Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-01-27, n. 201400398

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-01-27, n. 201400398
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400398
Data del deposito : 27 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00394/2002 REG.RIC.

N. 00398/2014REG.PROV.COLL.

N. 00394/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 394 del 2002, proposto dai signori M C e V A, rappresentati e difesi dagli avvocati Nicolo' Paoletti, G C e N Z, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34;

contro

Comune di Sarnico, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio eletto presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro n.13;

nei confronti di

M L, rappresentato e difeso dagli avvocati A Cochetti e Giuseppe Onofri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paola Ramadori in Roma, via Marcello Prestinari n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia – Sede staccata di Brescia - n. 139 del 26 marzo 2001.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Sarnico e del signor Lino Meroli;

Viste le memorie difensive depositate dal comune di Sarnico (in data 20 dicembre 2013), dagli appellanti (in data 9 dicembre 2013) e dal signor Lino Meroli (in data 23 dicembre 2013);

Vista la perizia tecnica depositata dal signor Lino Meroli (in data 6 dicembre 2013);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2014 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Natalia Paoletti, su delega dell’avvocato Nicolò Paoletti, e Ramadori su delega dell’avvocato Onofri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dalla concessione edilizia 16 marzo 1999, n. 2007/1 - rilasciata dal comune di Sarnico in favore del signor Lino Meroli - recante l’autorizzazione alla demolizione di un preesistente manufatto rurale e la successiva ricostruzione di un edificio con la realizzazione di 7 unità abitative e pertinenti autorimesse, nel centro urbano, in area destinata dall’allora vigente Piano regolatore generale (p.r.g.) a zona B1 (residenziale di completamento ad alta densità).

2. Avverso il su richiamato titolo edilizio sono insorti davanti al T.a.r. per la Lombardia, due confinanti proprietari di edifici ad uso residenziale e produttivo – rispettivamente i signori Cesare Meroli e A Valli – articolando due autonomi ricorsi sostenuti, nella sostanza, da quattro complessi motivi di annullamento.

2.1. Giova fin da ora precisare che nel corso del giudizio di primo grado:

a) è stata disposta una verificazione a carico del comune di Sarnico esitata con la relazione depositata in data 11 maggio 2000;

b) è intervenuta la delibera consiliare n. 51 del 28 dicembre 2000 - il cui avviso di deposito è stato debitamente pubblicato nel B.U.R.L. ed approvata tacitamente ai sensi della l.r. n. 23 del 1997 - recante l’approvazione di una variante all’art. 17 delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) al p.r.g., consistente nell’interpretazione autentica del richiamato art. 17 (la delibera è stata depositata dalla difesa del comune, presso la segreteria del T.a.r., in data 29 gennaio 2001).

3. L’impugnata sentenza - T.a.r. per la Lombardia – Sede staccata di Brescia - n. 139 del 26 marzo 2001, assunta in decisione all’udienza pubblica del 9 febbraio 2001-:

a) ha riunito i due ricorsi allibrati ai nrg. 341 e 342 del 2000;

b) ha respinto le eccezioni di irricevibilità (per tardività dell’impugnazione della concessione) e di inammissibilità (per carenza di interesse ad agire), sollevate dalla difesa del contro interessato (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);

c) ha respinto il primo motivo incentrato sulla violazione dell’art. 17, co. 7, delle n.t.a. anche alla luce della interpretazione recata dalla citata delibera consiliare n. 51 del 2000;

d) ha respinto il secondo e terzo motivo, incentrati, nella sostanza, sulla errata qualificazione, da parte dell’ente, dell’intervento costruttivo in termini di ristrutturazione edilizia invece che di nuova costruzione;

e) ha respinto il quarto motivo imperniato sulla violazione delle distanze minime nonché sulla cattiva applicazione dell’art. 9, l. n. 122 del 1989;

f) ha compensato fra le parti le spese di lite.

4. Con atto notificato il 19 dicembre 2001 e depositato il successivo 17 gennaio 2002, i signori Cesare Meroli e A Valli hanno interposto appello.

5. Si sono costituiti il comune di Sarnico ed il signor Lino Meroli concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. La causa è stata assunta in decisione all’udienza pubblica del 16 gennaio 2014.

