Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-03-26, n. 201902010

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-03-26, n. 201902010
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902010
Data del deposito : 26 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2019

N. 02010/2019REG.PROV.COLL.

N. 08475/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8475 del 2017, proposto da
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato E G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Adelaide Ristori, n. 42;

contro

Comune di Anguillara Sabazia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato I L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ombrone, n. 12/B;
Città Metropolitana di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Sabrina Barra, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via

IV

Novembre, 119/A;
Provincia di Roma, Regione Lazio, Agenzia Regionale Protezione Ambientale (Arpa) non costituiti in giudizio;

nei confronti

Asilo Nido Comunale "Il Ranocchio", Vodafone Omnitel B.V., Fabio Sorana, Alberto Sorana, Alessandra De Angelis non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio n. 10674/2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Anguillara Sabazia e della Città Metropolitana di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Fabiana Seghini, in delega orale di Giardino Edoardo, e Loiodice Isabella;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1 - Telecom Italia presentava, unitamente a Vodafone Omnitel B.V., in data 8 aprile 2015, presso il Comune di Anguillara Sabazia, una istanza ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, per la realizzazione di una stazione radio base in via Anguillarese n. 34 c/ Sorana Auto (Foglio 13, particella 133).

2 – Sul progetto l’

ARPA

Lazio esprimeva parere favorevole di conformità ai limiti di emissione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità di cui al

DPCM

8 luglio 2003.

3 - Il Comune di Anguillara Sabazia, in data 24 settembre 2015, adottava un’ordinanza di sospensione dei lavori edilizi a cui seguiva, in data 6 novembre 2015, l’atto di annullamento del titolo edilizio tacitamente assentito e l’ordinanza di demolizione n. 107 del 6 novembre 2015.

A fondamento di tali atti, il Comune rilevava che l’intervento contrastava con il Regolamento Antenne, precisando che nel raggio di 300 metri dall’impianto esistono n. 2 siti sensibili: l’asilo nido comunale “Il Ranocchio” in via Duca degli Abruzzi e l’Impianto Sportivo di Via Prato Viale.

4 - Avverso i citati atti e contro il regolamento comunale, Telecom proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio che, con ordinanza n. 759/2016, respingeva l’istanza cautelare (decisione riformata da questo Consiglio con l’ordinanza 2705/2016);
quindi, con la sentenza n. 10674 del 25 ottobre 2017, il T.A.R., ritenendo legittima la disposizione del regolamento comunale, rigettava i ricorsi proposti dalla società nei confronti dei provvedimenti comunali.

5 – Nei confronti di tale sentenza ha proposto appello Telecom, la cui istanza cautelare volta ad ottenere la sospensione degli effetti della sentenza impugnata è stata accolta da questa Sezione con l’ordinanza n. 390 del 2018 con cui si è evidenziato che: “ il giudice di prime cure non mostra di avere adeguatamente approfondito i profili di illegittimità del regolamento comunale alla luce della giurisprudenza richiamata anche dalla società telefonica nel proprio atto di appello (Cons. St., Sez. III, 30 settembre 2015, n. 4577;
Cons. St. Sez VI, 9 gennaio 2013, n. 44);
tenuto altresì conto che l’ordinanza di questo stessa Sezione n. 2705 del 13 luglio 2016, con la quale era già stata sospesa l’efficacia dell’ordine demolitorio, aveva già valorizzato il parere ARPA favorevole a parte ricorrente e la sua effettiva rilevanza nel caso concreto
”.

6 – Si sono costituiti in giudizio il Comune di Anguillara Sabazia e la Città metropolitana di Roma, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza del 21 marzo 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – La valutazione sommaria effettuata in sede cautelare deve essere confermata e l’appello deve trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

In particolare, devono trovare accoglimento le censure con cui l’appellante contesta la sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto legittimo l’art. 8, lett. b) e c), del regolamento approvato con delibera del consiglio comunale n.3 del 24 gennaio 2006.

