Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-10-29, n. 201405361

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-10-29, n. 201405361
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405361
Data del deposito : 29 ottobre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01529/2011 REG.RIC.

N. 05361/2014REG.PROV.COLL.

N. 01529/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1529 del 2011, proposto dal signor A A, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio eletto presso il dott. A P, in Roma, via Cosseria n. 2;

contro

il Comune di Roma, ora Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati C S e A R, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

nei confronti di

I signori P F e F G, non costituiti nel secondo grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione II, n. 36244/2010, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento: a) della determinazione dirigenziale n.803 del 27 aprile 2007, con la quale il Direttore del Dipartimento I, Politiche delle Risorse Umane e Decentramento, Ufficio Concorsi, del Comune di Roma, ha approvato la graduatoria definitiva del concorso pubblico indetto per il conferimento di 4 posti nel profilo professionale di Avvocato Dirigente a tempo indeterminato;
b) per quanto possa occorrere, del bando di concorso e degli atti presupposti, in particolare della graduatoria redatta dalla Commissione giudicatrice (nella parte in cui non riserva alcun posto agli orfani di “caduto per servizio nel settore pubblico”;
c) a seguito di motivi aggiunti, del provvedimento prot. GB/63593 del 6 luglio 2007, con il quale il Comune di Roma, Dipartimento delle Risorse Umane, ha respinto definitivamente la richiesta del ricorrente rappresentandogli di non aver più posti da riservare agli orfani (vedove o equiparati), avendo esaurito la relativa quota d’obbligo.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. A A e uditi per le parti gli avvocati Meale e Sportelli;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Roma ha indetto un concorso a quattro posti di dirigente, profilo professionale avvocato, con un bando in cui era previsto che nella domanda si sarebbe dovuto indicare anche il possesso di titoli che avrebbero dato titolo ad usufruire delle riserve o delle preferenze di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 487 del 1994 ed il cui art. 6 prevedeva che nella formazione della graduatoria la commissione avrebbe dovuto tener conto di quanto previsto da detta norma.

L’avvocato A ha partecipato alle relative prove d’esame e, a seguito del loro superamento, ha documentato, nei modi e nei termini di cui all’art. 6 del bando, il possesso dei titoli di riservatario quale orfano per caduto in servizio (già dichiarati nella domanda di partecipazione).

Il Comune ha indicato accanto al suo nominativo la legge di riferimento ed il titolo accertato, ma lo ha collocato al 35° posto in graduatoria.

2.- Col ricorso n. 6140 del 2007, l’avvocato A ha quindi impugnato il provvedimento di approvazione della graduatoria presso il T.A.R. Lazio, per non avere l’Amministrazione tenuto conto, nel collocarlo in graduatoria, del suo status di riservatario, ed ha poi presentato motivi aggiunti per l’annullamento del provvedimento di reiezione della sua richiesta, motivato con riferimento alla carenza di posti da riservare agli orfani (vedove o equiparati) e all’esaurimento della relativa quota d’obbligo;
nel contempo egli ha adito il giudice ordinario con ricorso ex art. 414 del c.p.c., a tutela del suo diritto alla copertura del posto, stante l’accertata carenza della relativa quota di riserva.

3.- Il T.A.R. ha respinto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata, sostanzialmente affermando che l’interessato non aveva titolo alla riserva, non avendo dimostrato il suo stato di disoccupazione ed essendo il concorso destinato alla copertura di posti dirigenziali, per i quali non è prevista l’applicazione della normativa sulla riserva.

4.- Con il ricorso in appello in esame, l’avvocato A ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R., deducendo i seguenti motivi:

a) Ultrapetizione e difetto di giurisdizione.

La prospettata causa petendi avrebbe consentito il sindacato solo della legittimità o meno della posizione assegnata al ricorrente in graduatoria, mentre invece la sentenza ha statuito sul ‘diritto’ o meno alla riserva e alla sua fruizione, con ultrapetizione.

Il T.A.R. avrebbe violato anche i limiti della sua giurisdizione, esulando i giudizi in materia di diritto alla riserva ex lege n. 68 del 1999 dalla giurisdizione del G.A..

b) Violazione e falsa applicazione di norme di legge e di bando, travisamento dei presupposti e difetto di motivazione.

