Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-09-04, n. 201304426

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-09-04, n. 201304426
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304426
Data del deposito : 4 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00987/2005 REG.RIC.

N. 04426/2013REG.PROV.COLL.

N. 00987/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 987/2005 RG, proposto dal sig. Gennaro D'Angelo, rappresentato e difeso dagli avvocati G L e V L, con domicilio eletto in Roma, via G. B. De Rossi n. 30, presso lo studio dell’avv. S,

contro

l’Azienda sanitaria locale - ASL NA/1 di Napoli, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa dall'avv. G C, con domicilio eletto in Roma, viale B. Buozzi n. 5 e

nei confronti di

Comitato di verifica delle cause di servizio (già CPPO), in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza del TAR Campania – Napoli, sez. VI, n. 8690/2004, resa tra le parti e concernente il mancato ottenimento dell'equo indennizzo;

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 17 maggio 2013 il Cons. S M R e uditi altresì, per le parti, solo gli avvocati Capasso (su delega di G. L. Lemmo) e Campobasso;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – Il sig. Gennaro D’Angelo, dipendente di ruolo dell’ASL NA/1 di Napoli, il 18 novembre 1985 chiese a quest’ultima il riconoscimento della patologia Esiti di infarto del miocardio , a suo tempo da lui contratta, come dipendente da causa di servizio, ai fini dell’ottenimento dell’equo indennizzo.

Il sig. D’Angelo fa presente che, in esito alla visita collegiale del 25 novembre 1996, la Commissione medica ospedaliera (CMO) militare di Caserta gli riconobbe la dipendenza di tal patologia di causa di servizio. Nondimeno, il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (CPPO;
successivamente denominato Comitato per la verifica delle cause di servizio), nella seduta del 6 giugno 1997, espresse parere negativo su siffatta dipendenza. E ciò nel presupposto che si fosse trattato «… di necrosi acuta del miocardio legata prevalentemente a predisposizione costituzionale, dovuta a sclerosi coronarica…, favorita da fattori di rischio individuali, sull’insorgenza o decorso della quale… non risultano sussistenti situazioni di effettivi disagi o surmenage psico-fisico tali da rivestire un ruolo di concausa, efficiente e determinante …».

Il sig. D’Angelo rende nota l’emanazione della nota prot. n. 5628 del 30 dicembre 1997, con cui il Direttore generale dell’ASL NA/1, richiamato il parere del CPPO, ne respinse la citata istanza.

2. – Dal che il ricorso del sig. D’Angelo al TAR Napoli (n. 3276/98 RG), affidato a tre articolati gruppi di censure.

L’adito TAR, con sentenza n. 8690 dl 12 maggio 2004, ha respinto il predetto ricorso.

Il sig. D’Angelo propone allora appello avverso la sentenza n. 8690/2004, deducendone in punto di diritto l’erroneità per: A) – l’insufficienza della motivazione sia del provvedimento dell’ASL (che ha recepito un parere assunto dal CPPO senza tener conto del referto della CMO di Caserta), sia del giudizio tecnico del CPPO stesso, motivazione invece necessaria;
B) – l’illegittimità di quest’ultimo per omessa specificazione dei motivi divergenti dal referto della CMO;
C) – il difetto d’istruttoria in cui è incorso il parere stesso, nonostante l’acquisizione agli atti del procedimento della descrizione, da parte dell’ASL, della situazione disagiata in cui l’appellante prestò il suo servizio;
D) – l’omessa revoca del precedente atto di riconoscimento della causa di servizio. Resistono in giudizio l’ASL datrice di lavoro ed il Comitato di verifica delle cause di servizio (già CPPO), che concludono per l’infondatezza dell’appello.

Alla pubblica udienza del 17 maggio 2013, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

3. – I motivi di appello si possono sostanzialmente riassumere nella tesi che l’ASL datrice di lavoro non avrebbe dovuto dar prevalenza al parere della CPPO rispetto a quello della CMO militare di Caserta, anche perché il primo parere del CPPO appare in sé erroneo e basato su un’istruttoria difettosa.

In questi termini, l’appello è infondato e va respinto, per le considerazioni qui di seguito indicate.

4. – Quanto al primo aspetto, l'atto dell’ASL, impugnato in primo grado, adeguandosi al parere del CPPO, si sostanzia nel rigetto dell’istanza dell’appellante, intesa ad ottenere il riconoscimento della dipendenza della di lui patologia da causa di servizio.

Preme al riguardo al Collegio precisare che, in tal modo, l’atto dell’ASL s’è conformato a concetti ben consolidati in giurisprudenza, in ordine alla particolare rilevanza del parere del CPPO, quale organo di secondo grado specificamente deputato a pronunciarsi nell'ultima e conclusiva fase del procedimento di concessione dell'equo indennizzo, con particolare riferimento alla dipendenza dell’infermità da causa di servizio.

