Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-04-28, n. 201002436
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N. 02436/2010REG.SEN.
N. 03426/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3426 del 2005, proposto da:
Comune di Casalnuovo di Napoli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. A M, con domicilio eletto presso Carlo Sarro in Roma, largo Arenula, 34;
contro
-OMISSIS-S.p.A.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - Sede di NAPOLI - SEZIONE I n. -OMISSIS-/2004, resa tra le parti, concernente INSTALLAZIONE IMPIANTO DI TELEFONIA.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2010 il Consigliere F T e udito per parte appellante l’ avvocato Russo per delega di Messina.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado parte appellata aveva proposto domanda di annullamento del provvedimento con cui il Comune di Casalnuovo di Napoli - relativamente alla d.i.a. protocollata dalla società originaria ricorrente per la installazione di un impianto di telefonia - aveva ordinato di “. . .non eseguire i lavori di cui alla precitata denuncia di inizio attività”;nonché della relazione con la quale il tecnico istruttore, nella veste di responsabile del procedimento, aveva affermato che “. . .l’impianto a realizzarsi risulta avere una potenza efficace totale di antenna superiore a 100 watt” e, “. . .per tali impianti la legge Regione Campania n. 14 del 24.11.2001 prevede il rilascio delle relative autorizzazioni da parte del Presidente della provincia competente.”
Essa era insorta prospettando numerosi motivi di censura ed il T, con sentenza resa in forma semplificata ha accolto l’impugnazione ritenendo fondato il secondo motivo di doglianza prospettato ed assorbendo in tale statuizione le altre doglianze.
Il ricorso di primo grado meritava accoglimento, secondo il T, perché dopo l’entrata in vigore del Codice delle Comunicazioni la competenza ad esaminare tali DIA spettava senz’altro al Comune, dovendosi ritenere superata la previsione di cui all’art. 3 della l. Regionale della Campania n. 14/2001.
La stessa Regione Campania aveva chiarito tale punto con la delibera n. 3864 del 30/12/2003, la cui legittimità era stata confermata in passato dal TAR Campania, sez. I, con ordinanza n. 3053 del 26/05/2004.
Pertanto, non aveva rilievo la questione sulla potenza in singola antenna, in quanto il Comune aveva sostenuto che “l’impianto a realizzarsi risulta avere una potenza efficace totale di antenna superiore a 100 watt” all’evidente scopo di applicare l’art. 3 della l. Reg. Campania n. 14/2001.
L’amministrazione comunale di Casalnuovo di Napoli ha proposto un articolato appello evidenziando che la statuizione dell’amministrazione doveva reputarsi legittima.
Ha criticato la decisione in epigrafe sotto il profilo procedurale perché resa in carenza delle condizioni legittimanti la pronuncia succintamente motivata criticando altresì la circostanza che la motivazione della sentenza appariva ampia e diffusa.
Nel merito, ha fatto presente la erroneità della decisione, in quanto la legge Regionale della Campania n. 14/2001, all’art. 3, stabiliva che la competenza a provvedere spettasse al Presidente della Provincia di Napoli;il D.lvo n. 259/2003, poi, faceva riferimento generico all’Ente locale competente a ricevere la richiesta, (appunto il Presidente della Provincia di Napoli, secondo la previsione di cui alla citata legge regionale), né la delibera giuntale n. 3864 del 30/12/2003 poteva invertire tale ordine di competenze fissate dalla fonte legislativa superior, od altrimenti modificarla.
Ha poi richiamato il disposto di cui all’art. 87 del d.lvo n. 259/2003 sostenendo che la sopravvenienza del parere dell’Arpa rispetto alla richiesta fosse irrilevante.
La programmazione urbanistica comunale, in tema di allocazione dei predetti impianti, rilevava ai sensi dell’art. 8 comma VI della legge n. 36/2001.
Non appariva corretto non rilevare che il diniego comunale non si poneva in contrasto con l'art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003 le cui norme non prevalevano, per il principio di specialità, su quelle del Testo Unico dell'Urbanistica D.P.R. n. 380/2001);esso non aveva eliminato per gli impianti di cui trattasi il permesso di costruire ( sostituendolo da un'autorizzazione soggetta a silenzio assenso). Il regolamento comunale sulla localizzazione degli impianti stessi - possibile a norma dell'art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001 - era perfettamente legittimo.
L’amministrazione comunale ha infine depositato una articolata memoria con la quale ha puntualizzato e ribadito i cinque distinti versanti di critica all’appellata decisione chiedendone l’annullamento.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente conferma della appellata sentenza.