Al riguardo, l’appellante rileva che i più recenti orientamenti della giurisprudenza hanno affermato la potestà dell’ente comunale di imporre legittime preclusioni di natura urbanistica, ma a condizione che esse si fondino su criteri di localizzazione “ concreti, omogenei e specifici” e che sia sempre garantita, anche attraverso la possibile deroga a detti criteri, la copertura radioelettrica.

2 - La diposizione regolamentare contestata impone il divieto (lettera b) “ di installazioni in prossimità (raggio di 300 mt.) e sopra edifici scolatici, a destinazione sanitaria – residenziale, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, asili nido parchi gioco, impianti sportivi adiacenti alle scuole, strutture che accolgono minori nonché edifici vincolati ai sensi della normativa vigente classificati di interesse storico architettonico e monumentale, di pregio storico e di valore testimoniale ….” ;
nonché il divieto di installazione (lettera c): “ su pali o tralicci, mentre sono consentite su strutture e fabbricati esistenti ”.

E’ utile ricordare il pertinente quadro legislativo nel quale si colloca la materia in questione, onde valutare la legittimità della disposizione innanzi richiamata.

A questo proposito, si osserva che, ex art. 4 co. 1 lett. a) della l. n. 36/2001: “ Lo Stato esercita le funzioni relative: a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d), numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 12”. L’art. 8, co. 1 lett. a) della cit. legge n. 36 dispone che: “Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5” .

Giova, altresì, richiamare quanto sancito dall’art. 8, co. 6, della l. 36/2001, alla cui stregua: “ I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici ”.

2.1 - Le ricordate disposizioni sono già state oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza. In particolare, questo Consiglio (Sez. III, sent. del 30 settembre 2015, n. 4577), in ordine ad una fattispecie analoga, ha così argomentato: “ La disciplina generale della localizzazione degli impianti di telefonia mobile (id est: la introduzione di prescrizioni generali relative alle distanze minime da rispettare nel caso di installazione di impianti di tal fatta, nonché la fissazione dei limiti di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici), è riservata allo Stato. E ciò sia in quanto espressione del generale e pervasivo potere - ad Esso attribuito - di introdurre nell’Ordinamento “principii fondamentali” atti a vincolare l’attività legislativa regionale e l’attività normativa locale (ai sensi dell’art.117, ultimo comma, della Costituzione), sia in quanto intrinsecamente connessa alla c.d. determinazione dei ‘livelli essenziali delle prestazioni’ che l’Amministrazione è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale, nell’erogazione dei servizi pubblici relativi (anche) alla tutela della salute (in forza dell’art. 117, comma 2°, lett. ‘m’, della Costituzione), sia - ancora – in quanto concernente la salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema (ai sensi dell’art.117, comma 2°, lett. ‘s’, della Costituzione), sia - infine - in quanto attività connessa alla fornitura di reti di comunicazione elettronica;
‘materie’ - tutte – di preminente interesse generale, siccome coinvolgenti
l’interesse nazionale (Corte Cost. n.307/2003). In aderenza a tale principio, in precedenti analoghi è stato già affermato: - che “alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (… omissis …) quali, ad esempio, il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura etc.), mentre non è consentito introdurre limitazioni alla localizzazione consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizioni di distanze minime da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni e/o a luoghi di lavoro, di ospedali, di case di cura …)” (C.S., VI^, n.3452/2006;
Id., n.2371/2010;
Id. n.44/2013);
- e che “va dichiarata la illegittimità dei regolamenti che prevedono una zonizzazione indipendente dalle esigenze dei gestori del servizio di telefonia mobile e che, cioè, circoscrivono gli impianti a specifiche aree, appositamente individuate, senza subordinare le relative scelte alla previa e puntuale verifica della coerenza della disciplina pianificatoria con la necessità che venga in concreto assicurata sull’intero territorio comunale l’intera copertura del servizio” (C.S., IV, n.1431/2007). E poiché nella fattispecie il Comune ha spinto le proprie competenze ben oltre i limiti imposti dalla Costituzione e dalla menzionata legislazione statale d’interesse nazionale, esercitando - mediante il suo potere regolamentare - attribuzioni riservate allo Stato (nella specie: ha introdotto una prescrizione generale avente ad oggetto l’indicazione della distanza minima degli impianti da realizzare rispetto ad alcuni ‘tipi’ o ‘categorie’ di immobili, senza - però - individuarli specificamente), correttamente il Giudice di primo grado ne ha stigmatizzato negativamente la condotta, statuendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati innanzi ad esso e la disapplicazione della norma regolamentare confliggente con il corretto riparto delle funzioni”.

