Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-04, n. 201802094

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-04, n. 201802094
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802094
Data del deposito : 4 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/04/2018

N. 02094/2018REG.PROV.COLL.

N. 05378/2015 REG.RIC.

N. 05280/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5378 del 2015, proposto dal signor V M, quale legale rappresentante della Società Turistica di V M &
C. S.a.s., e dal signor V M, nella qualità di legale rappresentante della Società Vincenti Pio &
C. S.a.s. e di erede unico della signora T G, rappresentati e difesi dagli avvocati L M e L C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L C in Roma, via Sestio Calvino, n. 33;

contro

Il Comune di Assisi, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati U S e Tosca Molini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato U S in Roma, via G.B. Morgagni, n. 2/A;

nei confronti

I signori F F, M Aldofri, M Maestrucci, L P, L P, G C, R T, B T, D G, P S, L C, P B, T B, L L, S E S, A M B, M R P, C V, M V, Francesco Venarucci, A R, P R, T C, Stramandinoli Barbara Raphaella, A R F, A M, M R M, S D, F V, Giancarlo Costantini, L S, R V, N V, Mark &
Mark S.a.s., Il Miglio Verde di Castellini Manuela &
C. S.a.s., Condominio del Carrara A, Condominio del Carrara B, non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 5280 del 2015, proposto dai signori
F F, R C, M Aldofri, M Maestrucci, L P, L P, G C, R T, B T, D G, P S, L C, P B, T B, dalla s.a.s. Il Miglio Verde di Castellini Manuela &
C., dai signori L L, S E S, A M B, M R P, C V, M V, A R, P R, T C, B R S, A R F, A M, M R M, S D, F V, G C, L S, N V, R V ed E M, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E A in Roma, via Marianna Dionigi, n. 29;

contro

Il Comune di Assisi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Tosca Molini ed U S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato U S in Roma, via G.B. Morgagni, n. 2/A;

nei confronti

Il signor M Vincenti, in qualità di legale rappresentante della società turistica di V M &
C. S.a.s., e il signor M V, in qualità di legale rappresentante della società Vincenti Pio &
C. S.a.s., non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 5378 del 2015:

della sentenza del T.A.R. per l’Umbria, n. 630/2014, resa tra le parti.

quanto al ricorso n. 5280 del 2015:

della sentenza del T.A.R. per l’Umbria, n. 630/2014, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Assisi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Consigliere O L e uditi, per gli appellanti V M e M, l’avvocato L C, per gli appellanti F F ed altri, l’avvocato E A, su delega dell'avvocato M S e, per il Comune di Assisi, l’avvocato U S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La s.a.s. Edilvincenti di V M &
C. ha conseguito, con atto 31 dicembre 2005, n. 5877, la “concessione edilizia in sanatoria” (condono) ai sensi degli artt. 31 ss. della L. n. 47/1985, per un fabbricato da essa realizzato in totale difformità dalla concessione edilizia, in località Rivotorto del Comune di Assisi.

Il condono si basava, fra l’altro, sul parere favorevole alla compatibilità ambientale del fabbricato abusivo, in relazione al vincolo preesistente, imposto ai sensi della L. n. 1497/1939.

Dopo il rilascio del condono, il Comune di Assisi si è dato carico di applicare alla società interessata la sanzione pecuniaria (indennizzo) di cui all’art. 15 della L. n. 1497/1939.

Con l’ordinanza n. 410 del 10 ottobre 2009, il Comune ha ingiunto alla società interessata il pagamento della somma di Euro 101.414,69, più Euro 6.653,67 per spese di istruttoria.

Tale provvedimento è stato impugnato dinanzi al T.A.R. per l’Umbria, il quale, con la sentenza n. 281/2010, ha accolto parzialmente il ricorso, ritenendo che la sanzione pecuniaria dovesse essere determinata con il metodo previsto dall’art. 3 del D.M. 26 settembre 1997, considerando il valore tabellare dell’intero fabbricato e applicandovi la percentuale del tre per cento o, se del caso, una delle percentuali maggiorate, come previsto dall’ultimo comma dello stesso articolo 3 e dalla delibera consiliare del Comune di Assisi.