Deve premettersi che la censura “processuale” relativa alla sussistenza delle condizioni per pronuncia una decisione in forma semplificata è certamente infondata.
Invero, come è noto, l'art. 26 comma ult., l. 6 dicembre 1971 n. 1034 (come sostituito dall'art. 9, l. 21 luglio 2000 n. 205) consente all'adito giudice amministrativo, laddove venga ravvisata la manifesta fondatezza, ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, di definire il merito della causa con sentenza succintamente motivata, nei casi in cui sussista la completezza del contraddittorio processuale e del materiale istruttorio rilevante ai fini di un'esaustiva delibazione del proposto thema decidendum.
Orbene: incontestata la circostanza relativa al positivo verificarsi delle condizioni in ultimo citate (completezza del contraddittorio processuale e del materiale istruttorio) il vaglio in ordine al primo “requisito” (un giudizio in ordine alla manifesta fondatezza, ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del petitum), pertiene esclusivamente alla valutazione giudiziale, sindacabile, eventualmente, in ipotesi di manifesta abnormità, non ricorrente certamente nel caso di specie, laddove il T ha evidenziato un profilo di criticità assoluta nella statuizione amministrativa che da solo connotava quest’ultima di illegittimità.
Ciò premesso, è bene avvertire che talune delle questioni (segnatamente quelle proposte nell’ultima parte del ricorso in appello, e relative, come dianzi chiarito, alla asserita inconciliabilità delle richieste di parte appellata con le “opzioni regolatrici” comunali di natura urbanistica) prospettate nel ricorso in appello hanno di recente trovato soluzione in due recenti decisioni gemelle di questa Sezione (la n. 8214 e la n. 8215 del 2009) che hanno dichiarato la infondatezza dei gravami proposti dall’amministrazione comunale odierna appellante con riguardo a problematiche in larga parte identiche a quelle prospettate da quest’ultima nell’odierno giudizio.
I condivisibili principi espressi nelle citate decisioni – in ordine ai quali il Collegio non rinviene ragione alcuna per mutare divisamento - devono intendersi essere integralmente richiamati nella presente decisione, e, pertanto quanto alle problematiche “urbanistiche” sollevate dall’appellante amministrazione ci si limiterà, nell’ultima parte della motivazione, a chiarire sinteticamente le ragioni della condivisibilità da parte del Collegio dell’opzione ermeneutica reiettiva contenuta nelle citate sentenza della Sezione n. 8214 e n. 8215 del 2009.
Ciò illustrato in punto di perimetrazione del devolutum sul quale il Collegio si soffermerà analiticamente, e passando ad esaminare il merito delle censure proposte, deve in primo luogo evidenziarsi che la doglianza relativa alla individuazione del soggetto pubblico competente a pronunciarsi sull’istanza (motivo del ricorso di primo grado accolto in via principale dal T) è certamente infondata.
Il Collegio, infatti, non rinviene ragione per discostarsi dal principio, recentemente affermato, secondo il quale “ a fronte della formulazione dell'art. 87 d.lg. n. 259 del 2003, che attribuisce genericamente all'ente locale la competenza al rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la realizzazione di impianti radioelettrici, è legittima la deliberazione di giunta regionale che individua nel Comune il suddetto ente locale;l'art. 87 cit., infatti, deve essere interpretato alla luce del principio di sussidiarietà di cui all'art. 118 Cost., ai sensi del quale l'attribuzione delle funzioni amministrative al Comune rappresenta la regola, potendosi disciplinare diversamente solo laddove risulti che il Comune non sia in grado di esercitare adeguatamente tali funzioni.”(Consiglio Stato , sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3792).
Nel corpo motivazionale della richiamata decisione (che ha strettissima attinenza con la fattispecie per cui è causa in quanto la Sezione si è pronunciata su un appello proposto dalla Regione Campania avverso la sentenza del T.a.r. Campania – Napoli che, accogliendo il ricorso del Comune di Nola, aveva annullato la delibera della Giunta Regionale della Campania n. 3864 del 30.12.2003, pubblicata sul B.U.R.C. n. 7 del 16.2.2004, che individuava il Comune quale ente abilitato al rilascio dell'autorizzazione relativa "all'istallazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi", nel rispetto delle procedure e della modulistica indicate dall'art. 87 d.lgs. n. 259/2003, nonché quale ente abilitato al rilascio dell'autorizzazione relativamente alle opere civili di cui agli artt. 88 e 89 del d.lgs. n. 259/2003) è dato rinvenire l’affermazione secondo cui “l'individuazione del Comune quale ente abilitato al rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la realizzazione degli impianti radioelettrici discende, dal d.lgs. n. 259/2003, letto alla luce dell'art. 118 Cost..