In linea con quanto appena rammentato, sempre questo Consiglio di Stato (Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 44) ha ribadito che: “ alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi). Ne deriva che la scelta di individuare, come nel caso di specie, un’area ove collocare gli impianti in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6961).

E sempre sulla illegittimità di una scelta amministrativa preclusiva condizionata dalla mera distanza da un sito si è pronunciata la stessa Corte costituzionale (Corte cost., 7 novembre 2003, n. 331), la quale, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 3 comma 12 lett. a), l. reg. Lombardia 6 marzo 2002 n. 4, ha ritenuto che: “tale disposizione, stabilendo un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, costituisce non già un criterio di localizzazione, la cui individuazione è rimessa dall'art. 3 lett. d) n. 1, l. 22 febbraio 2001 n. 36 alla legislazione regionale, ma un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, e quindi in una limitazione alla localizzazione, non consentita dalla legge quadro, in considerazione dell'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi. Né la disposizione regionale può trovare giustificazione nel generale principio di derogabilità in melius (rispetto alla tutela dei valori ambientali), da parte delle regioni, degli standard posti dallo Stato, in quanto in presenza di una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni, interventi regionali di tipo aggiuntivo devono ritenersi, a differenza che in passato, incostituzionali, perché l'aggiunta si traduce in una alterazione e quindi in una violazione, dell'equilibrio tracciato dalla legge statale di principio ( cfr. Corte Cost. n. 382 del 1999;
n. 307 del 2003)”.

3 - Alla luce delle coordinante ermeneutiche innanzi delineate, come già argomentato nel precedente specifico di cui alla sentenza di questa Sezione n. 1592/2018, non può ritenersi legittima la previsione regolamentare in esame, che prevede un indiscriminato limite di trecento metri. Invero, tale limite appare assolutamente generico, risolvendosi nell’illogicità dello stesso, conformemente ai precedenti di questo Consiglio innanzi ricordati.

Invero, nel caso di specie, il Comune ha classificato come sensibili: gli edifici scolatici e quelli a destinazione sanitaria - residenziale;
le strutture di accoglienza socio assistenziali, asili nido, parchi gioco, impianti sportivi adiacenti alle scuole, strutture che accolgono minori;
gli edifici vincolati ai sensi della normativa vigente, classificati di interesse storico architettonico e monumentale, di pregio storico e di valore testimoniale. Ne discende che ad ogni edificio che rientri in dette categorie e per ogni area destinata a parco gioco o ad impianto sportivo, corrisponderà una area nel raggio di trecento metri nella quale è inibita l’installazione.

La disposizione impugnata travalica dunque i limiti individuati dalla giurisprudenza innanzi citata, posto che, da un lato, generalizza il divieto, considerando sensibili praticamente tutti gli edifici abitabili, dal momento che, tra l’altro, vi include tutti quelli residenziali;
dall’altro, assimila siti tra loro assolutamente differenti, quali, a mero titolo esemplificativo, le scuole e gli immobili di pregio storico, così concretizzando nei fatti un illegittimo divieto di installazione delle antenne in una considerevole parte del territorio comunale, pari all’area ricompresa nei distanza di 300 mt. di distanza da tutti gli edifici innanzi menzionati.

In altre parole, le prescrizioni comunali in esame integrano delle limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei - ovvero, prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di una pluralità eterogena di edifici - già reputate illegittime dalla giurisprudenza di questo Consiglio ( cfr. Cons. Stato, VI, 9 gennaio 2013, n.44).

4 - Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta altresì fondata la censura con la quale si contesta l’art. 8 lett. c) del Regolamento Antenne, che stabilisce che: “ Sono inoltre vietate nelle aree edificate le installazioni su pali o tralicci, mentre sono consentite su strutture e fabbricati esistenti ”.