La tesi del T.A.R. - che il ricorrente non avrebbe avuto diritto a fruire della riserva perché non iscritto alle liste di collocamento - sarebbe smentita dalle ultime riforme e dalle previsioni del bando.

c) Travisamento dei presupposti, violazione e falsa applicazione delle norme di legge e del bando richiamate e difetto di motivazione. Mancata considerazione delle prove fornite dal ricorrente ed illegittima condanna alle spese.

Erroneamente sarebbero stati respinti i motivi aggiunti con i quali era stata impugnata la nota prot. n. 63593 del 6 luglio 2007 e sarebbe mancata la valutazione delle prove fornite dal ricorrente, circostanza di cui si sarebbe dovuto tenere conto all’atto della liquidazione delle spese, indebitamente poste a carico del ricorrente.

5.- Con memoria depositata il 2 marzo 2011, si è costituita in giudizio Roma Capitale.

6.- Con memoria depositata il 4 giugno 2014, l’appellante, premesso che gli avvocati P F e F G controinteressati non avrebbero più interesse al giudizio e che vi sarebbero ancora posti vacanti di avvocati dirigenti nella dotazione organica comunale, ha sostanzialmente ribadito le sue tesi e le sue richieste.

7.- Con memoria depositata il 5 giugno 2014, Roma Capitale ha dedotto l’infondatezza dell’appello. In particolare, l’amministrazione ha evidenziato che: a) con sentenza n. 14539 del 2011 del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, è stato respinto il ricorso presentato innanzi al giudice civile perché l’art. 18, comma 2, della l. n. 68 del 1999 non prevede il diritto alla riserva in ambito concorsuale per gli orfani di caduti in servizio nel settore pubblico anche occupati e che la categoria è esclusa dal computo della base numerica utile ai fini della assunzione del personale de quo , quindi il collegamento obbligatorio diretto non opera nel caso in questione;
b) il riconoscimento delle riserve incide sulla formazione delle graduatorie e quindi le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del GA.;
c) sarebbe stato confuso il collocamento obbligatorio con la riserva di posti nei pubblici concorsi;
inoltre anche la normativa a tutela dei disabili e quella degli orfani dei caduti per causa di lavoro dopo la l. n. 68 del 1999 sono diversificate, sicché solo per i disabili è previsto il collocamento obbligatorio e la riserva di posti;
d) l’art. 18 della legge n. 68 del 1999 riguarda la categoria degli orfani di caduti per causa di lavoro, fino all’1% in riferimento a base numerica, da cui sono esclusi i dirigenti;
inoltre, ex art. 1 comma 2 del regolamento di cui al d.P.R. n. 333 del 2000, solo i soggetti di cui alla l. n. 407 del 1998 (vittime del terrorismo) possono essere iscritti negli elenchi del collocamento obbligatorio anche se non in stato di disoccupazione;
e) la l. n. 244 del 2007, art. 3, comma 123, ha stabilito che le disposizioni sul collocamento obbligatorio sono estese agli orfani dei caduti sul lavoro, ma non lo ha previsto per la riserva di posti nei pubblici concorsi;
f) l’appartenenza alla categoria dà titolo solo alla preferenza a parità di merito e di titoli.

8.- Con memorie depositate il 16 giugno 2014 ed il 17 giugno 2014, rispettivamente l’appellante e l’Amministrazione resistente hanno replicato alle avverse argomentazioni.

9.- Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2014, il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

10.- Con il primo motivo d’appello, è stato dedotto che il T.A.R. ha dato atto che il ricorrente aveva impugnato solo il suo collocamento in graduatoria al 35° posto e che aveva censurato la mancata considerazione della sua posizione di riservatario, in dedotta violazione e falsa applicazione delle norme del bando che imponevano l’espressa valutazione delle riserve.

Ad avviso dell’appellante, la causa petendi consentiva quindi il sindacato solo della legittimità o meno della posizione assegnata al ricorrente in graduatoria, mentre la sentenza ha statuito anche sul diritto o meno alla riserva e alla sua fruizione, con ultrapetizione.

