Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-10-16, n. 200906353

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-10-16, n. 200906353
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200906353
Data del deposito : 16 ottobre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10861/2004 REG.RIC.

N. 06353/2009 REG.DEC.

N. 10861/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sull’appello n. 10861 del 2004, proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze-Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

Il signor L P, rappresentato e difeso dall'avv. A R S, con domicilio eletto presso il signor M B in Roma, via L. Capuana, 207;

per la riforma della sentenza del TAR LAZIO – ROMA, Seconda Sezione, n. 08585/2004, resa tra le parti, concernente PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 il Consigliere S D F e uditi per le parti l’avvocato dello stato Greco, e l'avvocato Robaldo, su delega dell'avv. Schiano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso proposto innanzi al TAR per il Lazio, l’attuale appellato ha impugnato il provvedimento con cui il Comandante Generale della Guardia di Finanza ha concluso il procedimento disciplinare aperto dalla quarta Legione della Guardia di Finanza e ha disposto la perdita del grado per rimozione con conseguente messa a disposizione come semplice soldato presso il Distretto Militare, a seguito di un decreto penale di condanna a pena pecuniaria per tentato furto, emesso dal Tribunale penale di Innsbruck.

La vicenda processuale si concludeva in Italia con il decreto di archiviazione del 16 febbraio 1998 del GIP presso la Pretura circondariale di Bolzano, per la mancanza della condizione di procedibilità della richiesta ex art. 9 c.p. del Ministro della Giustizia.

Il fatto era avvenuto all’interno di un centro commerciale in Innsbruck e consisteva nell’indebito impossessamento di oggetti per un valore complessivo di 178,30 scellini austriaci, pari a ventitremila lire circa dell’epoca.

L’Ufficiale inquirente, al termine della istruttoria, chiedeva irrogarsi la pena di tre mesi di sospensione disciplinare dal servizio, mentre la sanzione irrogata alla fine del procedimento coincideva con quella più grave, di cui si contestava la legittimità.

Il TAR per il Lazio – che in sede cautelare aveva accolto la richiesta cautelare, confermata in secondo grado – ha accolto il ricorsodi primo grado, ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede e in particolare ritenendo che l’amministrazione non avrebbe potuto irrogare la sanzione più gravosa, senza esporre compiutamente le ragioni poste a fondamento delle sue determinazioni.

Secondo il TAR, l’amministrazione – operando in difetto di adeguata istruttoria e non motivando sufficientemente - non ha tenuto in considerazione gli elementi relativi alla minima gravità del reato sanzionato dal giudice penale straniero con una pena simbolica, alla scarsa assenza di dolo, alla totale assenza di pericolosità sociale, alla assenza di pene accessorie e di misure di sicurezza, alla ottima condotta del ricorrente successiva ai fatti in questione e il suo ravvedimento.

Con l’atto di appello, il Ministero ha dedotto la erroneità della sentenza e la correttezza del suo operato ed ha dedotto come la valutazione della rilevanza disciplinare della infrazione sia di completo apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, che non può essere sostituita dal giudice amministrativo nel sindacato della adeguatezza e della proporzionalità della sanzione irrogata.

Inoltre, il TAR – nel dare rilievo agli elementi della tenuità del fatto, ai precedenti di carriera, all’ottimo comportamento del soggetto – non avrebbe tenuto conto: 1) del rinvio al complesso degli atti acquisiti al procedimento disciplinare, come tali non contestati;
2) della considerazione sulla gravità della condotta contestata al militare, il quale, pur rivestendo la qualifica di agente di polizia giudiziaria e tributaria, ha commesso un delitto contro il patrimonio;
3) del convincimento che il militare ha dimostrato notevoli carenze di qualità morali e di carattere, venendo meno ai doveri di fedeltà, lealtà e correttezza assunti a seguito del suo giuramento;
4) della conclusione della incompatibilità con la ulteriore permanenza del militare nella Guardia di Finanza.

Si è costituito l’appellato, il quale ha chiesto il rigetto dell’appello, perché infondato.

Alla udienza pubblica del 22 settembre la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va respinto.