L'art. 87, commi 2 e 9, del d.lgs. n. 259/2003, pur indicando in modo generico l'ente locale competente al ricevimento delle istanze ed al rilascio dei titoli abilitativi (utilizzando la testuale espressione "l'ente locale"), deve essere interpretato nel senso che attribuisca al Comune tale competenza.”.
Il Consiglio di Stato ha quindi da ciò fatto discendere che “la legittimità della delibera della Giunta che ha fornito l'unica interpretazione legittima, siccome conforme alle norme costituzionali, degli artt. 87 e 88 d.lgs. n. 259/2003.
Ulteriore conferma a tale interpretazione si ricava dall'art. 86 d.lgs. n. 259/2003 che equipara a tutti gli effetti gli impianti di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria. Ed allora, considerando che le opere di urbanizzazione debbono essere assentite dal Comune, si può ritenere, in virtù della ricordata equiparazione, che sempre al Comune spetta la competenza ad assentire la realizzazione degli impianti di telecomunicazioni”.
La prima doglianza proposta è quindi senz’altro infondata alla stregua dei condivisibili principi affermati nella suindicata pronuncia.
Anche la doglianza afferente la mancata produzione del parere Arpac coevamente alla istanza (il parere positivo pervenne comunque in seguito, come lealmente rappresentato dall’appellante amministrazione comunale) è manifestamente inaccoglibile.
L’art. 87 comma IV del d.lvo n. 259/2003, infatti, dispone che “copia dell'istanza ovvero della denuncia viene inoltrata contestualmente all'Organismo di cui al comma 1, che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione. Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l'istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell'impianto.”
E’ palese, pertanto, che (si veda il comma I della citata disposizione) “l’accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione” deve seguire, e non già precedere, la produzione dell’istanza;che al privato richiedente non possa essere ascritto alcun altro onere diverso dalla presentazione dell’istanza e che, non operando in materia alcuna ipotesi di silenzio-rifiuto (si veda, in contrario, il comma IX del predetto articolo), dalla mancata ricezione del parere non possano discendere conseguenze reiettive (per l’affermazione del principio secondo cui “in tema di autorizzazione per la costruzione di una stazione radio-base il termine per la formazione del silenzio-assenso di cui all'art. 87, IX comma del DLgs n. 259/03 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, e non dalla ricezione, da parte del Comune, del parere dell'Arpa, in quanto ai sensi dell'art. 87, IV comma del citato DLgs n. 259 il deposito del parere preventivo favorevole dell'Arpa non è prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto si vedano, da ultimo, T Veneto n. 1283/2007 TAR Lecce, II, 24.8.2006 n. 4279;TAR Catania, II, 23.9.2005 n. 1478).
La circostanza infine che il parere positivo comunque pervenne, appare dimostrativa in termini troncanti della illegittimità dell’azione seguita dall’amministrazione e della conseguente inaccoglibilità della relativa censura.
Quanto sinora rilevato in via teorica esaurirebbe il compito della Sezione. L’appellante amministrazione, ha tuttavia proposto ulteriori motivi di gravame avverso la impugnata sentenza fondati su profili riconducibili alle statuizioni contenute nel proprio Regolamento Edilizio su cui è doveroso soffermarsi.
Essi sono infondati alla stregua della condivisibile affermazione (perfettamente aderente al caso di specie, in quanto relativa a controversia promossa dall’amministrazione comunale odierna appellante) contenuta nella decisione n. 8214/2009 secondo cui “-riguardo alla competenza regolamentare in materia, in particolare attribuita ai Comuni con l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, la giurisprudenza ha precisato la differenza fra ‘criteri localizzativi” e “limiti alla localizzazione” ritenendosi consentiti i primi, in quanto recanti criteri specifici rispetto a localizzazioni puntuali, e non i secondi, in quanto recanti divieti generalizzati per intere aree (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI: 5 giugno 2006, n. 3452;19 maggio 2008, n.2287;17 luglio 2008, n. 3596), dovendosi concludere, su questa base, che la citata norma del regolamento edilizio comunale, riguardando l’intero centro abitato, viene a rientrare nella normativa del secondo tipo;
-la realizzazione degli impianti in questione è subordinata soltanto all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del Codice, che pone una normativa speciale esaustiva dell’esame di diversi profili implicati, incluso quello della compatibilità edilizio-urbanistica dell’intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI:17 ottobre 2008, 5044;5 agosto 2005, n. 4159)”.
