Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-30, n. 201302960

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-30, n. 201302960
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302960
Data del deposito : 30 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06668/2005 REG.RIC.

N. 02960/2013REG.PROV.COLL.

N. 06668/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6668 del 2005, proposto da:
F A, rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso A F in Roma, largo Brindisi 18;
D'Andrea Benito, D'Andrea Ersilia, M P, Mafer S.p.A.;

contro

Comune di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. D B, con domicilio eletto presso D B in Roma, via del Tempio di Giove 21, rappresentato e difeso per legge dall'Luigi D'Ottavi, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove N.21;

nei confronti di

Immobiliare Sofia S.r.l.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 01777/2005, resa tra le parti,


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Federico Cappella (su delega di Luigi D'Ottavio) e A F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame, gli appellanti, proprietari di abitazioni e di appezzamenti di terreni impugnano la decisione del TAR del Lazio con cui è stato dichiarato inammissibile il loro ricorso diretto all’annullamento della deliberazione n.312 del 22.12.1994, pubblicata il 27.12.1994, con cui il Consiglio Comunale ha approvato - ai sensi dell'art.1 della L. reg. Lazio 2.7.1987 n.36 - il predetto Piano Particolareggiato, senza avervi apportato le modifiche richieste dai ricorrenti.

L’appello è affidato alla denuncia di due motivi di gravame con cui si contesta l’erroneità dell’affermazione dell’inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione del rigetto delle osservazioni, e la superficialità con cui è stata liquidata la loro argomentazione relativa alla lesività del piano del piano particolareggiato.

Con ordinanza cautelare n. 4768 del 07 ottobre 2005 è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della decisione impugnata in considerazione del fatto che, ad una prima sommaria delibazione, non si ravvisavano ”.. nel ricorso introduttivo e nell’appello, profili di censura idonei a far agevolmente prevedere un esito della vertenza favorevole all’interessato.. ”.

Con memoria per la discussione l’appellante ha sottolineato le proprie argomentazioni insistendo per l’accoglimento del gravame.

Il Comune di Roma si è solo formalmente costituita in giudizio senza produrre contributi difensivi.

Chiamata all’udienza pubblica di discussione, ed uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione dal collegio.

L’appello è infondato.

___ 1. Con il primo motivo gli appellanti assumono che il TAR ha erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso perché:

-- i ricorrenti avevano omesso di impugnare sia la delibera del Comune di Roma n.28 del 31.3.1994 con cui erano stati rigettate le loro opposizioni alla delibera n.333/1992 di adozione del Piano, e sia la deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n.4777 del 3.8.1983 di approvazione della c.d. perimetrazione del predetto piano di recupero ed in conseguenza, avendo prestato acquiescenza ad entrambe le delibere, queste erano ormai consolidate;

-- la delibera di approvazione del Piano Particolareggiato (delibera di C.C. n.312 del 22.12.1994) impugnata in primo grado sarebbe stata - almeno nella parte relativa alle aree di proprietà dei ricorrenti – un atto meramente conseguenziale ed attuativo delle due predette delibere.

Assumono per contro gli appellanti l’erroneità di tali conclusioni in quanto nell’epigrafe del ricorso avevano richiesto l’annullamento “ …di qualunque altro atto provvedimento comunque connesso allo stesso… ” e nel corso del ricorso avevano richiamato espressamente sia la deliberazione del n.333/1992 e sia la deliberazione n. 28 del 31/3/94 (pagina 5, rigo 14 del ricorso). Non vi sarebbe poi stato alcun obbligo di impugnare il rigetto alle controdeduzioni avendo impugnato l’atto finale. Inoltre il Tar non avrebbe specificato perché si sarebbe dovuto impugnare una delibera regionale che nulla avrebbe avuto a che vedere con il piano particolareggiato adottato dal Consiglio Comunale e che avrebbe inciso sugli interessi dei ricorrenti solo dal momento dell’approvazione del piano particolareggiato.

Non vi sarebbe dunque stata alcuna acquiescenza.

L’assunto va respinto.

Se deve condividersi che la mancata impugnazione del rigetto delle osservazioni non determinava alcuna preclusione per gli appellanti, avendo tale deliberazione natura endoprocedimentale, nondimeno deve concordarsi con il primo giudice sulla natura preclusiva della specifica mancata impugnazione della deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n.4777 del 3.8.1983 di approvazione della c.d. “perimetrazione del predetto piano di recupero”.

Ciò perché con tale atto, essendo il comune dotato di PRG, erano state definitivamente delimitate le zone destinate ad essere oggetto di recupero ed i relativi ambiti.

Né per determinarne la relativa impugnazione vale poi il generico richiamo alla richiesta di annullamento degli "atti presupposti, connessi e conseguenti”, e neppure la mera citazione di un atto in ricorso.

L’utilizzo della ricordata formula di stile non vale infatti ad estendere l'impugnazione nei riguardi di atti non specificamente indicati in epigrafe.

In base ai principi sempre affermati dalla giurisprudenza sulla struttura e sul contenuto del ricorso (poi confluiti nell’art. 40 del c.p.a. ) la mera citazione di un determinato atto presupposto, non è sufficiente a radicarne l’impugnazione in quanto i provvedimenti impugnati devono essere specificamente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure.