Il Comune di Assisi si è quindi conformato a tale decisione e, con ordinanza n. 275, prot. 19718, del 6 luglio 2012, ha preso atto di quanto affermato dalla sentenza circa l’inerenza dell’abuso all’interno fabbricato e non a limitate porzioni, ha considerato che la sanzione poteva essere determinata considerando il valore tabellare dell’intero fabbricato con il tre per cento o con la percentuale maggiorata, ed ha quantificato il profitto dalla realizzazione delle opere abusive e, quindi, la sanzione da pagare, in Euro 124.445,96 e in Euro 774,69, in ragione delle tipologie di abuso, per un totale di Euro 125.200,65.

Contro tale provvedimento hanno proposto ricorso dinanzi al T.A.R. i signori M e M V, nelle rispettive qualità di legali rappresentanti della Società Turistica di V M &
C. s.a.s. e della Vincenti Pio &
C. s.a.s., subentrati pro quota nella società costruttrice dell’immobile, Edilvincenti di V M e &
C. s.a.s., deducendo, in via preliminare, che si sarebbe prescritta la pretesa di irrogare la sanzione e deducendo ulteriori quattro censure di violazione di legge per erronea quantificazione della sanzione, contraddittorietà di atti e difetto di motivazione.

Tale ricorso è stato iscritto sub n. 668/2012 R.G.

Si è costituito in giudizio il Comune di Assisi, per resistere al ricorso avversario.

Con separato ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per l’Umbria ed iscritto sub n. 632/2012 R.G., il medesimo provvedimento è stato altresì impugnato da vari proprietari di distinte porzioni immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale realizzato dalla s.a.s. Edilvincenti.

I ricorrenti hanno articolato tre distinti motivi di ricorso, dando atto, nel corso del giudizio e a seguito delle produzioni del Comune, di rinunciare al terzo motivo. Si è costituito in giudizio il Comune di Assisi, per resistere al ricorso, e sono intervenuti ad opponendum i signori V M e M.

Il T.A.R. ha riunito i due ricorsi (ed un terzo, non di interesse ai fini del decidere) e ha respinto le censure formulate dagli appellanti M e M V avverso il provvedimento impugnato (ricorso sub n. 668/2012 R.G.), dichiarando altresì inammissibile il loro intervento ad opponendum, proposto nel giudizio introdotto dai predetti soggetti proprietari di varie unità immobiliari dell’immobile (ricorso sub n. 632/2012 R.G.).

Inoltre, il T.A.R. ha altresì respinto il ricorso iscritto sub n. 632/2012 R.G., con la seguente motivazione.

“Con riferimento al terzo motivo, il Comune ha dedotto, producendo i relativi referti di notifica e/o ricevimento di avere inviato ai ricorrenti regolari avvisi di avvio del procedimento, senza peraltro essere neppure tenuto, essendo note a loro tutti le pregresse vicende processuali da cui aveva avuto origine l’abuso e le determinazioni in merito alla sanatoria. Per quanto attiene a primo e al secondo motivo, va ribadito che, ai sensi dell’art. 167, co. 5, D.L.vo n. 42/2004, tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito, qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica è “il trasgressore” cioè il soggetto nei cui confronti sia stata accertata la violazione degli obblighi e degli ordini previsti a tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici, senza alcuna distinzione fra il soggetto che abbia in concreto costruito l’immobile e colui che ne abbia acquisito la disponibilità. Correttamente perciò il Comune ha applicato l’indennità risarcitoria alla società Edilvincenti s.a.s. e ai suoi aventi causa, odierni ricorrenti, senza affatto suddividere l’intera somma in proporzione al valore delle singole porzioni immobiliari” .

Contro la sentenza hanno interposto gravame i signori M e M V, formulando cinque motivi di censura.

La stessa sentenza è stata poi altresì gravata dai suddetti proprietari delle porzioni immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale, che hanno articolato due motivi d’appello.

Si è costituito in entrambi i giudizi il Comune di Assisi, per resistere ai gravami.

Nell’udienza del 22 marzo 2018, le cause sono passate in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente, s’impone di riunire i due gravami, essendo stati i medesimi proposti avverso la stessa sentenza.

Va affrontato, poi, in primo luogo, il ricorso in appello proposto dagli appellanti M e M V avverso la sentenza impugnata.

2) Con il primo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha respinto la deduzione secondo cui si sarebbe prescritta la pretesa della Amministrazione.

Gli appellanti individuano tre alternative date a partire dalle quali il termine prescrizionale sarebbe cominciato a decorrere.