7. L’appello è in parte inammissibile e in parte infondato e deve essere respinto nella sua globalità.

8. Preliminarmente il collegio rileva:

a) l’inammissibilità della mera riproposizione, da parte degli appellanti, delle censure sollevate in primo grado (pagine 3 – 19 dell’atto di gravame), in violazione del dovere di specificità dei motivi di appello (ora sancito dall’art. 101, co. 1, c.p.a., ma da sempre ritenuto vigente nel sistema del processo amministrativo, cfr. Cons. Stato, ad. plen. n. 10 del 2011, cui si rinvia a mente dell’art. 88,co. 2, lett. d), c.p.a.);

b) l’inammissibilità della produzione documentale della parte controinteressata in quanto effettuata in violazione del divieto dei nova in appello sancito dall’art. 104, co. 2, c.p.a. (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, n. 567 del 2013;
sez. VI, n. 2738 del 2011).

8.1. Con il primo mezzo (pagine 19 – 22 del ricorso in appello), si lamenta la nullità della sentenza (di cui si chiede l’annullamento con rinvio al primo giudice della causa), per violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, sotto il duplice profilo ché:

a) acquisita in sede di discussione orale davanti al T.a.r. la tardività del deposito documentale, la difesa dei ricorrenti ha chiesto un termine per proporre eventuali motivi aggiunti ma il giudice non ha provveduto sull’istanza trattenendo la causa in decisione;

b) la delibera n. 51 del 2000 è stata depositata dalla difesa del comune in data 29 gennaio 2001 (unitamente alla memoria conclusionale), in violazione del termine perentorio di venti giorni sancito dall’art. 23, co. 4, l. n. 1034 del 1971.

8.1.1. Il mezzo è infondato.

8.1.2. Gli appellanti non hanno dato la prova, attraverso l’esibizione del verbale dell’udienza pubblica celebrata innanzi al T.a.r. in data 9 febbraio 2001, di aver effettivamente chiesto un termine per impugnare la delibera n. 51 del 2000;
né tale verbale si rinviene nel fascicolo d’ufficio di primo grado;
inoltre, non è possibile dare per ammessa tale circostanza, ai sensi dell’art. 64, co. 2, c.p.a., in quanto sia il comune (cfr. pagina 4 della memoria di replica depositata il 20 dicembre 2013), che il contro interessato (cfr. pagina 1 della memoria di replica depositata il 23 dicembre 2013, dove si afferma che <<…gli odierni appellanti, alle udienze del 9.2.2001 avanti il Tar Brescia, nei ricorsi riuniti nn. 341 e 342/2000, non hanno formulato alcuna richiesta di rinvio per motivi aggiunti. Ciò trova conferma nei verbali relativi a tali udienze (infatti in entrambi si legge soltanto che “dopo la discussione orale il ricorso viene introitato” >> ), hanno specificamente contestato tale assunto .

Quanto alla tardività del deposito documentale si osserva che:

a) la difesa del comune di Sarnico, in prime cure, ha riprodotto ed illustrato (nel corpo della memoria conclusionale ritualmente depositata in data 29 gennaio 2001) la norma di interpretazione autentica recata dalla più volte menzionata delibera n. 51 del 2000;
le contro parti non hanno però ritenuto di impugnare direttamente tale atto ovvero di replicare per iscritto (chiedendo un termine);

b) la norma sancita dall’art. 23, co. 4, l. n. 1034 del 1971 (applicabile ratione temporis ), è stata interpretata dalla prevalente giurisprudenza nel senso della derogabilità del termine di deposito ivi previsto, in caso di mancata opposizione delle parti nel cui interesse è posto il termine medesimo;
nella specie, come in precedenza evidenziato, manca la prova dell’opposizione dei ricorrenti all’acquisizione di tale documento;

c) risulta per tabulas, infine, che gli odierni ricorrenti non hanno mai impugnato, davanti al competente T.a.r., tale delibera.

8.2. Con il secondo mezzo (pagine 22 – 26 del ricorso in appello), si impugna, sotto plurimi profili, la delibera n. 51 del 2000 (unitamente all’atto preparatorio ovvero la delibera consiliare n. 32 del 28 giugno 2000).