Si tratta dunque di un’espressione che per la sua genericità di formulazione è priva di qualsiasi valenza processuale, perché non è affatto idonea alla specifica individuazione e delimitazione dell’impugnativa.

Pertanto, in applicazione del principio costituzionale del “giusto processo”, di cui anche all’art. 2 del c.p.a., solo la non-equivoca indicazione del petitum dell’azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa.

Il motivo va dunque comunque respinto.

___2. Con la seconda rubrica si lamenta che, con il richiamo alla differenza tra l’approvazione del P.P. e la disciplina di condono, il Tar non avrebbe in realtà compreso le lagnanze dei ricorrenti che ponevano questioni ben più pratiche, facendo rilevare come il piano particolareggiato andava a destinare a zona verde “N”, tagliandole a metà, le aree di proprietà dei ricorrenti, senza tener peraltro conto che su queste insisteva anche le costruzioni realizzate prima del 1967 che, essendo state in regola con le previsioni del piano regolatore del 1962, sarebbero state per questo già condonate dallo stesso Comune.

Di qui la contraddittorietà tra il riconoscimento legale delle abitazioni (con la creazione della relativa dotazione di servizi) e la previsione di una destinazione a zona a verde pubblico attrezzato su un’area ove sono ubicate le loro abitazioni (forse per l’utilizzo di cartografie superate) e con una divisione dei loro appezzamenti di terreno che li renderebbero inutilizzabili a future edificazioni.

Di qui l’illegittimità di un piano particolareggiato in contrasto sia con gli interessi ormai “consolidati” dei ricorrenti e sia con lo stesso piano regolatore.

L’assunto va disatteso.

Esattamente il TAR ha ripreso l’assunto del Comune con cui sono state rigettate le opposizioni dei ricorrenti al Piano, per cui in ogni caso la c.d. nuova zonizzazione urbanistica, derivante dalla delibera approvativa del Piano di recupero in questione, non poteva limitare un condono già perfezionatosi.

In tal senso è risolutivo il fatto che non solo l’istanza precedente, ma anche la richiesta del Sig. Benito D'Andrea di condono, presentata successivamente all’operatività del Piano impugnato, sia stata accolta.

Il condono intervenuto relativamente ad entrambi i manufatti di due ricorrenti dunque dimostra che gli stessi non sono affatto stati messi in forse dalla nuova destinazione di zona.

Per cui esattamente il TAR ha ricordato il regime peculiare del condono ed in coerenza ha concluso per l'inammissibilità della censura di primo grado essendo evidente il difetto di interesse all’annullamento di una zonizzazione “a verde” solo perché ricadrebbe, peraltro in minima parte, sul sedime degli edifici già realizzati.

Non merita comunque adesione, nel merito, anche la restante parte della censura con cui essi lamentano in sostanza che la nuova zonizzazione sarebbe illegittima perché dividerebbe in due parti i restanti appezzamenti di proprietà degli altri ricorrenti, che perciò risulterebbero inutilizzabili ai fini edificatori.

Al riguardo risulta peraltro del tutto inconferente, sul piano probatorio, la planimetria prodotta dagli appellanti in allegato al gravame, senza alcuna firma o autentica e con evidenti sovra-iscrizioni non meglio identificate.

Si deve, in linea di principio, infatti ricordare che le scelte pianificatorie e di destinazione urbanistica effettuate dal Comune sono il frutto di giudizi amplissimamente discrezionali, di carattere tecnico-amministrativo.

Come tali, implicano valutazioni di merito che, per natura, sono di norma sottratte al sindacato di legittimità del g.a., salvi i casi in cui le stesse siano viziate da arbitrarietà, irragionevolezza, errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse;
ovvero dal travisamento di fatti in relazione alle esigenze che s'intendono concretamente soddisfare (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 12 ottobre 2012 n. 5272;
Consiglio di Stato sez. III 15 novembre 2012 n. 5769;
Consiglio di Stato sez. V 05 novembre 2012 n. 5589).

Ciò premesso è evidente che la censura da un lato pone come profilo di illegittimità quello che è in realtà è esclusivamente il danno connesso con l’impossibilità di future edificazioni, e dall’altro lato investe lo stretto merito amministrativo delle scelte discrezionali dell’Amministrazione.

Infatti, sotto i profili della logica e delle razionalità, di per sé l’aver “tagliato” in due i terreni dei ricorrenti non costituisce un elemento realmente sintomatico dell’illegittimità delle scelte adottate, anche perché la previsione di aree verdi, con la relativa maggiore permeabilità ed idro-assorbenza del terreno, appare del tutto coerente con la natura di un’area notoriamente ad alto rischio idrogeologico (come dimostrano le alluvioni del 2008 e del 20 ottobre 2011 con conseguenze tragiche per alcuni residenti).

Nel caso quindi non sono stati introdotti elementi sintomaticamente rivelatori di uno reale e palese sviamento, di vizi funzionali tali da inficiare realmente la razionalità e la ragionevolezza delle scelte pianificatorie.

Anche tale secondo motivo va dunque disatteso.

___ 3. In conclusione l’appello deve essere respinto e la sentenza, sia pure con le integrazioni motivazionali di cui sopra, merita conferma.

Tuttavia, in ragione della natura delle questioni, le spese di giudizio possono tuttavia essere compensate tra le parti.

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