In primo luogo, essi affermano che il termine di prescrizione sarebbe cominciato a decorrere dalla presentazione della domanda di condono, in data 31 dicembre 1986, allorché il Comune è venuto a conoscenza dell’abuso, cosicché da tale momento aveva avuto la possibilità di irrogare la sanzione.

In secondo luogo, si sarebbe dovuto apprezzare il rilascio della concessione in sanatoria, in data 31 dicembre 2005, quanto era cessata la condotta antigiuridica;
conseguentemente, al momento della notificazione dell’ordinanza del 6 luglio 2012, il termine quinquennale di prescrizione sarebbe già ampiamente decorso, in quanto la precedente ordinanza di irrogazione della sanzione, notificata in data 14 ottobre 2009, era stata annullata con effetto ex tunc , per cui non avrebbe potuto esplicare alcun effetto interruttivo della prescrizione.

In via gradata, gli appellanti affermano che il termine di prescrizione sarebbe decorso dall’ultimazione della procedura di variante al PRG e al piano di lottizzazione esecutivo, con presupposto parere ambientale del 23 marzo 1976, con il numero 1689, come da delibera del Consiglio Comunale n. 113/1976 del 10 luglio 1976, variante che era stata definitivamente approvata con decreto del Presidente della Giunta Regionale del 2 marzo 1992 e resa nota dal Sindaco del Comune di Assisi, con atto prot. 6937 del 10 aprile 1992.

La conoscenza dell’abuso si sarebbe quindi perfezionata già con la variante in questione, in data 10 aprile 1992, quando il Comune è venuto a conoscenza dell’illegittimità della realizzazione del fabbricato.

3) Ritiene la Sezione che tutte tali deduzioni sono infondate e vanno respinte.

3.1) In primo luogo, non risulta applicabile il sopra riportato art. 28 della L. n. 689 del 1981.

Come ha evidenziato questo Consiglio (sez. VI, 22 novembre 2017, n. 5420), l’art. 28 ha previsto la regola della prescrizione quinquennale, con riferimento ad un «diritto a riscuotere le somme» , per il quale è stata prevista la giurisdizione ordinaria.

Nella specie, invece, l’Amministrazione è titolare di un potere, per il quale vi è la posizione correlativa dell’interesse legittimo, con la conseguente giurisdizione amministrativa.

Poiché la prescrizione è un istituto riguardante il «diritto» e non l’esercizio del potere autoritativo (rispetto al quale la legge non ha previsto alcun termine di decadenza), la censura va respinta.

3.2) Peraltro, quand’anche si dovesse ritenere applicabile il sopra richiamato art. 28, la doglianza degli appellanti va respinta.

Poiché il relativo illecito è di natura permanente, il termine prescrizionale non può che decorrere dalla data in cui cessa la condotta antigiuridica [cfr. sul punto, Cons. St. n. 4420/2006, per cui: “Quanto alla prescrizione, questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire come ‘per gli illeciti in materia paesistica ed urbanistico - edilizia puniti con sanzione pecuniaria, la prescrizione quinquennale ex art. 28 l. 24 novembre 1981 l. n. 689 inizia a decorrere solo dalla cessazione della situazione di illiceità, sicché, vertendosi in materia di illecito permanente, l'indennità prevista dall'art. 15 l. 29 giugno 1939 n. 1947 può essere irrogata anche a distanza di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo dell'esercizio del potere’ (Consiglio Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3184)” ].

Nella specie, l’illecito consiste nell’aver la s.a.s. Edilvincenti realizzato un edificio in totale difformità dalla concessione edilizia, per cui ogni riferimento alla variante del PRG ed al piano di lottizzazione esecutivo risulta in ogni caso irrilevante.

In realtà, nel caso in esame, il termine di prescrizione quinquennale non può aver cominciato a decorrere prima della cessazione dell’illecito, la quale va individuata nell’avvenuto rilascio della concessione in sanatoria, in data 31 dicembre 2005.

Il termine quinquennale, poi, è stato interrotto dall’emanazione della precedente ordinanza n. 410 del 10 ottobre 2009, notificata in data 14 ottobre 2009, con la quale è stata intimato alla s.a.s. Edilvincenti il pagamento della sanzione.

Tale ordinanza è stata successivamente annullata parzialmente, con riguardo esclusivo alle modalità di calcolo della sanzione, con la sentenza del T.A.R. per l’Umbria n. 281/2010, sicché non può che essere constatato il suo effetto interruttivo.

