Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-13, n. 201303279

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-13, n. 201303279
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303279
Data del deposito : 13 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06865/2006 REG.RIC.

N. 03279/2013REG.PROV.COLL.

N. 06865/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6865 del 2006, proposto da:
M C, rappresentato e difeso dall’Avv. A F T e dall’Avv. F L, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. A F T in Roma, viale delle Medaglie d’Oro, n. 266;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero della Difesa – Dir. Gen. Personale Militare, Stato Maggiore della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito Italiano;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 05356/2006, resa tra le parti, concernente la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. A F T e l’Avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Lazio, M C, caporal maggiore volontario in servizio permanente dell’Esercito, impugnava il decreto del 7.3.2006, notificatogli il 22.3.2006, con il quale gli veniva comminata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, con cessazione del servizio permanente, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 27 del d. lgs. 196/1995 e degli artt. 60, n. 6, e 61 della l. 599/54, per grave violazione dei doveri attinenti al grado e a giuramento prestato, in quanto lo stesso, all’epoca dei fatti effettivo presso il 9° Reggimento Fanteria “Bari” in Trani, in data 7.10.2002 veniva sorpreso da una pattuglia della Guardia di Finanza di Mondragone in possesso di circa 19 gr. di sostanza stupefacente di tipo hashish.

Il ricorrente denunciava la violazione del principio del bis in idem , la violazione dei termini previsti dall’art. 19, comma 2, della l. 19/90, la irragionevolezza e la sproporzione della sanzione irrogata, la carenza di istruttoria, la violazione dell’art. 109 del d.P.R. 309/90 e chiedeva, conseguentemente, l’annullamento della sanzione espulsiva irrogatagli.

Nel giudizio di prime cure si costituiva l’amministrazione intimata, resistendo al ricorso.

Con sentenza n. 5356 del 3.7.2006 il T.A.R. Lazio, Sez. I bis , respingeva il ricorso, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’interessato, lamentandone l’erroneità, e ne chiedeva la riforma.

La Sezione, con ordinanza n. 5180/2006, rigettava l’istanza cautelare proposta dall’appellante.

All’udienza pubblica del 9.4.2013 il Collegio, udita la discussione delle parti, ha assunto la causa in decisione.

2. L’appello va respinto.

2.1. Con il primo motivo l’appellante si duole che l’amministrazione, in pretesa violazione del ne bis in idem , gli avrebbe inflitto, per la commissione dello stesso illecito, dapprima la pena di corpo della consegna di rigore per quindici giorni e, successivamente, la sanzione disciplinare della rimozione per perdita del grado.

Il giudice di prime cure ha disatteso tale censura, ritenendo che la prima sanzione sia stata inflitta per la denuncia di detenzione a fine di spaccio e per la mancata informativa della linea gerarchica, mentre la sanzione espulsiva rinverrebbe il proprio presupposto in una sentenza irrevocabile di condanna e nella commissione di un comportamento gravemente violativo dei doveri attinenti al grado e al giuramento prestato.

La censura va respinta.

B ha sottolineato il primo giudice la diversità dei fatti addebitati all’interessato con la prima sanzione e con la seconda sanzione.

La prima sanzione, consistente nella consegna di rigore per quindici giorni, risulta infatti essere stata comminata all’odierno appellante in quanto egli aveva tenuto un comportamento gravemente lesivo per il prestigio della Forza Armata, per essere egli stato denunciato a piede libero per la detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente e, soprattutto, per non aver informato tempestivamente di tale circostanza i propri superiori sulla linea gerarchica, mentre la seconda, oggetto del presente giudizio, è stata inflitta al Castiello perché, come si legge nel provvedimento di rimozione per motivi disciplinari, il fatto della detenzione dei 19 gr. di hashish , “ già sanzionato con la sentenza penale, oltre a risultare gravemente lesivo dell’immagine e del prestigio dell’Istituzione, costituisce grave violazione dei doveri attinenti al grado, al giuramento prestato e risulta, altresì, gravemente contrario ai doveri di responsabilità propri dello status di militare tale da risultare del tutto incompatibile con l’ulteriore permanenza nel grado rivestito ”.

I fatti addebitati all’appellante, costituenti il presupposto dei due provvedimenti sanzionatori, sono dunque distinti, poiché il primo attiene, essenzialmente, alla mancata informativa dei superiori gerarchici e il secondo alla commissione di un illecito penale, sanzionato – come bene è sottolineato nel provvedimento di rimozione, dalla sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere all’esito del giudizio di cui all’art. 444 c.p.p., sicché non sussiste la denunciata violazione del principio del ne bis in idem.

2.2. Con il secondo motivo di censura l’appellante si duole che il T.A.R. avrebbe erroneamente disatteso il dedotto vizio di illegittimità dell’atto per violazione dell’art. 9, comma 2, della l. 19/90, con conseguente perenzione della potestà sanzionatoria per superamento del termine complessivo di 270 giorni tra la comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna e la notifica del provvedimento conclusivo dell’avviato procedimento disciplinare, nonché il vizio di illegittimità e/o eccesso di potere per violazione dell’art. 3 della l. 241/90.

Assume l’interessato che, nel caso di specie, l’amministrazione avrebbe avuto notizia della sentenza irrevocabile in data 14.6.2005 e solo il 22.3.2006 gli avrebbe notificato il provvedimento finale, così concludendo il procedimento disciplinare a suo carico.

