Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-03-19, n. 201401338
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N. 01338/2014REG.PROV.COLL.
N. 02645/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2645 del 2013, proposto da:
Ente Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso il cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12 è domiciliato;
contro
V C, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso Benedetta Scuderi in Roma, via G.Benzoni n.16 Scala D Int.7;
nei confronti di
Comune di Montecorice, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 01806/2012, resa tra le parti, concernente diniego nulla osta dell'Ente Parco per la realizzazione di un fabbricato
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di V C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Francesca Quadri e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana e l’avvocato Dario Gioia (su delega di A S);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Sig. Celentano ha impugnato il diniego di concessione in sanatoria del Comune di Montecorice ed il parere negativo dell’Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, emessi sulla richiesta del 9.11.1994 per la sanatoria di un fabbricato, ricadente in Zona B1 “Riserva orientata” del Piano del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, costruito in assenza di titolo abilitativo, integrata, in data 19.10.2010, con un progetto di opere di completamento e riqualificazione.
Il diniego poggia sui motivi ostativi espressi nel parere negativo espresso dall’Ente Parco che, a sua volta, richiama il vincolo di inedificabilità di cui all’art. 8, comma 3 delle Norme di attuazione del Piano, per il quale “ Sono in ogni caso esclusi interventi edilizi che eccedano quanto previsto alle lettere a), b), c) di cui al comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 o interventi infrastrutturali non esclusivamente e strettamente necessari per il mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali o per la prevenzione degli incendi ”, nonché l’art. 12, comma 2 lettera b) della legge n. 394/91, secondo cui nelle riserve generali orientate “è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio ”.
Il Tar ha accolto il ricorso, rilevando che, essendo sia la realizzazione delle opere abusive che la domanda di sanatoria precedenti all’istituzione del vincolo, si applicherebbe alla fattispecie il comma 4 dell’art. 32 della legge n. 47/1985, introdotto dalla legge n. 662/1996, che esclude l’acquisizione del parere in caso di vincolo sopravvenuto, in quanto la disciplina introdotta con l’art.32 del d.l. n. 296/2003 non si applicherebbe ai due precedenti condoni in base alla norma transitoria del comma 43 bis .
Propone appello l’Ente Parco, deducendo la violazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985 , dell’art. 32, commi 27 lett. d) e 43 bis del d.l. n. 269/2003, nonché dell’art. 2, comma 44 della legge n. 662/1996 e del principio tempus regit actum .
Secondo l’appellante, l’art. 32 della legge n. 47/1985 andrebbe applicato ai condoni edilizi del 1985 e del 1994, tra cui quello in questione, nella sua versione primigenia – che prevede l’acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, a prescindere dal momento della sua istituzione - in linea con il dettato del comma 43 bis del D.L. n. 269/2003, secondo cui le modifiche introdotte non si applicano ai precedenti condoni, e con la giurisprudenza del Consiglio di Stato (fin dall’Adunanza Plenaria, sent. n. 20/1999). A risultati analoghi si giungerebbe anche applicando l’attuale formulazione dell’art. 32, da cui discende l’obbligo di esaminare la domanda alla luce dei vincoli, anche se istituiti dopo l’istanza di condono.
Si è costituito in secondo grado il Sig. Catalano, che, ripercorrendo diacronicamente la disciplina succedutasi nella materia, sostiene l’interpretazione fornita dal Tar del comma 43 bis dell’art. 32 d.l. n. 269/2003, secondo cui le modifiche apportate con le nuove disposizioni – e quindi anche l’obbligo di interpellare l’autorità preposta alla tutela del vincolo imposto successivamente all’abuso - non si applicherebbero alle domande già presentate ai sensi delle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994.
Ripropone, inoltre, i motivi non esaminati dal primo giudice, concernenti la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 e l’eccesso di potere sotto vari profili sintomatici, atteso l’erroneo contenuto attribuito dall’Ente Parco al vincolo, che, essendo successivo all’opera, andrebbe considerato alla stregua di un vincolo relativo, richiedente specifica motivazione, e non impedirebbe interventi edificatori quale quello realizzato, assistito dai favorevoli pareri di altre autorità.
Con ordinanza n. 2134/2013 del 5.6.2013, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
All’udienza del 17 dicembre 2013, l’appello è stato spedito in decisione.
L’appello è fondato.