Peraltro, quand’anche l’ordinanza fosse stata annullata integralmente, si deve ritenere che l’effetto interruttivo della prescrizione si è prodotto istantaneamente, con la comunicazione dell’atto interruttivo agli interessati.

Nel caso di specie, il termine prescrizionale – ove rilevante - ha quindi cominciato nuovamente a decorrere dalla suddetta data del 14 ottobre 2009, ex art. 2945 c.c., per cui l’ordinanza oggetto di causa, notificata in data 22 agosto 2012, è stata senz’altro portata a conoscenza dei destinatari in tempo utile per evitare la prescrizione.

4) Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, come già statuito con la sentenza del T.A.R. per l’Umbria, la sanzione si sarebbe dovuta calcolare considerando il valore tabellare dell’intero fabbricato, dal momento che l’abuso riscontrato era la totale difformità dell’edificio realizzato rispetto al progetto approvato e non riguardava soltanto sue limitate porzioni.

Gli appellanti, invece, affermano, con diffuse argomentazioni, che l’abuso avrebbe interessato solo una parte del fabbricato, anche perché erano rimaste immutate, rispetto all’originario titolo edilizio, le aree destinate al commercio e che la sanzione sarebbe sproporzionata, in quanto applicata per intero e non limitatamente al profitto relativo alla porzione il cui uso sarebbe stato mutato da commerciale ad abitativo e relativo all’ulteriore piano realizzato in assenza di titolo abilitativo.

In altre parole, la sanzione si sarebbe dovuta determinare con riferimento alla differenza tra il valore d’estimo dell’immobile realizzato e quello assentito dal titolo originario.

5) Il motivo di gravame è infondato e va respinto.

La sentenza n. 281/2010 del T.A.R. per l’Umbria, in conformità alle cui statuizioni l’Amministrazione ha adottato il provvedimento impugnato in primo grado, è passata in giudicato, essendo stato il relativo procedimento d’appello dichiarato perento, con decreto presidenziale di questo Consiglio n. 1204 del 9 settembre 2016.

La sentenza in questione, secondo la quale la sanzione si sarebbe dovuta calcolare considerando il valore tabellare dell’intero fabbricato, dal momento che l’abuso riscontrato era la totale difformità dell’edificio realizzato rispetto al progetto approvato, è stata emessa tra le stesse parti della presente causa, per cui il metodo di calcolo non può ora essere più messo in discussione.

In ogni caso, la tesi degli appellanti risulta in ogni modo anche infondata nel merito, come dimostra lo stesso provvedimento di condono, rilasciato per l’abuso consistente nella “Realizzazione di fabbricato in totale difformità alla licenza edilizia n. 10377 del 26/07/1976, n. 14644 del 15/10/1976, n. 1181 del 05/02/1977” e, dunque, in totale assenza anche della preventiva autorizzazione paesaggistica.

Del resto, per il combinato disposto degli articoli 31 e 32 del D.P.R. n. 380/2001 (e dei previgenti articoli 7 e 8, L. n. 47/1985), si ha la totale difformità quando l’edificio viene realizzato con “variazioni essenziali” rispetto al progetto assentito;
e non c’è dubbio che in questo caso, tale ipotesi si sia realizzata.

6) Con il terzo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibile, per genericità, la doglianza relativa alla dedotta contraddittorietà degli atti del Comune sul presupposto che l’avvenuto rilascio di licenze di commercio ed alberghiere sarebbe stato in contrasto con la volontà di applicazione della sanzione. Secondo gli appellanti, la genericità sarebbe esclusa dal fatto che, a pagina 7 del ricorso di primo grado, erano state indicate le licenze a cui si faceva riferimento.

7) Il motivo di gravame non risulta fondato.

Sul punto, va sì dato atto che, effettivamente, le licenze sono indicate a pag. 7 del ricorso in primo grado, ma il motivo di ricorso va comunque respinto nel merito.

Il dedotto vizio di contraddittorietà, infatti, non sussiste.

Eventuali illegittimità compiute in precedenza dall’Amministrazione, invero, non possono mai giustificare la mancanza di un’attività doverosa e vincolata, qual è quella sanzionatoria.