L’Amministrazione, inoltre, non avrebbe mai disconosciuto il titolo dell’appellante ad essere considerato riservatario e, a seguito di diffide, non avrebbe contestato la sua posiizione di riservatario, ma avrebbe giustificato la mancata assunzione rilevando l’esaurimento della quota d’obbligo;
inoltre il riconoscimento della spettanza della riserva, stabilita dagli atti concorsuali, non sarebbe stato oggetto di contestazione con un ricorso incidentale che avrebbe potuto proporre la controinteressata;
pertanto, a fronte della causa petendi definita dagli atti del concorso e dai motivi di ricorso, non sarebbe stato prodotto in giudizio alcun atto che ne consentisse l’ampliamento e giustificasse il primo giudice a rilevare l’insussistenza del diritto del ricorrente alla riserva.

Il T.A.R. avrebbe trasceso anche dalla sua giurisdizione, esulando i giudizi in materia di diritto alla riserva ex l. n. 68 del 1999 dalla giurisdizione del G.A..

10.1.- Rileva il Collegio, con riguardo al dedotto vizio di ultrapetizione, che il T.A.R. ha respinto la censura che secondo cui, in sede di formulazione della graduatoria redatta a conclusione della procedura concorsuale per cui è causa, l’Amministrazione avrebbe dovuto riservare un posto ai soggetti appartenenti alla categoria degli “orfani di caduti per servizio nel settore pubblico”, nell’assunto che presupposto imprescindibile ai fini della fruizione della riserva di posti nelle procedure concorsuali per l’assunzione presso Pubbliche Amministrazioni è lo stato di disoccupazione acclarato dall’iscrizione nelle liste di collocamento. Inoltre il T.A.R. ha ritenuto infondata la tesi secondo cui gli orfani (ed i coniugi superstiti) dei caduti in servizio sarebbero equiparati agli orfani (ed ai coniugi superstiti) di coloro che siano divenuti disabili per ragioni di servizio (soggetti, questi ultimi, aventi titolo alla “riserva” a prescindere dalla situazione di disoccupazione).

Le argomentazioni del primo giudice non possono essere considerate viziate da ultrapetizione, poiché la circostanza che l’Amministrazione non avesse contestato il suo diritto di riservatario, ma giustificato la mancata assunzione rilevando l’esaurimento della quota d’obbligo, non può essere considerata quale elemento ostativo all’esame in sede giurisdizionale sulla spettanza o meno della riserva.

Sotto tale profilo, va rilevato che – una volta che oggetto del giudizio risultava la legittimità degli atti sotto il profilo della posizione da attribuire all’interessato in graduatoria, ai fini della assunzione – ben ha potuto il T.A.R. verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti necessari per concludere nel senso della spettanza o meno della posizione risultante l’oggetto della domanda.

Peraltro, in sede di appello può essere fatto valere il vizio di ultrapetizione ai sensi dell’art. 112 del c.p.c. solo qualora il giudice di primo grado abbia alterato alcuni degli elementi obiettivi e soggettivi di identificazione dell'azione, e cioè il petitum e la causa petendi , attribuendo o negando ad una delle parti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito delle domande e delle richieste delle parti (Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1952).

In sostanza il principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato consente al giudice di fondare la sua decisione anche su un percorso logico-giuridico difforme da quello prospettato dal ricorrente (pur con il limite che tale difformità non si basi su fatti nuovi, non ritualmente dedotti in giudizio, ovvero su censure non proposte dalla parte);
di conseguenza non è affetta dal vizio di ultrapetizione la decisione fondata sull’ambito di applicazione di una disposizione di legge diversa da quella prospettata, ove la formulazione della doglianza consenta al giudice di individuarne il fondamento giuridico, rientrando tra i poteri del giudice stesso la ricerca delle disposizioni che disciplinano il rapporto controverso, indipendentemente dalle indicazioni del ricorrente.

Quindi, nel caso di specie, per valutare la fondatezza motivo della censura formulata in primo grado, in cui sostanzialmente si deduceva la sussistenza del ‘diritto’ alla riserva che avrebbe potuto comportare l’ottenimento del bene della vita all’appellante, il T.A.R. ha potuto utilizzare parametri normativi di riferimento diversi da quelli indicati dal ricorrente e verificare se - in base al quadro normativo vigente – la pretesa risultasse fondata, essendo restate ferme l'identificazione e la qualificazione del vizio dedotto negli elementi sostanziali che lo caratterizzavano.