Il TAR ha ritenuto applicabile alla fattispecie di domanda di condono, risalente al 1994, non già l’art. 32 della legge n. 47/1985 nel testo da ultimo modificato dal comma 43 dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, stante l’esclusione stabilita dalla norma transitoria di cui al comma 43 bis , bensì quella recata dalla legge n. 662/96, che escluderebbe la necessità del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo istituito dopo l’intervento edilizio.
In disparte il rilievo che, anche a voler considerare la fattispecie sottratta alla disciplina entrata in vigore successivamente alla presentazione dell’istanza, essa avrebbe dovuto essere regolata, avuto riguardo al momento dell’abuso edilizio e della domanda di condono, dall'art. 32 della L. n. 47 del 1985 nella sua originaria formulazione (e non in quella successivamente modificata dalla L. n. 662 del 1996), comunque l’applicazione della pregressa normativa non può che essere interpretata alla luce dei principi, disattesi dal Tar, sanciti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 22 luglio 1999, n. 20, secondo cui la circostanza che il vincolo sia sopravvenuto rispetto all'edificazione non può condurre a " considerare del tutto inesistente un vincolo di inedificabilità totale ", ricadendo nella previsione di carattere generale contenuta nel primo comma dell'art. 32 della legge n. 47/1985, secondo cui " il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso ", parere che va acquisito a prescindere dal requisito della anteriorità dell'opera rispetto al vincolo. In attuazione del principio tempus regit actum , invero, " l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente".
La situazione non muta per effetto della normativa introdotta con il decreto legge n. 269/2003 ed, in particolare, della norma transitoria di cui al comma 43 bis , dovendosi comunque ritenere dovuto, anche in base alla disciplina previgente, l’assolvimento “ dell’onere procedimentale di acquisire il prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla assentibilità della domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo, tale valutazione essendo funzionale all’esigenza di vagliare l'attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo ” (Cons. St. Sez. VI, n. 231/2014).
Quanto agli ulteriori motivi di ricorso rimasti assorbiti, occorre, in primo luogo, rilevare l’infondatezza della dedotta violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, essendo stata data preventiva comunicazione dei motivi del rigetto con nota cui l’interessato ha dato, peraltro, riscontro con lettera del 25.5.2012, non potendo applicarsi la garanzia partecipativa invocata per ogni fase endoprocedimentale , quale è quella relativa all’emissione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Cons. St. Sez. V, n. 6867/2009).
Quanto all’eccesso di potere lamentato con gli ultimi due motivi, tra loro connessi, va detto che l’applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza richiamata (Cons. St. Sez. VI, n. 6585/2012, n. 2586/2012) - per cui il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto alla realizzazione dell’opera non può limitarsi all’affermazione della contrarietà dell’intervento edilizio realizzato rispetto alle nuove previsioni del piano del parco, che hanno valenza di vincolo assoluto solo per le realizzazioni ad esse successive – va correttamente adeguata alla presente fattispecie, in cui il diniego del Comune ed il parere negativo dell’Ente Parco sono intervenuti su una complessa domanda, comprendente l’originaria istanza di condono del fabbricato rurale, la cui costruzione risale agli anni ’90, e l’integrazione con il progetto di completamento e riqualificazione, e che, pertanto, l’esame, unitariamente condotto, è stato legittimamente operato considerando applicabile il vincolo assoluto di edificabilità che, per le zone di riserve generali orientate, prevede il divieto di costruire nuove opere edilizie o di ampliare quelle esistenti o di eseguire opere di trasformazione del territorio.
D’altro canto, lo stesso parere favorevole espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici “per condono edilizio legge 724/94, per realizzazione manufatto, con opere di riqualificazione e completamento ”, nell’escludere la possibilità di realizzazione del “ torrino colombaia ” e nel rimettere al Comune di verificare “ se la potenzialità edificatoria del lotto – o di parte di esso – sia esaurita per la costruzione di altri fabbricati rurali, con conseguente inedificabilità dello stesso” , dimostra l’ulteriore incidenza edificatoria , rispetto a quella originaria, dell’intervento da assentire.
Conclusivamente l’appello va pertanto respinto con assorbimento di ogni ulteriore doglianza in quanto ininfluente ai fini della presente decisione.
La peculiarità della fattispecie giustifica, tuttavia, la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.