Peraltro, mere autorizzazioni emesse nell’esercizio della funzione di vigilanza sulle attività commerciali non possono essere considerate in contrasto con la volontà di applicare la sanzione oggetto di causa, anche perché si tratta di una funzione del tutto diversa da quella nell’ambito della quale viene esercitato il potere sanzionatorio de quo .

8) Con il quarto motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso in primo grado, considerata la sua inutile ripetitività del secondo infondato motivo.

Gli appellanti ripropongono, quindi, il relativo motivo, con il quale viene dedotto che l’ordinanza comunale impugnata non indicherebbe né le opere ritenute difformi in base alle quali è stato eseguito il calcolo della sanzione, né i valori catastali di riferimento, i quali, a tutto concedere, dovrebbero essere quelli vigenti all’epoca dell’affermato abuso.

9) Il motivo di gravame non risulta fondato.

In primo luogo, infatti, va escluso che, nella specie, fosse necessario indicare la parte di fabbricato posto a base del calcolo della sanzione, in quanto, come già esposto, versandosi in un’ipotesi di totale difformità dell’edificio realizzato rispetto al progetto approvato con la concessione edilizia, la sanzione è stata calcolata considerando il valore tabellare dell’intero fabbricato.

La mancata indicazione dei valori catastali di riferimento, poi, non comporta l’illegittimità dell’atto, essendo questi ricostruibili agevolmente attraverso una mera operazione aritmetica, prendendo a base l’importo della sanzione irrogata e considerando i parametri usati per la sua determinazione.

Risulta infondata e non suffragata da una base normativa, infine, la tesi per cui la sanzione emessa nel 2012 si sarebbe dovuta calcolare applicando i valori d’estimo all’epoca dell’abuso;
inoltre, nella specie, non appare nemmeno provato che i valori d’estimo avessero effettivamente subito l’aumento affermato.

10) Con il quinto ed ultimo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui non è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso n. 632/2012, proposto dai proprietari aventi causa di singole unità immobiliari dell’edificio, in cui essi appellanti erano intervenuti ad opponendum .

Secondo gli appellanti, l’inammissibilità deriverebbe dal fatto che, riguardo alle domande formulate con il ricorso in questione (sul presupposto che tenuto al pagamento della sanzione dovesse essere la sola società costruttrice dell’immobile), essi si dovrebbero considerare controinteressati, per cui il ricorso avversario li avrebbe dovuto essere notificato.

11) Il motivo di gravame va respinto.

Ritiene, infatti, il Collegio che, in realtà, nella specie, gli appellanti siano “cointeressati” e non “controinteressati” rispetto al ricorso proposto dai proprietari acquirenti di singole unità immobiliari, dovendosi, invero, valutare la relativa qualità non in relazione ai motivi di ricorso concretamente formulati, ma in riferimento all’interesse del soggetto, affinché l’atto impugnato venga annullato, interesse che, nel caso di specie, sussiste senz’altro anche in capo alle società subentrate alla società costruttrice, dato che anche quest’ultime hanno un interesse a che l’atto venga eliminato. La notifica del ricorso non era quindi necessaria.

12) Conclusivamente, l’appello n. 5378 del 2015 va respinto e la sentenza impugnata va confermata integralmente.

13) Le spese del secondo grado di giudizio, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Rimane definitivamente a carico degli appellanti il contributo unificato per la proposizione del ricorso in appello.

14) Va ora esaminato il gravame proposto dai signori F F, R C, M Aldofri, M Maestrucci, L P, L P, G C, R T, B T, D G, P S, L C, P B, T B, dalla s.a.s. Il Miglio Verde di Castellini Manuela &
C., dai signori L L, S E S, A M B, M R P, C V, M V, A R, P R, T C, B R S, A R F, A M, M R M, S D, F V, G C, L S, N V, R V ed E M avverso la sentenza impugnata.

15) Con il primo motivo di gravame, gli appellanti deducono che, a loro avviso, l’ordinanza impugnata in primo grado sarebbe illegittima, essendo stata la stessa emanata contraddicendo alle precedenti determinazioni prese dal Comune di Assisi in merito alla medesima questione.

Nell’atto di concessione in sanatoria del 31 dicembre 2015, il Comune, infatti, aveva dichiarato che l’indennità risarcitoria sarebbe stata posta a carico della s.a.s. Edilvincenti, in qualità di intestataria del provvedimento originario ed esecutrice dei lavori di costruzione dell’immobile, mentre l’ordinanza impugnata ha chiesto il pagamento, in solido, anche ad essi appellanti, senza motivazione atta a giustificare tale diverso orientamento.