8.2.1. Il mezzo è inammissibile.

8.2.2. Deve richiamarsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale, formatosi sul previgente quadro normativo (applicabile ratione temporis ), secondo cui, nel giudizio amministrativo di legittimità, il thema decidendum in appello è delimitato dalle censure articolate in prime cure, non potendosi tenere conto dei profili nuovi sollevati per la prima volta in sede di impugnazione, in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345, co. 1, c.p.c (cfr., ex plurimis , sez. V, n. 3913 del 2011, sez. V, 29 marzo 2011, n. 1925;
sez. V, 24 aprile 2009, n. 2588, ad. plen. 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente dell’88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

Assodata l’inapplicabilità, ratione temporis , del codice del processo amministrativo, la sezione evidenzia che, in ogni caso, anche la nuova disciplina da questo sancita non consente comunque di accogliere la tesi prospettata dalla difesa degli appellanti.

Il nuovo codice, infatti, ha recepito il divieto di ius novorum in relazione a nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove con alcuni temperamenti (che non ricorrono nel caso di specie come meglio si dirà in prosieguo).

Non possono anzitutto essere proposte nuove domande per la prima volta in appello e, segnatamente, motivi nuovi di ricorso (art. 104, co. 1).

Sono previste tuttavia tre deroghe, di cui una tratta dal processo civile (art. 345, co. 1, c.p.c.), e altre due specifiche per l’appello nel processo amministrativo.

L’ultima deroga (art. 104, co. 3, c.p.a.), ha ad oggetto l’ammissione, entro ristretti limiti, di motivi aggiunti.

Si tratta di una previsione specifica per l’appello amministrativo.

Il c.p.a. ha affrontato in parte qua il dibattuto tema dell’ammissibilità dei motivi aggiunti in appello, e lo ha risolto nel senso che i motivi aggiunti sono consentiti solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati con il ricorso di primo grado (o con rituale atto di motivi aggiunti proposto in prime cure), allorché i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado (art. 104, co. 3);
la previsione dei motivi aggiunti, inoltre, essendo comunque espressa in termini di facoltà, non preclude la possibilità che la parte interessata instauri un nuovo e autonomo ricorso in primo grado (circostanza questa che non si è verificata nel caso di specie).

Deve pertanto escludersi la possibilità di motivi aggiunti in appello avverso atti diversi da quelli impugnati con il ricorso di primo grado (come verificatosi nel caso di specie), ancorché connessi ovvero impugnati in via meramente derivata;
in tal senso depone anche la relazione illustrativa del c.p.a., in cui si afferma che i motivi aggiunti in appello si rivolgono contro atti già impugnati in primo grado e che resta <<… fermo il principio per cui nei confronti degli ulteriori provvedimenti amministrativi emessi o conosciuti nelle more del giudizio di appello va proposto un separato ricorso di primo grado>> (pag. 46).

A tale conclusione si perviene:

a) in base al tenore letterale della norma sancita dall’art. 104, co. 3, cit. che si riferisce a provvedimenti già impugnati in primo grado e a documenti preesistenti ma non prodotti nel giudizio davanti al T.a.r.;

b) sul piano logico e sistematico, in considerazione della portata generale del principio del doppio grado di giudizio che non consente ampliamenti del thema decidendum nel passaggio fra il primo ed il secondo grado, non può incontrare deroghe implicite, è posto nell’interesse di tutte le parti in causa, è inderogabile dalle stesse costituendo espressione di ordine pubblico processuale, impone una interpretazione restrittiva della norma derogatoria avente natura eccezionale (cfr., da ultimo e negli esatti termini, Cons. St., sez. IV, n. 5542 del 2013;
sez. V, n. 3913 del 2011).

8.3. Con il terzo mezzo (pagine 27 - 28 del ricorso in appello), si reitera criticamente la doglianza incentrata sulla violazione dell’art. 17, co. 7, delle n.t.a.