Ne seguirebbe che l’amministrazione avrebbe rispettato il termine di 180 giorni per l’avvio del procedimento disciplinare, ma non quello successivo di 90 giorni per notificargli il provvedimento finale, termine, quest’ultimo, decorrente dall’11.12.2005, data in cui era scaduto il precedente termine di 180 giorni per l’avvio del procedimento stesso.

Il T.A.R. ha disatteso la censura, ritenendo che il provvedimento sanzionatorio è stato adottato il 7.3.2005, nel rispetto del termine dei 90 giorni, mentre non sarebbe necessaria la sua notificazione o comunicazione, che atterrebbe semplicemente al piano dell’efficacia e non a quello del perfezionamento.

La motivazione del primo giudice non è condivisibile.

È vero che l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 9, comma 2, della l. 19/90, già espressa in diverse occasioni da questo Consiglio, è “ nel senso di collocare all’interno del termine di cui si discute il solo provvedimento di adozione della sanzione disciplinare, ma non la sua comunicazione che è fase autonoma attinente alla efficacia della misura e non alla sua validità ” (Cons. St., sez. VI, 16.11.2000, n. 6110).

E tuttavia nell’ipotesi in cui la sentenza penale di condanna consegua alla richiesta delle parti (cd. patteggiamento), come si è verificato nella presente fattispecie, non è applicabile il termine di 90 giorni posto dell’art. 9, comma 2, della l. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento disciplinare, ma la disciplina generale prevista dall’art. 120 del d.P.R. 3/1957 (v. inter multas , sul punto, Cons. St., sez. IV, 12.4.2011, n. 2272).

I termini previsti in tema di procedimento disciplinare del testo unico degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) sono applicabili, infatti, anche nel caso di procedimento promosso contro un appartenente alle forze armate o altro corpo militare (Cons. St., sez. IV, 27.3.1995, n. 195).

L’appellante, tuttavia, non ha né dedotto né provato che tale termine “dinamico”, che viene comunque interrotto dal compimento di un qualsiasi atto interno al procedimento sanzionatorio, sia stato violato dall’amministrazione.

Né può rilevare, in senso ostativo alla tempestività dell’esercizio dell’azione disciplinare, che il provvedimento sanzionatorio sia stato comunicato all’interessato solo il 22.3.2006, poiché anche il termine di novanta giorni previsto dall’art. 90 del d.P.R. 3/1957 va calcolato con riferimento al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non al momento della notifica, la quale attiene al momento dell’efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. IV, 2.11.2012, n. 5582).

Ne segue che anche in ordine a tale profilo la sentenza impugnata, pur con diversa motivazione, deve essere confermata, non risultando che l’amministrazione abbia esercitato in modo intempestivo l’azione disciplinare.

2.3. Con il terzo motivo di censura, inoltre, l’appellante lamenta che l’omessa valutazione dei fatti, da parte dell’amministrazione, renderebbe la motivazione carente e/o insufficiente, oltre che illogica, irragionevole e sproporzionata, e la sanzione irrogata palesemente sproporzionata.

Il T.A.R. ha respinto anche tale censura, ritenendo che la determinazione di irrogare all’interessato la misura espulsiva contestata pertiene al merito dell’azione amministrativa sindacabile solo in relazione ai profili della manifesta illogicità ed irrazionalità che, nel caso di specie, non appaiono sussistenti.

Anche tale motivo va respinto.

La detenzione di sostanze stupefacenti a fine di spaccio – circostanza, questa, non contestata dallo stesso appellante – costituisce un fatto di indubbia gravità per un militare e giustifica il provvedimento disciplinare di destituzione per perdita del grado, in quanto integra, come correttamente ritenuto dall’amministrazione, un comportamento fortemente lesivo dei doveri attinenti al grado e al giuramento prestato.

La valutazione effettuata dall’amministrazione e sorretta dagli atti dell’inchiesta formale, disposta l’11.10.2005 dal Comandante delle Forze Operative Terrestri, è immune da ogni censura, rivelandosi completa, coerente, logica e proporzionata rispetto alla gravità dell’episodio contestato all’appellante.

Le risultanze del giudizio penale sono state debitamente e autonomamente vagliate in seno al procedimento disciplinare dall’amministrazione che, all’esito dell’istruttoria esperita ed esaminate le memorie difensive dell’interessato, ne ha tratto le legittime e proporzionate conseguenze.

2.4. Né può trovare accoglimento, infine, l’ultimo motivo di censura, a mezzo del quale l’appellante si duole che l’atto impugnato sarebbe affetto da violazione di legge e da eccesso di potere, in quanto sarebbe espressamente previsto per il militare in servizio permanente assuntore di droghe la conservazione del posto di lavoro e il recupero sociale ai sensi dell’art. 109, comma 6, del d.P.R. 309 del 1990.

Tale norma non può trovare applicazione al caso di specie, in quanto non è emerso, in alcun modo, che la sostanza stupefacente detenuta dall’appellante fosse a lui destinata e che egli fosse, quindi, un tossicodipendente, ma anzi è stato al contrario accertato, anche in sede penale, che egli detenesse tale sostanza a fine di spaccio nei confronti dei terzi, sicché difetta l’imprescindibile presupposto per l’applicazione del predetto art. 109, comma 6, d.P.R. 309/90, come correttamente ha ritenuto il giudice di prime cure.

3. In conclusione, pertanto, l’appello va respinto, con piena conferma della sentenza impugnata.

4. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

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