Invero, secondo questo consolidato orientamento, la funzione del CPPO è proprio quella di rivedere criticamente i giudizi delle commissioni mediche di prima istanza, anche al fine di assicurare uniformità di trattamento e d'indirizzo. D'altra parte, l'ampiezza della casistica medica sottoposta quotidianamente al CPPO ne arricchisce ed approfondisce in modo significativo l’esperienza, sì da consentirgli una disamina rigorosa e, al contempo, scientificamente valida di tutti e ciascun caso sottopostigli. Sicché non costituisce affatto una mera anomalia o una deviazione dall’ordinato procedimento di valutazione dei presupposti per l’equo indennizzo, ma rientra nella normalità che il giudizio del CPPO si discosti, in modo più o meno rilevante, da quello delle CMO, né che la P.A., in caso di difformità di pareri, si attenga a quello del CPPO (cfr., per tutti, Cons. St., III, 15 aprile 2013 n. 2021, con riferimenti di giurisprudenza).

5. – Per quanto poi attiene alla congruità ed alla sufficienza in sé della motivazione del parere negativo del CPPO, pare al Collegio evidente che la medesima questione si porrebbe tal quale, ove l’ASL avesse assunto il parere (di tenore opposto) della CMO militare di Caserta.

Quest’ultimo, per vero, s’è espresso per la dipendenza della patologia cardiaca dell’appellante da causa di servizio, per il lavoro gravoso di questo e per gli strapazzi fisici ed i disagi ambientali, di talché tali dati sarebbero state concause efficienti e preponderanti dell’infarto del miocardio. A ben vedere, lo stesso vizio di difettosa motivazione si potrebbe riscontrare anche sul passaggio del parere sulla preponderanza sic et simpliciter di tali concause ambientali e lavorative. Essa è asserita, ma non anche chiarità, né approfondita rispetto ai fattori personali dell’appellante, invece investigati dal CPPO. La CMO, oltre ad un riferimento alla «… abitudine voluttuaria del fumo …», non solo non prende in esame tali fattori, ma non dà un serio riscontro ai meccanismi attraverso i quali le vicende ambientali e lavorative, la cui descrizione è ripetitiva di quella contenuta nel rapporto informativo del servizio personale dell’ex-USL n. 44, avrebbero influito su insorgenza ed evoluzione dell'indurimento e dell’ispessimento delle arterie coronariche che infine dà luogo alla loro occlusione ed alla conseguente patologia ischemica.

Rientra, poi, nelle comuni conoscenze ed esperienze che tali patologie sono molto diffuse nella generalità della popolazione e si manifestano di norma con il progredire dell'età, senza significative correlazioni statistiche con specifiche attività lavorative;
di tal che appare abitrario ravvisare un nesso causale o anche solo concausale fra l’attività lavorativa e la patologia. Appartiene alle comuni conoscenze, del pari, la nozione che le cause sono essenzialmente endogene e che tra i principali fattori di rischio vi sono le abitudini alimentari, il fumo e le condizioni costituzionali del paziente;
quindi, nella misura in cui si possa ipotizzare che i processi patologici in parola sono causati o anche solo aggravati dagli stili di vita del paziente, ciò vale piuttosto per la vita extralavorativa che per quella lavorativa. Sicché, in quest’ottica, il parere del CPPO appare non solo sufficientemente motivato, ma altresì plausibile e non viziato da manifesti errori di fatto.

Pertanto, poiché esso promana dall’organo cui la legge commette la sintesi e la ponderazione di ogni precedente giudizio sulla dipendenza della malattia dal servizio (cfr. Cons. St., III, 18 aprile 2013 n. 2195), il parere del CPPO rettamente s'è imposto all'ASL. Quest’ultima, nell’esercizio delle sue potestà di amministrazione attiva, è solo tenuta alla verifica estrinseca della completezza e regolarità del precedente iter valutativo e non ad attivare una nuova ed autonoma valutazione che investa il merito più strettamente tecnico - sanitario della vicenda (cfr. Cons. St., III, 23 maggio 2013 n. 2806). È solo da precisare che l’atto dell’ASL ha riguardato solo la concessione dell’equo indennizzo, onde priva di pregio è la deduzione dell’appellante circa la mancata revoca della mera dipendenza della predetta patologia da causa di servizio, giacché, ferma quest’ultima, comunque essa non attinge alla soglia per la concessione dei benefici indennitari propri dell’equo indennizzo.

6. – L’appello va così rigettato, ma giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

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