16) Ritiene la Sezione che tale censura risulta infondata, per un duplice ordine di considerazioni.

16.1) Nella specie, invero, non è ravvisabile alcuna contraddittorietà negli atti del Comune, in quanto le enunciazioni relative all’indennità risarcitoria contenute nella concessione in sanatoria costituiscono mero obiter dictum , riguardando il provvedimento de quo , appunto, il rilascio della concessione in sanatoria e non l’indennità risarcitoria in sé e per sé.

Peraltro, il pagamento dell’indennità in questione è stato intimato anche alla s.a.s. Edilvincenti, oltre che agli odierni appellanti, per cui non può affermarsi che il Comune si sia orientato diversamente.

Con l’inciso contenuto nella concessione in sanatoria, consistente in una mera segnalazione, l’Amministrazione, poi, non si è autolimitata a richiedere l’indennità soltanto alla società costruttrice, ma ha soltanto indicato quest’ultima quale obbligata principale, senza pregiudicarsi la possibilità di agire anche nei confronti di altri eventuali responsabili solidali.

La mancata indicazione, nella concessione in sanatoria, degli odierni appellanti quali coobbligati in via solidale non può giustificare l’omissione di un’attività doverosa e vincolata, qual è quella sanzionatoria.

16.2) Peraltro, l’emanazione delle sanzioni previste dalla legge deve aver luogo nei confronti dei soggetti che devono risultarne destinatari, pur se vi sono ‘note’ o ‘dichiarazioni di intenti’ od ‘opinioni’ sulle relative questioni giuridiche coinvolte.

L’Amministrazione, quando tali ‘note’ o ‘dichiarazioni di intenti’ non corrispondano al contenuto della legge, deve comunque emanare gli atti dovuti.

17) Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti contestano la sentenza impugnata, sotto un primo profilo, nella parte in cui afferma che il trasgressore, tenuto al pagamento dell’indennità risarcitoria, è il soggetto nei cui confronti è stata accertata la violazione, senza alcuna distinzione tra il soggetto che in concreto ha costruito l’immobile e colui che ne ha acquisito la disponibilità.

L’art. 167, comma 5, D.L.vo 42/2004 sarebbe invece chiaro nel distinguere le figure del proprietario, del possessore o del detentore a qualsiasi titolo, legittimati a “presentare apposita domanda” , dal trasgressore, prevedendo che solo quest’ultimo è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito.

La figura del “proprietario, possessore o detentore” non sarebbe quindi tenuta al pagamento della sanzione, salvo che si identifichi con il “trasgressore” .

Sotto un secondo profilo, gli appellanti lamentano che il T.A.R. avrebbe dovuto motivare in relazione alla doglianza con cui era stata dedotta la manifesta ingiustizia per disparità di trattamento e illogicità.

L’ordinanza impugnata comporterebbe la inaccettabile conseguenza di porre a carico di un proprietario avente causa – divenuto titolare di una porzione minimale dell’immobile - il pagamento dell’intera sanzione irrogata, così come la stessa sanzione farebbe carico a chi è proprietario di porzioni molto più consistenti, con ciò disattendendo, per di più, anche la finalità della legge di imporre il pagamento al soggetto che ha perseguito il profitto, il quale, ovviamente, sarà diverso, nell’ipotesi che vi siano più trasgressori.

Il pagamento della sanzione, quindi, non potrebbe essere richiesto ai singoli proprietari in maniera indistinta e solidale, ma la sanzione dovrebbe essere parametrata a seconda e in relazione alle singole porzioni di immobile di cui ciascun soggetto è proprietario.

18) Ritiene il Collegio che il primo profilo di doglianza sopra sintetizzato non risulta fondato.

Sul punto, infatti, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale, a cui questo Collegio ritiene di conformarsi, secondo cui l’indennità risarcitoria oggetto di causa va considerata quale sanzione ripristinatoria dei valori giuridici offesi dalla condotta illecita, con la conseguenza che sono tenuti al pagamento della sanzione anche i proprietari aventi causa.