Invero, anche tale disposizione integra di fatto una generalizzata (e dunque illegittima) limitazione alla localizzazione degli impianti.

Tale assunto non può essere superato dalla valutazione effettuata dal giudice di prime cure, secondo cui la realizzazione di un intervento su una struttura o su un fabbricato esistente sarebbe più coerente con il decoro estetico urbanistico.

Invero, in disparte l’opinabilità di tele valutazione, la disposizione in esame che parrebbe consentire l’istallazione “ su strutture e fabbricati esistenti ”, si manifesta assolutamente irragionevole, costituendo una indiscriminato divieto di localizzazione, ove letta unitamente alla lettera b del medesimo regolamento che vieta l’istallazione sopra “ edifici scolatici, a destinazione sanitaria – residenziale, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, asili nido parchi gioco, impianti sportivi adiacenti alle scuole, strutture che accolgono minori nonché edifici vincolati ai sensi della normativa vigente classificati di interesse storico architettonico e monumentale, di pregio storico e di valore testimoniale” .

5 – Da un altro punto di vista, ciò implica che il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, ha predisposto misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato.

Al riguardo, come già evidenziato nelle ordinanze cautelari relative al presente giudizio (n. 2705/2016 e n. 390/2018), non piò trascurarsi che, nel caso di specie, la valutazione del contrapposto interesse a non essere esposti ai campi elettrici generati dalle antenne, è stata effettuata dall’ARPA, unico organo ex lege preposto e legittimato a verificare la conformità delle emissioni agli inderogabili limiti dettati dallo Stato, ed alle cui prescrizioni contenute del relativo provvedimento la società appellante è tenuta ad ottemperare.

6 – La sentenza impugnata è errata anche nel punto in cui – a fronte della ragione preclusiva addotta dal Comune circa la “ mancanza del titolo di disponibilità dell’area allegato all’istanza ”, da cui “ la mancanza di legittimazione alla richiesta da parte delle richiedenti Società ” - non considera che l’appellante dispone invece della piena disponibilità dell’area, in forza del contratto di locazione stipulato con i proprietari e prodotto anche nel presente giudizio.

7 – Anche il rilievo, oltretutto di carattere esclusivamente formale, valorizzato dal T.A.R., secondo cui per procedere all’intervento si sarebbe dovuto procedere tramite S.C.I.A., non appare decisivo, stante l’impossibilità per il tecnico abilitato di attestare la conformità dell’opera al regolamento comunale, il quale, tuttavia, per le ragioni esposte deve ritenersi illegittimo.

Oltretutto, non è in discussione che la società abbia presentato una idonea domanda di autorizzazione, tanto è vero che il Comune è intervento attraverso un esplicito provvedimento di autotutela al fine di annullare il provvedimento formatosi per silenzio assenso.

8 – In considerazione dell’accoglimento per ragioni sostanziali ed assorbenti dell’appello, non è necessario esaminare le ulteriori censure svolte dall’appellante, attinenti ai vizi che affliggerebbero il procedimento di autotutela con il quale il Comune ha annullato l’autorizzazione formatasi per silenzio assenso, senza tenere conto del contrapposto interesse della società che aveva già parzialmente realizzato la struttura.

Vale un analogo discorso in riferimento alla censura con la quale si contestano le considerazioni del T.A.R., circa l’eventualità che la società ubicasse in altro luogo l’impianto.

Per altro, deve osservarsi che la struttura oggetto di causa è stata realizzata in coubicazione con altro operatore del settore (Vodafone), anche al fine di scongiurare inutili ed ulteriori impatti sul territorio comunale in esame, in conformità agli artt. 49 co. 1 lett. f) e 89 del d.lgs. n. 259/2003, che incoraggiano tali forme di collaborazione tra gli operatori.

9 – Per le considerazioni esposte, l’appello deve trovare accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado.

Le spese di lite dei due gradi di giudizio, in ragione della complessità della questione sottesa all’accoglimento del ricorso, possono essere compensate.

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