8.3.1. Il mezzo è infondato.

8.3.2. Assodato che la delibera n. 51 del 2000 è rimasta inoppugnata (come si visto al precedente punto 8.2.), ne discende che, correttamente, il primo giudice ha utilizzato come parametro di riscontro della legittimità della contestata concessione edilizia la seguente versione dell’art. 17, co. 7, n.t.a: <<Nelle zone B.1 e B.2 per gli edifici presenti sull’area da più di 30 anni è possibile la ristrutturazione edilizia con completa demolizione e sostituzione del volume esistente anche se esso supera il rapporto plano volumetrico di zona a condizione che il progetto sia accompagnato da adeguata analisi e prefigurazioni che consentano una completa valutazione di impatto ambientale. Elementi fondamentali per l’accettazione dell’intervento saranno un sostanziale miglioramento ambientale ed igienico, la valorizzazione di elementi tipologici e architettonici significativi, ed infine il miglioramento degli spazi pubblici e privati al contorno, nonché il rispetto delle altezze e distanze previste per la zona per quei lati dell’edificio in cui la ricostruzione non avvenga nella stessa giacitura dei preesistenti>>.

Da tutta quanta la documentazione versata in atti nel corso del giudizio di primo grado emerge che la costruzione assentita è conforme alle prescrizioni tecniche vigenti, come autenticamente e retroattivamente interpretate dal comune di Sarnico.

8.4. Con il quarto mezzo infine (pagine 29 - 31 del ricorso in appello), si reitera criticamente la doglianza incentrata sulla violazione dell’art. 31, lett. d), l. n. 457 del 1978 e degli artt. 1, 3, 5 e 6, l. n. 10 del 1977 anche in relazione all’art. 17, co. 7, delle n.t.a.;
si sostiene che l’avversato intervento costruttivo, in realtà, non ha dato vita ad una autentica ristrutturazione edilizia – come disciplinata dalle norme sopra richiamate – bensì ad una nuova ed originale costruzione;
difetterebbe, in sostanza, il requisito della fedeltà della ricostruzione non essendo il nuovo fabbricato identico a quello demolito, sotto il profilo della volumetria, della sagoma e del posizionamento.

8.4.1. Il mezzo è infondato.

8.4.2. Il collegio osserva che la doglianza sollecita, nella sostanza, il giudice amministrativo a disapplicare la disciplina riveniente dall’art. 17, co.7, n.t.a. (come esplicitato dagli appellanti a pagina 2 della memoria difensiva depositata il 9 dicembre 2013).

Sul punto è sufficiente evidenziare che il principio di certezza dei rapporti giuridici, a tutela del quale è posta la previsione del termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, da un lato, esclude la pertinenza del riferimento all’istituto della disapplicazione (operante solo per gli atti formalmente e sostanzialmente normativi), e, dall’altro, impedisce di annettere all’adozione di ogni atto attuativo dello strumento urbanistico l’effetto di sancire la riapertura del termine di impugnazione delle specifiche disposizioni pianificatorie che si siano consolidate per effetto della mancata tempestiva impugnazione nel termine decadenziale decorrente dalla conoscenza dell’originaria produzione dell’effetto lesivo;
in tali casi, infatti, non si può configurare un conflitto apparente di norme giuridiche risolvibile con gli strumenti esegetici divisati dalle disposizioni preliminari al c.c. fra cui il criterio gerarchico (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, n. 2782 del 2013;
sez. IV, n. 4244 del 2010;
sez. V, n. 2629 del 2010, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

Ma il mezzo è anche infondato in fatto, nella parte in cui lamenta che le modifiche apportate in sede di ricostruzione sono state tali da aver stravolto il precedente manufatto dando corpo ad una nuova originale edificazione.

Come si evince dalla documentazione tecnica versata in atti, le modifiche apportate, oltre che rispettose, sul piano formale, delle prescrizioni sancite dall’art. 17, co.7, n.t.a, non hanno stravolto il precedente assetto edilizio, certamente sotto il profilo volumetrico e delle giaciture, fermo restando che i profili di novità della sagoma, per tutte le ragioni dianzi esposte, rimangono fuori dal thema decidendum del presente giudizio di appello.

9. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

10. Nella vetustà della causa il collegio ravvisa eccezionali ragioni, a mente del combinato disposto degli artt. 92, co. 2, c.p.c. e 26, co. 1, c.p.a., per compensare integralmente fra le parti costituite le spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi