Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-03, n. 202104263

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-03, n. 202104263
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104263
Data del deposito : 3 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2021

N. 04263/2021REG.PROV.COLL.

N. 00349/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 349 del 2020, proposto dalla signora M O, rappresentata e difesa dagli avvocati D V e A V di Cesana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei suindicati difensori in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;

contro

il Ministero dell’istruzione (già Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca), in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III- bis , 24 ottobre 2019 n. 12234, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione e i documenti prodotti;

Visto il decreto cautelare monocratico 20 marzo 2020 n. 1300 nonché l’ordinanza della Sezione 17 aprile 2020 n. 1984 con la quale è stata accolta la domanda cautelare presentata dall’appellante;

Esaminate le memorie prodotte successivamente e gli ulteriori documenti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2021 (svolta nel rispetto del Protocollo d’intesa sottoscritto in data 15 settembre 2020 tra il Presidente del Consiglio di Stato e le rappresentanze delle Avvocature avvalendosi di collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.l. 30 aprile 2020, n. 28 e dell’art. 25, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. S T;

Rilevato in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Va premesso che la presente controversia nel grado di appello trae origine dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III- bis , 24 ottobre 2019 n. 12234 con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 8255/2019) a suo tempo proposto dalla odierna appellante ai fini dell’annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione - Ufficio VIII, con cui è stata respinta la domanda dalla stessa proposta per il riconoscimento del titolo professionale conseguito all’estero, motivandola tramite rinvio al provvedimento (generale) ministeriale del 2 aprile 2019, prot. n. 5636, avente ad oggetto tutte le istanze di riconoscimento della formazione professionale svolta in Romania presentate da molteplici docenti e nel quale si è affermato che “ i titoli denominati Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II conseguiti dai cittadini italiani in Romania non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, e pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli sono da considerarsi rigettate ”.

2. – Il Collegio rileva come l’odierno giudizio è plasticamente sovrapponibile ad altri, aventi identico oggetto, definiti con orientamento unanime dalla Sezione, rispetto al quale il Collegio ritiene che non vi sia motivo di discostarsi, tanto che qui di seguito, per ampi stralci e per economia dei mezzi processuali, si riprodurrano i contenuti delle decisioni già espresse in materia nel corso degli ultimi mesi del corrente anno e dell’anno precedente (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2021 n. 609).

In sintesi l’appellante deduce dinanzi a questo Consiglio:

- di avere chiesto al giudice di prime cure l’annullamento: a) dell’avviso n. 5636 del 2 aprile 2019 e del decreto ad ella comunicato, con cui il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha respinto l’istanza finalizzata al riconoscimento dell’abilitazione conseguita in Romania;
b) dei conseguenti atti sfavorevoli adottati dall’amministrazione con riferimento alla posizione della odierna appellante;

- di avere, in particolare, censurato la decisione dell’amministrazione di ritenere i titoli Nivel I e Nivel II , conseguiti dai cittadini italiani in Romania, inidonei a soddisfare i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della direttiva 2005/36/CE, con conseguente rigetto delle istanze presentate sulla base dei medesimi titoli;

- di avere chiesto al primo giudice, altresì, l’accertamento del diritto al riconoscimento in Italia all’abilitazione all’insegnamento, sulla base delle certificazioni (c.d. adeverinta ) rilasciate dal Ministero della educazione nazionale romeno, in ottemperanza all'art.13 co.1 lett. b) della direttiva n. 36/2005 e dagli art.16-22 del titolo III “libertà di stabilimento” del d.lgs. n. 206/2007 attuativo delle direttive eurounitarie n. 36/2005 e n. 55/2013;

- di essere risultata soccombente all’esito del giudizio di prime cure, definito con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a..

3. – Dalla lettura della sentenza di primo grado, qui oggetto di appello, emerge che il giudice di prime cure ha respinto il ricorso di primo grado richiamando la propria giurisprudenza formatasi in materia, in forza della quale, sebbene il confronto tra i titoli, o meglio i programmi e i corsi di formazione, conseguiti in altro Paese e quelli richiesti dallo Stato ospitante, debba essere svolto dallo Stato nel quale viene richiesto il riconoscimento del titolo, deve ritenersi che tale confronto richieda il conferimento di un titolo e di un livello di qualifica, ai sensi dell’art. 11 della direttiva e operi per gli insegnamenti per i quali l’interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo;
circostanza nella specie non realizzata, in quanto espressamente negata dall’amministrazione rumena, ragion per cui l’amministrazione interna non poteva che essere vincolata all’accertamento compiuto dall’amministrazione di provenienza del titolo.

Difatti, il Ministero rumeno aveva precisato che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, veniva rilasciato solo a coloro che avessero compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari;
pertanto, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consentiva l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza che il provvedimento dell’amministrazione appariva privo di vizi sul punto.

L’accertata inidoneità del programma di insegnamento rumeno, di carattere uniforme, consentiva, dunque, di ritenere che l’accertamento svolto dall’amministrazione resistente non fosse carente, avendo la stessa valutato, in via generale, l’inidoneità del programma svolto ai fini del riconoscimento e, alla luce delle conclusioni cui era pervenuto il Ministero, l’impossibilità di attribuire allo stesso carattere abilitante.

4. – Si è costituito in giudizio il Ministero appellato.

L’appellante ha chiesto la sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado con domanda cautelare che è stata accolta dalla Sezione con l’ordinanza 17 aprile 2020 n. 1984, nella quale si dava conto di precedenti giurisprudenziali espressi dalla Sezione di segno favorevole con riferimento alle prospettazioni fatte proprie dalla parte appellante.

5. – L’appello merita accoglimento con riferimento al punto centrale della controversia costituito dalla sussistenza (o meno) dei presupposti per il riconoscimento in Italia dei titoli conseguiti dalla odierna appellante in Romania.

La Sezione ha dunque affermato in proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2020 n. 4380, 20 aprile 2020 n. 2495, 2 marzo 2020 n. 1521 e 17 febbraio 2020 n. 1198) quanto segue: “3.1 In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.

Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero odierno appellato sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.

3.2 Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno" (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).

Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.

L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana;
ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

3.3 Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.

3.4 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a. , quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell'equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall'università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l'insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l'esperienza professionale pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).

In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675).

In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

3.5 Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.

A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno

6. - Il Ministero, in particolare, ha negato in capo alla odierna appellante i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della direttiva 2013/55/UE, basandosi su un presupposto – disconoscimento ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento rumeno, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, come l’appellante, titolari di diploma di laurea/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria.

Ne deriva che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione statale non risulta adeguata, non essendo stata approfonditamente esaminata, alla stregua delle previsioni di cui alla direttiva n. 55 del 2003, la particolare posizione della parte appellante, cui è stato attribuito – in ragione del percorso formativo estero– il diritto di insegnare in Romania nell’istruzione preuniversitaria;
elemento non vagliato in sede provvedimentale.

7. – Deriva, pertanto, da quanto sopra, che l’appello proposto va accolto, con conseguente riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III- bis , 24 ottobre 2019 n. 12234 e con accoglimento del ricorso proposto in primo grado (n. R.g. 8255/2019), derivandone l’annullamento dei provvedimenti ministeriali in quella sede impugnati.

Le spese seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché il Ministero dell’istruzione deve essere condannato a rifondere le spese del doppio grado giudizio in favore dell’appellante, nella misura complessiva di € 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre accessori come per legge ed alla restituzione del contributo unificato versato per entrambi i gradi di giudizio.

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