Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-11, n. 201800133

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-11, n. 201800133
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800133
Data del deposito : 11 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/01/2018

N. 00133/2018REG.PROV.COLL.

N. 06149/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6149 del 2007, proposto da Ministero dell’economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M R, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Giuseppe Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo, n. 180;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Umbria n. 255 del 23 marzo 2007, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi dieci;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto il ricorso incidentale presentato da-OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il Cons. L L e uditi per le parti l’avvocato Scafarelli su delega di Rampini e l’avvocato dello Stato Caselli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig.-OMISSIS-, vicebrigadiere della Guardia di Finanza, ha impugnato avanti il T.a.r. per l’Umbria i provvedimenti con cui gli è stata irrogata e, in sede di ricorso gerarchico, confermata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi dieci, in relazione al suo coinvolgimento in un procedimento penale per truffa, poi archiviato a seguito di remissione di querela.

1.1. In particolare, nel luglio 2002 il sig.-OMISSIS- era stato sottoposto ad indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia per il reato di truffa risalente ai mesi di giugno-luglio 1999, allorché rivestiva ancora il grado di appuntato, consistente nell’aver simulato, in concorso con altri soggetti, un sinistro stradale mediante compilazione di un modello c.i.d. contenente dichiarazioni non veritiere: il procedimento penale era stato, poi, archiviato con decreto del g.i.p. del 30 giugno 2003 per intervenuta remissione di querela.

1.2. L’Amministrazione aveva quindi avviato, in data 27 novembre 2003, il procedimento disciplinare, all’esito del quale era stata inflitta al sig.-OMISSIS- la sanzione della sospensione dal servizio per dieci mesi: il ricorso gerarchico intentato dall’interessato era stato respinto.

1.3. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento irrogativo della sanzione e, con motivi aggiunti, il rigetto del ricorso gerarchico lamentando in primis la tardività del procedimento disciplinare, in subordine l’infondatezza dell’addebito, il difetto di istruttoria e di motivazione ed il carattere non proporzionato della sanzione, che, oltretutto, l’Amministrazione avrebbe parametrato in base alla misura stabilita per i sottufficiali, mentre all’epoca dei fatti egli rivestiva ancora il grado di appuntato, ossia di semplice militare di truppa.

2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto la sola censura afferente al quantum della sanzione, osservando che “ quando il regime sanzionatorio (punibilità, misura della pena) è collegato a stati e qualità personali del reo, si deve avere riguardo alla situazione esistente al momento della commissione dell'illecito, non alle modificazioni sopravvenute - se non, eventualmente, in favore del reo ”.

2.1. Il Tribunale ha, di contro, escluso la tardività del procedimento disciplinare, sulla scorta della considerazione per cui “ se è vero che l'autorità militare gerarchica ha avuto la prima notitia criminis nel luglio 2002, è anche vero che si trattava, in quel momento, di una mera (e sommaria) dichiarazione verbale resa da un soggetto indagato per altri fatti, e sulla base della quale l'autorità gerarchica non avrebbe potuto direttamente contestare gli addebiti, in mancanza di quei riscontri e di quegli ulteriori elementi di fatto che sono emersi nel prosieguo delle indagini penali ”.

2.2. Il Tribunale ha, altresì, respinto le censure in punto di assunta infondatezza dell’addebito e sproporzione della sanzione, alla luce da un lato della “ sufficiente motivazione ” del provvedimento di irrogazione, dall’altro della “ obiettiva gravità ” del fatto.

3. L’Amministrazione ha svolto appello e il sig.-OMISSIS- ha, a sua volta, formulato impugnazione incidentale autonoma avverso i capi della sentenza che ne hanno rigettato le censure, riproponendo, altresì, le doglianze in punto di difetto di istruttoria e di motivazione, in tesi non affrontate dal Tribunale.

4. Nel corso del giudizio le parti hanno esplicato le loro difese con memorie.

5. Il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 5 dicembre 2017 e, all’esito della discussione, trattenuto in decisione.

6. Entrambi i gravami non meritano accoglimento.

7. Quanto a quello formulato dall’Amministrazione, il Collegio osserva che la misura della sanzione della sospensione dal servizio è stata parametrata in relazione al grado di vicebrigadiere (dunque sottufficiale) acquisito dal ricorrente a far data dal 22 dicembre 2000, per il quale la legge prevede da un minimo di due ad un massimo di dodici mesi di sospensione, mentre per i militari di truppa, quale era il sig.-OMISSIS- al momento della commissione del fatto (giugno-luglio 1999), è stabilita la più lieve cornice edittale di uno - sei mesi di sospensione.

7.1. Orbene, alla luce del carattere afflittivo della sanzione disciplinare e della conseguente primazia del valore del favor rei (cfr. anche la giurisprudenza della Cedu in ordine al carattere generale del principio nulla poena sine lege , ritenuto immanente a tutto il diritto punitivo lato sensu inteso e non al solo diritto penale), la decisione del Tribunale appare esente da mende: per una mancanza disciplinare compiuta da un militare di truppa si applica e non può che applicarsi la sanzione disciplinare che la legge prevede per i militari di truppa, a niente rilevando l’eventuale successiva promozione dell’incolpato ad un grado superiore.

7.2. E’, dunque, inconferente il principio tempus regit actum invocato dall’Amministrazione, non solo perché, come evidenziato dal Tribunale, esso attiene alla diversa “ problematica della successione delle leggi nel tempo ”, ma prima ancora perché il principio in parola afferisce alla successione fra norme procedimentali, mentre nella specie si verte in tema di disposizioni – quali quelle afferenti alla misura della sanzione – di schietto carattere sostanziale;
oltretutto, la natura lato sensu punitiva della sanzione disciplinare impone un rafforzato rispetto del principio di legalità, sotto il duplice profilo del divieto di applicazione retroattiva della legge e di preferenza per il trattamento più favorevole per l’incolpato.