Il Ministero appellante contesta l’utilizzo da parte del primo giudice di un potere di sindacato intrinseco sulla proporzionalità e sulla adeguatezza della inflitta sanzione, sostenendo che la valutazione rientrerebbe nella sfera esclusiva della discrezionalità dell’amministrazione e che tutti gli elementi (il fatto penalmente rilevante, il comportamento del militare, la mancanza di adeguate caratteristiche morali, la incompatibilità di tale situazione rispetto alla sua permanenza in servizio) rendevano giustificato il provvedimento sanzionatorio più grave.

Va premesso che l’atto d’appello ha correttamente richiamato i principi da tempo enunciati in materia da questo Consiglio (Sez. IV, 5 marzo 2008, n. 9224;
sent. n. 2830 del 2007;
Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5759;
Sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 339;
Sez. IV, 3 luglio 2000, n. 3647), per i quali:

- la valutazione sulla gravità dei fatti commessi dal dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce una tipica espressione della discrezionalità amministrativa, non sindacabile in quanto tale dal giudice amministrativo, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento;

- sussiste il vizio di eccesso di potere quando il provvedimento disciplinare appare ictu oculi sproporzionato, nella sua severità, rispetto ai fatti accertati, pur se essi abbiano dato luogo ad una condanna in sede penale.

Ciò posto, in considerazione dei fatti accertati, ritiene il Collegio, che - in relazione agli specifici fatti a monte del procedimento disciplinare, del tutto correttamente il TAR ha ritenuto sussistenti il vizio di eccesso di potere per adeguata istruttoria, inadeguata motivazione e violazione del principio di sproporzione proporzionalità.

In considerazione dei fatti accertati nel corso del processo penale e del procedimento disciplinare, la Sezione ritiene meritevole di conferma la impugnata statuizione, con cui il TAR ha ritenuto che, nella specie, il provvedimento di rimozione risulta viziato per violazione del principio di proporzionalità.

Infatti, per qualsiasi dipendente (anche per il militare che abbia prestato il giuramento di fedeltà), un isolato comportamento illecito può giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro, quando si possa ragionevolmente riconoscere che i fatti commessi siano tanto gravi da manifestare l’assenza delle doti morali, necessarie per la prosecuzione dell’attività lavorativa.

Per il principio della graduazione delle sanzioni e tenuto conto delle regole riguardanti la recidiva (per le quali i fatti acquistano una maggiore gravità, in quanto commessi dal dipendente già incorso in una precedente sanzione), l’Amministrazione non può considerare automaticamente giustificata l’estinzione del rapporto di lavoro per il solo fatto che il dipendente abbia commesso per la prima volta un reato doloso.

In sede disciplinare, infatti, deve esservi la specifica valutazione dei fatti accaduti, poiché la loro lievità può giustificare una sanzione diversa da quella massima (salve le più severe valutazioni, in presenza dei relativi presupposti, se il dipendente commetta ulteriori reati): altrimenti opinando, qualsiasi reato doloso potrebbe essere posto a base della misura disciplinare del rapporto di lavoro, ciò che non si può affermare, in considerazione della prassi amministrativa e del principio di proporzionalità, affermatosi nella pacifica giurisprudenza.

Nella specie, la Sezione ritiene che il TAR abbia correttamente ritenuto sussistente il vizio di eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, perché (come emerge dalla documentazione) l’appellato non risulta aver commesso altri reati o mancanze disciplinari, pur essendo stato arruolato molti anni prima dei fatti accaduti ad Innsbruch.

Ad avviso della Sezione, il reato così commesso, pur giustificando una sanzione disciplinare, non è tale ictu oculi da giustificare la misura massima della estinzione del rapporto di lavoro.

Se tale dovesse essere il metro costante di valutazione del Ministero appellante, qualsiasi reato commesso dal dipendente giustificherebbe la misura estintiva, ma tale criterio da un lato non trova riscontro nella prassi e dall’altro si pone in chiaro contrasto col principio di proporzionalità.

Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto e va confermata la sentenza di annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti, ai sensi dell’art. 119 del testo unico n. 3 del 1957.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

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