Invero rispetto alla configurazione giuridica dei termini della controversia e alle norme di diritto in base alle quali la lite doveva essere decisa, rientrava nel potere-dovere del giudice il compito di inquadrare nell'esatta categoria giuridica i fatti dedotti e acquisiti al giudizio e di applicare le relative norme di legge (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1241).

Quanto alla prospettata violazione delle regole sui limiti della giurisdizione amministrativa, innanzitutto, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui è inammissibile, perché qualificabile come abuso del diritto processuale, ogni deduzione con cui in sede d’appello l’originario ricorrente – soccombente in primo grado - mira a contestare la sussistenza di tale giurisdizione.

Peraltro, per quanto rileva nel giudizio osserva la Sezione che l’art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti, sicché la controversia scaturita da una modificazione della graduatoria di merito di un concorso per l'accesso al pubblico impiego, originata dal mancato riconoscimento ad un concorrente della qualifica di riservatario ai sensi della l. n. 68 del 1999, rientra senz’altro nella giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto ciò che attiene alla corretta quantificazione ed alla legittima elaborazione della graduatoria conclusiva del procedimento inerisce ratione materiae alla procedura concorsuale (ex multis: Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 giugno 2001 n. 3088;
23 settembre 2002 n. 4829;
18 marzo 2003 n. 1077).

Quindi in materia di assunzione degli aventi titolo alla riserva solo le controversie nelle quali non si contesta la graduatoria ma il riparto dei posti dei riservatari nell'ambito delle fasce sono al più riconducibili all'ambito privatistico e rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario, venendo in questione la fase successiva rispetto al procedimento amministrativo ed all'attività autoritativa che si esaurisce con l'approvazione della graduatoria (Cassazione civile, sez. un., 13 febbraio 2008, n. 3409).

Nella specie, trattandosi di verificare la legittimità della graduatoria conclusiva del procedimento, la Sezione rileva che sussiste la giurisdizione amministrativa, con conferma sul punto della sentenza appellata.

11.- Con il secondo motivo di gravame, è stato dedotto che il T.A.R. ha affermato che il ricorrente non avrebbe avuto titolo a fruire della riserva perché non iscritto alle liste di collocamento, ma nell’elenco speciale dell’albo degli avvocati come dipendente della CONSIP e nell’assunto che sarebbe indispensabile lo stato di disoccupazione dell'interessato al momento sia della presentazione della domanda che della nomina in ruolo;
inoltre egli ha contestato la tesi per la quale gli orfani di caduti in servizio sarebbero equiparati agli orfani di disabili per ragioni di servizio, affermando che solo questi ultimi avrebbero titolo alla riserva a prescindere dallo stato di disoccupazione.

Tali tesi sarebbero tuttavia superate dalle ultime riforme normative e dalle previsioni del bando che costituisce la lex specialis della procedura.

Ad avviso dell’appellante, ex art. 16, comma 2, della l. n. 68 del 1999 i disabili avrebbero potuto essere assunti anche se non in stato di disoccupazione: la disposizione è stata ritenuta applicabile anche agli orfani di caduti in servizio ex art. 18, comma 2, della medesima legge ed ex art. 1 del d.P.R. n. 333 del 2000. La giurisprudenza, in contrasto con l’art. 16, comma 2, ha affermato la necessità di detto stato di disoccupazione per poter fruire della riserva, ma con l’art. 3, comma 123, della l. n. 244 del 2007 sarebbe stata riaffermata la non necessità dello stato suddetto per gli orfani dei caduti in servizio. Conseguentemente i principi ed i precedenti richiamati nella impugnata sentenza sarebbero inapplicabili alla fattispecie in esame, perché frutto di interpretazioni ormai non condivisibili, a seguito della riaffermata voluntas legis , successiva alla sentenza della Corte Costituzionale n. 190 del 2006.

La interpretazione del T.A.R. sarebbe in contrasto anche con la lex specialis concorsuale, che ha affermato l’applicabilità delle riserve di legge senza prevedere l’esibizione dell’iscrizione nelle liste di collocamento e ha previsto la necessità di uno stato di occupazione qualificata;
inoltre detta interpretazione porterebbe all’inammissibile conseguenza di ritenere inapplicabile al concorso la normativa sulle categorie protette, che è imposta dall’art. 5 del d.PR n. 487 del 1994 senza esclusione alcuna.

