Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-10, n. 202209873

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-10, n. 202209873
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202209873
Data del deposito : 10 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/11/2022

N. 09873/2022REG.PROV.COLL.

N. 05551/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5551 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati B M e A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi di Roma La Sapienza, non costituita in giudizio;
Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) n. -OMISSIS-/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Università e della Ricerca;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 settembre 2022 il Cons. F D L e uditi per le parti gli avvocati B M e dello Stato Paola De Nuntis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi al Tar Lazio, Roma, i Sig.ri -OMISSIS- (insieme ad altri ricorrenti) hanno chiesto:

- l’annullamento: a) delle note, assunte dall’università La Sapienza di Roma, attraverso le quali erano state rigettate le domande di corresponsione di quanto dovuto per differenze retributive, interessi, rivalutazione, indebito arricchimento e risarcimento del danno;
b) del decreto interministeriale 16 settembre 2009, n. 94 e del decreto ministeriale 21 maggio 1998, n. 242, ove interpretati in modo conforme alle note impugnate;

- il riconoscimento del rapporto di impiego subordinato e la condanna della parte resistente alla corresponsione della giusta retribuzione, al versamento del trattamento previdenziale e assistenziale, al pagamento delle differenze retributive, al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti.

In particolare, le parti ricorrenti hanno dedotto di avere stipulato, negli anni, numerosi contratti di insegnamento, mettendo a disposizione le proprie energie e capacità professionali, al punto da essere inserite nella struttura organizzativa universitaria, con conseguente necessità di inquadramento quali dipendenti.

Per l’effetto, le parti private hanno contestato, in sede stragiudiziale, l’illegittimità della successione dei contratti di lavoro conclusi con l’Amministrazione universitaria, chiedendo l’assunzione come lavoratori subordinati e il risarcimento dei danni conseguentemente subiti.

2. Il Tar Lazio, Roma, con la sentenza odiernamente appellata, ha rigettato il ricorso rilevando che:

- il combinato disposto dell’art. 25 del d.P.R. n. 382/1980, dell’art. 1 del D.M. 21 maggio 1998 n. 242, del decreto interministeriale 16.9.1999 n. 94 e dell’art. 23 della L. 30.12.2010 n. 240 delinea una figura di prestatore d’opera intellettuale tipizzata e differenziata dalla generalità dei prestatori d’opera intellettuale, qualificandola in ben definiti termini giuridici quale prestatore d’opera con contratto di diritto privato e non quale prestatore di lavoro dipendente;

- la rilevanza degli indici di subordinazione doveva recedere di fronte all’espressa qualificazione e sussunzione del rapporto di lavoro nell’alveo di una ben definita e tipizzata figura negoziale qual è il contratto di insegnamento universitario, tipizzato agli artt. 25, d.P.R. n. 382/1980, 1 del D.M. 21 maggio 1998 n. 242, 23, L n. 240/2010;

- non risultava neppure dirimente la circostanza per cui al docente a contratto venissero affidati compiti di insegnamento non meramente integrativi del programma istituzionale ma sostitutivi, integranti in sostanza l’assegnazione di un vero e proprio corso, in quanto, ai sensi dell’art. 23 L. n. 240/10, la natura integrativa delle esigenze didattiche si giustapponeva a quella sostitutiva;

-tutti i ricorrenti erano divenuti affidatari di compiti di docenza sulla scorta di una precisa qualificazione e denominazione di diritto positivo del loro rapporto con gli Atenei, ancorata alle ricordate disposizioni e avevano consapevolmente e consensualmente sottoscritto i relativi contratti, che a loro volta erano stati preceduti da apposite determinazioni amministrative o delibere di Senato accademico, anch’esse soggette al principio di tipicità degli atti amministrativi, con la conseguenza che il riconoscimento della natura subordinata dei contratti de quibus avrebbe violato il principio di tipicità degli atti amministrativi e contravvenuto alla volontà negoziate espressa dalle parti;

- l’eventuale presenza di indici rivelatori del rapporto di lavoro dipendente avrebbe potuto rilevare quoad processum, valendo ad attribuire la controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma non avrebbe determinato ricadute sostanziali in chiave di qualificazione del rapporto di lavoro;

- doveva rigettarsi pure la censura riferita alla nullità dell’apposizione del termine di durata al preteso contratto di lavoro subordinato, stante l’impossibilità giuridica di ricondurre a tale figura giuridica il rapporto di prestazione d’opera dei professori a contratto;

- risultavano manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost., in quanto la situazione dei docenti a contratto e quella dei docenti di ruolo non erano uguali, differenziandosi profondamente per regime giuridico, scaturigine negoziale, qualificazione normativa oltre che per il percorso di accesso;

- la misura eventualmente irrisoria del trattamento economico per un’attività di insegnamento costituiva circostanza di fatto non tale da incidere sulla ridetta configurazione;

- la violazione della normativa della CEDU risultava solo adombrata nella seconda parte del motivo ma non illustrata e declinata in specifiche infrazioni e si palesava pertanto inammissibile;

- la domanda risarcitoria, in tutte le angolazioni articolate, doveva essere respinta per effetto dalla reiezione della domanda principale.