Già in passato, peraltro, la Sezione, coerentemente con l’impostazione sopra riportata la cui piena condivisibilità deve ribadirsi in questa sede, aveva evidenziato che “il regolamento comunale che delinei la suddivisione del territorio comunale in tre tipologie di aree (maggiormente idonee, di attenzione e sensibili) si pone in contrasto con il d.lg. n. 259 del 2003, non consentendo tale decreto alle amministrazioni comunali di estendere la propria competenza sino a selezionare le aree del territorio, individuandone solo alcune come idonee ad ospitare gli impianti. L'installazione di impianti di telecomunicazione, infatti, deve ritenersi in generale consentita sull'intero territorio comunale in modo da poter realizzare, con riferimento a quelli di interesse generale, un'uniforme copertura di tutta l'area comunale interessata.”.(Consiglio Stato , sez. VI, 28 marzo 2007, n. 1431)
Tale orientamento è stato ancora di recente ribadito dalla Sezione (Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2008, n. 3133), e da esso non si ravvisano motivi per discostarsi.
Esso trova la propria scaturigine logica, peraltro, in un armonioso procedere della interpretazione giurisprudenziale verso la ricerca di un punto di ordinata mediazione che, pur tenendo conto della compresenza di distinte competenze in materia, evitasse che quella comunale si esplicasse in ambiti (diversi da quelli strettamente urbanistici) riservati ad altri Enti.
Si è detto in passato, pertanto, che “va dichiarata l'illegittimità di un regolamento comunale adottato ai sensi dell'art. 8 comma 6 l. 22 febbraio 2001 n. 36, laddove l'ente territoriale si sia posto quale obiettivo, sebbene non dichiarato, ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare, quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3. “(Consiglio Stato , sez. VI, 20 dicembre 2002, n. 7274).
Del pari, è stato rilevato che “come non può essere imposto, mediante regolamento comunale edilizio l'osservanza di determinate distanze dagli edifici esistenti, ugualmente, ed anzi a maggior ragione, non si può pretendere di localizzare gli impianti ad una determinata distanza dal confine di proprietà, trattandosi di previsione che appare priva di giustificazione alcuna e rappresenta solo un indebito impedimento nella realizzazione di una rete completa di telecomunicazioni.”(Consiglio Stato , sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3536).
Come è agevole riscontrare, la progressione evolutiva giurisprudenziale si pone in senso sfavorevole alle prospettazioni di parte appellante.
Di più.
Si è addirittura escluso che la stessa “causale” dell’esercizio della potestà regolamentare possa essere determinata da esigenze protettive di interessi diversi da quelli relativi a “valutazioni strettamente riguardanti interessi riferibili ad aspetti urbanistici, edilizi, architettonici, di decoro o di protezione del territorio.”(Consiglio Stato , sez. VI, 06 agosto 2002, n. 4096)
Sul punto può aggiungersi che, ancora di recente, si è affermato che “ai sensi dell'art. 8 comma 6, della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici 22 febbraio 2001 n. 36, i comuni possono adottare un regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione comunale ai campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere regolamentare comunale non può implicare la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non rientrando tale potere nell'ambito delle competenze comunali. Non può, pertanto, il comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure derogatorie ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali, ad esempio, il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale;ovvero, introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo.(Consiglio Stato , sez. VI, 03 ottobre 2007, n. 5098 , ma si veda ancheConsiglio Stato , sez. VI, 05 giugno 2006, n. 3332, secondo cui “è illegittimo il regolamento comunale che, in materia di installazione di impianti di telefonia mobile, contiene prescrizioni che non costituiscono espressione di pianificazione urbanistica, ma di tutela della salute e ciò in quanto la l. quadro 22 febbraio 2001 n. 36 ha attribuito esclusivamente allo Stato la funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti ai fini della protezione della popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione ai campi magnetici.”)”
L’appello non contiene deduzioni atte a scalfire l’esatta statuizione resa dal T dal che consegue la reiezione del gravame e la integrale conferma dell’appellata decisione.
Le spese di giudizio, però, in considerazione soprattutto della natura della controversia azionata, possono essere integralmente compensate fra le parti in lite ricorrendone le condizioni di legge.