11.- Osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 18, comma 2, della l. n. 68 del 1999 (recante norme per il diritto al lavoro dei disabili), “ in attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, il cui status è riconosciuto ai sensi della legge 26 dicembre 1981, n. 763, è attribuita in favore di tali soggetti una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di cinquanta dipendenti, pari a un punto percentuale e determinata secondo la disciplina di cui all'articolo 3, commi 3, 4 e 6, e all'articolo 4, commi 1, 2 e 3, della presente legge. La predetta quota è pari ad un'unità per i datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano da cinquantuno a centocinquanta dipendenti. Le assunzioni sono effettuate con le modalità di cui all'articolo 7, comma 1. Il regolamento di cui all'articolo 20 stabilisce le relative norme di attuazione ”.

In base all’art. 3, comma 123, della l. n. 244 del 2007 riguardante la “ Estensione del diritto al collocamento obbligatorio ”, “ Le disposizioni relative al diritto al collocamento obbligatorio di cui all'articolo 1, comma 2, della l. n. 407 del 1998 , e successive modificazioni, sono estese agli orfani o, in alternativa, al coniuge superstite di coloro che siano morti per fatto di lavoro, ovvero siano deceduti a causa dell'aggravarsi delle mutilazioni o infermità che hanno dato luogo a trattamento di rendita da infortunio sul lavoro ”.

L’art. 1, comma 3, di detta l. n. 407 del 1998 stabilisce che “ I soggetti di cui all'art. 1 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, come modificato dal comma 1 del presente articolo, nonchè il coniuge e i figli superstiti, ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, dei soggetti deceduti o resi permanentemente invalidi godono del diritto al collocamento obbligatorio di cui alle vigenti disposizioni legislative, con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e con preferenza a parità di titoli. Per i soggetti di cui al presente comma, compresi coloro che svolgono già un'attività lavorativa, le assunzioni per chiamata diretta sono previste per i profili professionali del personale contrattualizzato del comparto Ministeri fino all'ottavo livello retributivo. Ferme restando le percentuali di assunzioni previste dalle vigenti disposizioni, per i livelli retributivi dal sesto all'ottavo le assunzioni, da effettuarsi previo espletamento della prova di idoneità di cui all'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, come sostituito dall'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1997, n. 246, non potranno superare l'aliquota del 10 per cento del numero di vacanze nell'organico. Alle assunzioni di cui al presente comma non si applica la quota di riserva di cui all' articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68 ”.

Sulla base della disposizione ora riportata, ritiene la Sezione che è ben vero che per gli orfani dei caduti per causa di lavoro è venuta meno, solo ai fini dell’esercizio del diritto al collocamento obbligatorio, la necessità del requisito dello stato di disoccupazione.

Ai medesimi orfani non è applicabile né l’art. 7, comma 2 della l. n. 68 del 1999, né il successivo art. 16, comma 2, in materia di riserva nei concorsi pubblici, perché riservati alla categoria dei disabili e non richiamati da detto art. 18, comma 2, della l. n. 68 del 1999, né applicabili per analogia, trattandosi di norme di carattere speciale.

Senonché, il collocamento obbligatorio diretto non è applicabile alla fattispecie in esame, atteso che l’art. 4 della l. n. 68 del 1999, nell’indicare i “ Criteri di computo della quota di riserva ”, stabilisce che “ Agli effetti della determinazione del numero di soggetti disabili da assumere, sono computati di norma tra i dipendenti tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato. Ai medesimi effetti, non sono computabili: i lavoratori occupati ai sensi della presente legge, i lavoratori occupati con contratto a tempo determinato di durata fino a sei mesi, i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i lavoratori assunti con contratto di inserimento, i lavoratori occupati con contratto di somministrazione presso l'utilizzatore, i lavoratori assunti per attività da svolgersi all'estero per la durata di tale attività, i soggetti impegnati in lavori socialmente utili assunti ai sensi dell' articolo 7 del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 , i lavoratori a domicilio, i lavoratori che aderiscono al programma di emersione, ai sensi dell' articolo 1, comma 4-bis, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 , e successive modificazioni. Restano salve le ulteriori esclusioni previste dalle discipline di settore. Ai medesimi effetti, non sono computabili ” tra l’altro “ i dirigenti ”.

