Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-05-07, n. 201002666

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-05-07, n. 201002666
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002666
Data del deposito : 7 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04851/2006 REG.RIC.

N. 02666/2010 REG.DEC.

N. 04851/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4851 del 2006, proposto da:
T P e Ruotolo Pietro S.n.c. in Liquidazione, rappresentato e difeso dagli avv. U G, M T, con domicilio eletto presso U G in Roma, via Mercati N. 51;
P Impresa Individuale T, rappresentato e difeso dall'avv. A A, con domicilio eletto presso A A in Roma, V. degli Avignonesi, 5;

contro

Regione Campania, Commissariato per l'emergenza idrogeologica in Campania;
Comune di Tufino, rappresentato e difeso dall'avv. A P, con domicilio eletto presso E C in Roma, via E.Q. Visconti 99;

per la riforma

della sentenza del TAR CAMPANIA -

NAPOLI :

Sezione I n. 06842/2005, resa tra le parti, concernente RESTITUZIONE CAVA DISMESSA - RIS. DANNO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 il consigliere R G e uditi per le parti gli avvocati Abbamonte e Visone per delega di Palma;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con la sentenza impugnata il primo giudice ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto dalla società odierna appellante per l’accertamento del diritto alla restituzione della cava originariamente requisita e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni assuntamente conseguenti all’occupazione senza titolo.

Nel dettaglio, il primo giudice ha ritenuto che la controversia attenga a comportamenti dell’Amministrazione come tali sottratti al vaglio del giudice amministrativo per effetto delle note coordinate ricostruttive tracciate dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 204 del 2004.

Insorge l’appellante sostenendo l’erroneità della sentenza di cui chiede l’annullamento.

All’udienza del 2 marzo 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso va respinto.

Ritiene il Collegio di condividere quanto sostenuto dal primo giudice laddove ha escluso che le domande proposte dalla società ricorrente in primo grado appartengano alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Giova, invero, considerare che la società ricorrente non contesta la legittimità dell’ordine di requisizione, né tanto meno il successivo provvedimento del 2001 con cui il Comune di Tufino, a seguito delle determinazioni assunte nelle more dal Commissario Straordinario (nota n. 3016/2001) e dal dirigente del settore ricerca e valorizzazione di cave e torbiere della Regione Campania (nota n. 1111/2001), ha revocato la precedente ordinanza sindacale di requisizione del 1998.

Viceversa, come correttamente illustrato dal primo giudice, la materia del contendere ha per oggetto una pretesa possessoria connessa ad una occupazione divenuta senza titolo (vuoi per effetto della cessazione dello stato di emergenza, vuoi per effetto della scadenza del termine semestrale posto dall’art. 13 del d. lgs. n. 22 del 1997, vuoi per effetto dell’atto di derequisizione) ed una pretesa risarcitoria per danni che non derivano da atti riconducibili all’esercizio di una potestà pubblica, ma piuttosto da un comportamento illecito (smaltimento di rifiuti, operazioni di escavazione, sottrazione della disponibilità dell’immobile al proprietario ed impedimento alla sua attività imprenditoriale) in conflitto con gli stessi provvedimenti adottati e rimasti incensurati sotto il profilo della loro legittimità.

Ebbene, ritiene il Collegio che non sussista, in relazione alla controversia come correttamente ricostruita dal giudice di primo grado, la giurisdizione del giudice amministrativo.

Invero, come anche di recente sostenuto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, la domanda di restituzione del terreno requisito e di risarcimento del danno per l'indebito protrarsi dell'occupazione di un immobile ricade nella giurisdizione del giudice ordinario, ove il vincolo posto dall'ordinanza di requisizione sia divenuto inefficace per la scadenza del termine stabilito nell'ordinanza medesima, non essendo in tal caso in contestazione il provvedimento di requisizione e non avendo quindi la controversia ad oggetto atti o provvedimenti della pubblica amministrazione (Sez. un., 9 marzo 2009, n. 5625, che richiamano Sez. un., 3 luglio 2006, n. 15203, per confermare i principi ivi affermati).

Ben diversa, invero, ai fini della corretta individuazione del giudice, l’ipotesi (nella quale non è certo riconducibile quella odierna) in cui, a fronte della requisizione in uso di un bene immobile di proprietà privata, il privato, avendo impugnato l’ordinanza di requisizione e avendone ottenuto l’annullamento giurisdizionale, proponga domanda di risarcimento avente ad oggetto il danno consequenziale alla dedotta illegittimità del provvedimento oltre che quello derivante dalla perdurante occupazione dopo la scadenza del provvedimento: domande certo vagliabili dal giudice amministrativo, la compressione della situazione soggettiva del titolare dell'immobile trovando origine nell'ordinanza di requisizione, il cui annullamento, facendo venir meno retroattivamente il titolo che giustificava l'occupazione del bene, travolge peraltro la distinzione tra la situazione anteriore e quella successiva alla scadenza del termine previsto nell'ordinanza medesima, configurandosi l'occupazione per entrambi tali periodi come «usurpativa», essendo unico il danno sofferto dal privato, che trova la propria causa prima nella requisizione illegittimamente disposta ed altrettanto illegittimamente sviluppatasi nel tempo (Sez. un., 9 marzo 2009, n. 5625).

Alla stregua delle esposte ragioni va dunque respinto l’appello.

Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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