessi retribuiti presso l’Amministrazione di appartenenza.
Il rinvio a giudizio era stato formulato per i reati di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici e truffa.
La sentenza del Tribunale di -OMISSIS- derubricava l’accusa di falso ideologico in falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti di cui all’art. 478 c.p. e dichiarava estinti per prescrizione i reati di falso e truffa, dando atto della sussistenza dei fatti contestati.
A sostegno dell’impugnazione innanzi al TAR per la Campania, sezione staccata di Salerno, del provvedimento di destituzione dal servizio l’interessato proponeva un primo motivo di violazione dell’art. 103 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, in combinato disposto con l’art. 10, comma 1, lett. a) ed e) del D.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, di violazione dei principi di immediatezza e tempestività della contestazione, dell’art. 24 della Costituzione, lamentando che che la contestazione degli addebiti sarebbe stata formulata tardivamente, in quanto le condotte contestate risalivano agli anni tra il 2001 e il 2009 ed erano state conosciute dall’Amministrazione sin dal 19 Febbraio 2009, quando in fase di indagini era stata richiesta dalla Questura di -OMISSIS- al Comune di-OMISSIS-la documentazione relativa alla partecipazione alla Commissione comunale.
Con il secondo motivo era dedotta la violazione dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. n. 449/1992, in relazione ai termini di decadenza del procedimento disciplinare (120 e 40 giorni), sostenendosi il decorso sia del termine breve dalla notifica della sentenza, sia di quello lungo di 120 giorni dalla conoscenza della stessa.
Con il terzo motivo si sosteneva la violazione dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 11 del D.lgs. n. 449/1992, per la violazione dei principi di logicità, congruità e graduazione della pena, deducendosi che l’Amministrazione non avrebbe compiuto una valutazione del complesso della condotta professionale del dipendente.
Con il quarto motivo veniva dedotto l’eccesso di potere per la sproporzione tra sanzione irrogata e fatti contestati, evidenziandosi, quale indice della valutazione di non gravità dei fatti, che per tutto il periodo in cui si era prolungata la vicenda giudiziaria per quasi dieci anni non era stata disposta la sospensione cautelare dal servizio.
Con il quinto motivo si lamentava l’eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, in quanto la sentenza di proscioglimento non sarebbe stata idonea in relazione all’ accertamento della responsabilità penale e quindi all’ avvio di un procedimento disciplinare, rimasto privo di autonomo accertamento dei fatti; in particolare si deduceva che nel corso del procedimento disciplinare non era stata effettuata alcuna autonoma valutazione dei fatti, mentre l’Amministrazione aveva sempre considerato valide le giustificazioni presentate dall’interessato per lo svolgimento delle attività nel Comune di -OMISSIS- inoltre si sarebbe dovuto distinguere il periodo in cui l’interessato era stata assessore, in cui l’assenza sarebbe stata giustificata a prescindere dalle effettive sedute della Commissione ai sensi della legge 219/81, dal periodo successivo.
Con la sentenza segnata in epigrafe sono stati respinti tutti i motivi.
Il giudice di primo grado ha ritenuto la infondatezza della prima censura, relativa alla tardività dell’avvio del procedimento disciplinare, richiamando gli art. 9 e 24, comma 5, del D. Lgs. n. 449/92 nonché l'art. 117 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, secondo cui è consentito anche non avviare il procedimento disciplinare in pendenza di un procedimento penale per gli stessi fatti e non solo di sospenderlo ove già iniziato.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, ha richiamato l'art. 97, comma 3, del D.P.R. n. 3 del 1957, per cui il procedimento disciplinare deve avere inizio entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento oppure entro 40 giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato all'amministrazione la sentenza stessa; ha fatto poi riferimento al rispetto del termine di 120 giorni, non essendoci stata notificazione della sentenza da parte dell’imputato.
Sul terzo motivo di ricorso ha ritenuto l’irrilevanza del complessivo comportamento professionale del ricorrente rispetto allo specifico episodio contestato nel procedimento disciplinare.
Sono stati respinti, altresì, il quarto e il quinto motivo di ricorso, rilevando che la sospensione dal servizio non costituisce un presupposto del procedimento disciplinare, per cui non ne condiziona la legittimità; la infondatezza delle deduzioni relative alla irragionevolezza e sproporzione della sanzione irrogata, in considerazione della gravità della condotta e della violazione del dovere di fedeltà e di rispetto della legge, immanente in tutti i pubblici dipendente ed ancor di più in quelli, tra loro, che hanno prestato specifico giuramento; la idoneità della contestazione di una condotta illecita per procedere all’avvio di un procedimento disciplinare.
L’interessato ha chiesta la riforma della sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due motivi.
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del diritto di difesa in relazione all’art. 24 della Costituzione per la mancata ottemperanza all’ordine istruttorio del decreto