Quindi, in base a tale disposizione, la esclusione dei dirigenti dal computo della base numerica da utilizzare per il calcolo della percentuale di lavoratori da assumere in via privilegiata deve ritenersi che comporti l’esclusione della loro categoria dal collocamento stesso.

A nulla vale che il bando aveva previsto l’applicabilità delle riserve di legge senza prevedere l’esibizione dell’iscrizione nelle liste di collocamento e aveva previsto la necessità di uno stato di occupazione qualificata, potendo l’appartenenza alla categoria dare titolo alla preferenza a parità di merito e di titoli e non potendo comunque dette clausole comportare alcuna deroga alla normativa primaria applicabile alla fattispecie.

Quanto all’applicabilità al concorso della normativa sulle categorie protette imposta dall’art. 5 del d.PR n. 487 del 1994, va rilevato che tale norma va interpretata in combinato disposto con le altre disposizioni di legge che si sono succedute in materia e cui prima è stato fatto cenno, che nel complesso escludono la fondatezza della pretesa dell’appellante.

In altri termini, la pretesa dell’appellante non risulta fondata neanche con riferimento alla normativa applicabile in materia di collocamento obbligatorio, poiché questo non riguarda i dirigenti, ai sensi del sopra riportato art. 18, comma 2, della legge n. 68 del 1999.

Le censure in esame non sono quindi da accogliere.

12.- Con il terzo motivo d’appello è stato sostenuto che erroneamente sarebbero stati respinti dal T.A.R. i motivi aggiunti con i quali era stata impugnata la nota n. 63593 del 6 luglio 2007 per difetto di motivazione, avendo il T.A.R. affermato, senza supporto normativo, che dall’obbligo di riserva erano esclusi i dirigenti.

Anche se ex art. 4, comma 1, della l. n. 68 del 1999 i dirigenti non sono computabili tra il personale che contribuisce alla definizione della quota di riserva, anche la loro categoria sarebbe soggetta alle disposizioni di legge a tutela delle categorie protette, come affermato nel bando di concorso.

Inoltre la mancata pronuncia sul vizio dedotto dimostrerebbe che si sarebbero volute celare evidenti mancanze che il Comune avrebbe posto in essere in ordine alla mancata assunzione dell’appellante.

Contrariamente a quanto affermato nella nota impugnata, all’esito dell’accesso sarebbe stato documentato in giudizio che la Provincia di Roma ha certificato nel corso dell’anno 2007 di pubblicazione della graduatoria la carenza di 44 riservatari ex l. n. 68 del 1999 tra il personale del Comune di Roma e che era stata stipulata apposita convenzione per la loro assunzione.

La sentenza sarebbe quindi errata per la mancata considerazione delle prove fornite dal ricorrente, di cui avrebbe dovuto tenere conto di sede di statuizione sulla liquidazione delle spese, illegittimamente poste a carico del ricorrente soccombbente.

12.1.- La sezione ritiene non fondate le esposte censure innanzi tutto in quanto le pregresse considerazioni, in considerazione del dato testuale dell’art. 4 della l. n. 68 del 1999, smentiscono la tesi dell’appellante secondo cui per i dirigenti sussisterebbe l’obbligo di riserva.

E’ pertanto inconferente anche il richiamo alle procedura con le quali il Comune di Roma ha stipulato con la Provincia di Roma, ex art. 7 della l. n. 68 del 1999, convenzioni per l’individuazione di qualifiche professionali nel cui ambito operare il collocamento obbligatorio delle categorie protette, non essendo stato provato che esse riguardassero la categoria dei dirigenti.

Quanto alla condanna alle spese del giudizio di primo grado, osserva la Sezione che, ai sensi dell'art. 91 del c.p.c., la soccombenza costituisce il criterio base per disporne la liquidazione, mentre la compensazione è oggetto di una facoltà discrezionale, del cui esercizio il giudice è tenuto ad esplicitare le ragioni, come sancito dal successivo art. 92, sicché è solo la decisione di disporre la compensazione che può essere eventualmente essere oggetto di sindacato da parte del giudice d'appello (peraltro entro limiti assai rigorosi) e non la prima (Consiglio di Stato, sez. V, 19 marzo 2014, n. 1351), salvo i casi in cui la condanna risulti eccessiva in considerazione della normativa di settore.

13.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

14.- Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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