3. I Sig.ri -OMISSIS- hanno appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurimi motivi di impugnazione.

4. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio, resistendo all’appello;
l’Amministrazione ha depositato, altresì, in data 12 luglio 2022 gli atti difensivi di primo grado.

5. Gli appellanti hanno insistito nelle proprie conclusioni con memoria del 13 luglio 2022, con cui è stata, altresì, rimessa all’apprezzamento del Collegio l’opportunità di un supplemento istruttorio, al pari di quanto disposto per controversie analoghe chiamate alla medesima udienza pubblica del 15 settembre 2022.

6. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 15 settembre 2022.

DIRITTO

1. Preliminarmente, deve essere disattesa l’istanza articolata dalla parte appellante nel corso dell’udienza di discussione e avente ad oggetto lo stralcio delle memorie difensive depositate dall’Amministrazione in data 12 luglio 2022.

Invero, il disposto dell’art. 104 c.p.a. preclude la produzione di nuovi documenti in appello: nella specie, la produzione della parte pubblica riguarda atti già acquisiti al fascicolo processuale, in quanto depositati in primo grado.

Per l’effetto, trattandosi di atti già presenti nel fascicolo processuale, come tali consultabili dal Collegio attraverso la visione del fascicolo di primo grado, la loro produzione in appello, pure priva di utilità (non comportando un mutamento del quadro processuale), non determina la violazione di alcuna norma processuale, né comporta alcun pregiudizio per gli appellanti, da ritenere già a conoscenze delle difese svolte in primo grado dalla propria controparte.

2. Ciò rilevato, si osserva che i Sig.ri-OMISSIS- deducono l’erroneità delle statuizioni di prime cure con l’articolazione di due motivi di impugnazione.

2.1. In particolare, la sentenza è censurata, in primo luogo, per avere considerato recessivi gli indici della subordinazione, in tale maniera escludendo ogni rilevanza alla figura del lavoratore dipendente di fatto.

Secondo la prospettazione attorea, gli indici della subordinazione varrebbero, in ogni caso, ai fini della disciplina economica e previdenziale delle prestazioni lavorative di fatto erogate.

Nella specie dovrebbe riconoscersi che l’attività di insegnamento frontale e di back office di un docente a contratto sia perfettamente sovrapponibile a quella di un docente ordinario: in particolare, il docente a contratto espleterebbe le stesse mansioni di quello ordinario, tenendo le lezioni nei giorni e negli orari predeterminati dalla facoltà, assistendo agli esami degli studenti, frequentando i consigli di facoltà, ricevendo direttive dagli organi di vertice della facoltà, convalidando esami, concedendo, correggendo e discutendo tesi di laurea nelle sessioni deputate, nonché svolgendo funzioni di tutoraggio.

Ai ricorrenti sarebbero stati affidati corsi ufficiali di insegnamento, con la conseguenza che lo strumento contrattuale sarebbe stato utilizzato impropriamente;
del resto, con la legge 230/2005 si sarebbe giunti ad una formale equivalenza tra le mansioni dell’ordinario e le mansioni del professore a contratto.

A fronte di ciò, stante la prevalenza degli indici della subordinazione rispetto alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, emergerebbe una ingiusta retribuzione corrisposta alla ricorrente a parità e uguaglianza di lavoro tra docente ordinario e docente a contratto;
il che sarebbe stato pure riconosciuto dal Tar.

2.2. Nella specie ricorrerebbe pure un abusivo ricorso alla contrattazione a termine, in violazione della disciplina unionale, come intesa dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia formatasi in materia, suscettibile di radicare in capo alla parte lesa un diritto risarcitorio, avente ad oggetto la giusta retribuzione che il lavoratore avrebbe dovuto avere rispetto a quella percepita dagli omologhi docenti ordinari.

Per l’effetto, dovrebbe ritenersi che la normativa di cui al

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