L’applicabilità della sanzione paesaggistica agli attuali proprietari che affermano di non essere anche autori dell’abuso, invero, è giustificata proprio dalla caratteristica ripristinatoria della sanzione, siccome alternativa rispetto alla demolizione, nonché dall’indubbio carattere reale della stessa per il collegamento oggettivo con il bene da mantenere (cfr., in questo senso Cons. St. n. 4420/2006, per cui: “Quanto alla colpevolezza, la funzione della sanzione di cui all'art. 15, L. 29 giugno 1939, n. 1947 [ora art. 167, D.L.vo n. 42/2004, ndr] , non è meramente repressiva della condotta nell'autore dell’illecito ma ripristinatoria dei valori giuridici offesi dalla condotta illecita. Tant' è vero che la condanna al pagamento di una somma di denaro,” equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito” è eventuale ed alternativa alla demolizione e può essere adottata solo dopo una valutazione effettuata dall'amministrazione "nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche". Ne consegue che è tenuto a subire le conseguenze della condotta contraria alle norme di tutela del paesaggio non solo l'autore materiale dell’illecito ma, se diverso, anche l'attuale proprietario del bene” ).

19) Va invece accolto, nei limiti di cui appresso precisati, il secondo profilo di doglianza dedotto, riguardante la pretesa illegittimità dell’ordinanza impugnata, per aver l’Amministrazione richiesto l’intero importo della sanzione, in solido a ciascun intimato.

19.1) Ritiene, infatti, il Collegio che l’ordinanza impugnata sia affetta da un difetto di motivazione.

Invero, in materia rilevano i seguenti principi.

Rispondono innanzitutto in solido per l’intero il proprietario o il comproprietario che abbia realizzato l’abuso, nonché il committente e il costruttore (per il principio generale sulle ‘responsabilità’, previsto dall’art. 29 del testo unico n. 380 del 2001).

Risponde dunque in solido per l’intero anche chi abbia commissionato ‘sulla carta’ la realizzazione anche di una parte dell’edificio (mediante un contratto preliminare, a prescindere dalla sua invalidità), poiché in tal modo concorre nella commissione dell’illecito nella sua interezza, pur se poi abbia acquistato solo una parte dell’edificio.

In altri termini, qualora risulti che la determinazione di commettere l’illecito sia stata concausata o rafforzata da un accordo con chi ha rappresentato che avrebbe acquistato sia pure in parte quanto sarebbe stato realizzato contra legem , l’Amministrazione deve disporre che il pagamento della sanzione sia effettuato da tutti coloro che in tal modo abbiano concorso nell’illecito: la determinazione o il rafforzamento dell’altrui volontà di commettere l’abuso comporta la responsabilità solidale per intero del corresponsabile.

19.2) Ben diversa è invece la situazione di chi non abbia in alcun modo concorso alla ideazione o alla realizzazione degli abusi, ma - dopo la conclusione dei lavori - si sia limitato ad acquistare una parte del bene oggetto dell’abuso.

In tal caso, la sanzione deve essere parametrata alla quota dell’immobile di cui egli è divenuto titolare: il profitto conseguito, che costituisce il criterio per la determinazione della sanzione, deve ritenersi limitato proprio alla quota corrispondente alla singola unità immobiliare acquistata in assenza di un qualsiasi precedente profilo di corresponsabilità.

19.3) Nella specie, rileva la Sezione che l’ordinanza impugnata in primo grado ha imposto a ciascun intimato il pagamento solidale dell’importo della sanzione riferibile all’intero immobile, senza esporre le ragioni dalle quali si possa desumere la responsabilità solidale di tutti i proprietari sub-acquirenti delle singole unità immobiliari.

Non avendo provveduto sulla base di una adeguata motivazione, l’ordinanza impugnata in primo grado va quindi annullata, nella parte in cui - con riferimento ai singoli sub-acquirenti - ha disposto il pagamento di un importo eccedente quanto riferibile al bene acquisito in proprietà.

20) Conclusivamente, l’appello va accolto parzialmente, nei termini appena illustrati, con la conseguenza che, in riforma della sentenza impugnata, l’ordinanza comunale impugnata va annullata, nei sensi e nei limiti sopra esposti, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, che potranno accertare le effettive responsabilità.

21) Tenuto conto della particolarità del caso in esame, sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

In considerazione dell’esito di lite, il Comune di Assisi è tenuto alla rifusione in favore degli appellanti del contributo unificato per la proposizione dei ricorsi in primo grado ed in appello.

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