8. Infondato risulta pure l’appello incidentale svolto dal sig.-OMISSIS-.

8.1. Non consta, anzitutto, alcuna tardività dell’avvio del procedimento disciplinare.

8.1.1. Come riconosciuto dallo stesso interessato, all’epoca dei fatti la normativa di riferimento era rappresentata, in assenza di disposizioni specifiche relative al personale militare, dal Testo Unico degli impiegati civili dello Stato di cui al d.p.r. n. 3 del 1957, ai sensi del quale, una volta che l’Amministrazione abbia accertato un fatto disciplinarmente rilevante, deve contestare “ subito ” gli addebiti;
del resto, anche l’allora vigente d.p.r. n. 545 del 1986, recante il “ regolamento di disciplina militare ”, stabiliva che il procedimento disciplinare dovesse essere avviato “ senza ritardo ”.

8.1.2. A ben vedere, tuttavia, le disposizioni citate si limitano a stabilire il divieto di immotivata inerzia nell’avvio del procedimento disciplinare e, già sul piano letterale, non impongono affatto all’Amministrazione un dovere di immediata attivazione allorché emergano mere ipotesi di possibile ricorrenza di condotte connotate da disvalore disciplinare.

8.1.3. Al contrario, in un’ottica sistematica e nel rispetto dei principi del buon andamento e dell’economicità dell’azione amministrativa deve ritenersi che la normativa in esame rechi l’opposto principio di diritto: l’avvio del procedimento disciplinare è ex lege doveroso non già in presenza di un mero sospetto circa una possibile violazione disciplinare, ma solo se e nel momento in cui concrete, credibili e circostanziate evidenze di carattere almeno indiziario lascino ritenere oggettivamente verosimile il fatto storico oggetto di incolpazione.

8.1.4. Nessuna rilevanza, dunque, può essere ascritta al fatto che, nella specie, il procedimento penale sia stato radicato ben prima di quello disciplinare, circostanza di contro fisiologica in considerazione della diversità strutturale e funzionale dei due procedimenti.

8.1.5. Infatti, il procedimento penale stricto sensu inteso è volto ad assumere gli elementi preliminari necessari per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (art. 326 c.p.p.), ha natura giurisdizionale, è connotato da poteri dell’organo inquirente assai penetranti, è circondato dal segreto (ad eccezione di specifici atti di indagine puntualmente indicati dalla legge) e deve essere attivato anche a seguito della ricezione di una notitia criminis pure non particolarmente circostanziata; di contro, il procedimento disciplinare è teso all’irrogazione di una sanzione per condotte violative di doveri afferenti al rapporto di servizio, ha carattere amministrativo, si svolge mediante la spendita di poteri istruttori assai meno invasivi, è strutturalmente aperto ab initio alla partecipazione dell’incolpato e presuppone la credibilità razionale dell’ipotesi di incolpazione, non essendo, di contro, sufficiente una mera, isolata e non circostanziata dichiarazione di un terzo.

8.1.6. Nella specie, il procedimento penale nei confronti del sig.-OMISSIS- è stato radicato nel luglio 2002 a seguito proprio di dichiarazioni spontanee rese alla p.g. da persona sottoposta ad indagine nell’ambito di un distinto procedimento concernente altri fatti ed altri soggetti;
solo i successivi riscontri emersi nel prosieguo delle indagini hanno confermato quelle dichiarazioni e, così, giustificato l’avvio di un procedimento disciplinare, poi effettuato con la contestazione degli addebiti in data 27 novembre 2003, dunque entro il termine prescritto dall’art. 97 del citato Testo unico (180 giorni “ dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento ”, nella specie rappresentata quoad effectum dal decreto di archiviazione del 30 giugno 2003).

8.2. Non merita accoglimento, infine, neppure la censura in ordine alla fondatezza dell’addebito disciplinare, alla carenza di istruttoria e motivazione ed alla congruità della sanzione irrogata.

8.2.1. In proposito basta evidenziare che – come rilevato negli atti del procedimento disciplinare, in particolare nell’argomentato “ rapporto finale ” – il sig.-OMISSIS- ha fornito, in sede di s.i.t., una ricostruzione dell’accaduto contrastante ed incompatibile con quanto allora da lui stesso indicato nel modulo c.i.d.;
per di più, dalla consulenza tecnica disposta dal p.m. nel corso delle indagini preliminari (i cui esiti le generiche contestazioni svolte in questa sede dal ricorrente non sono in grado di confutare) è emerso che il danno lamentato dal sig.-OMISSIS- non avrebbe potuto essere arrecato con la dinamica indicata nel c.i.d., in considerazione dell’altezza relativa dei mezzi coinvolti dal sinistro ivi (falsamente) denunziato.

8.2.2. Non vi sono, di converso, validi, concreti ed oggettivi motivi per sostenere che i due soggetti che hanno riferito del fatto nel corso del procedimento penale abbiano agito al comune scopo di danneggiare il ricorrente.

8.2.3. E’ di palmare evidenza, poi, che la simulazione di un sinistro stradale al fine di lucrare l’indennizzo da parte della compagnia di assicurazione si palesa in frontale ed insanabile contrasto con i doveri di un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, istituzionalmente tenuto a reprimere i reati e, più in generale, a garantire il rispetto della legge: oltretutto, consta che all’epoca dei fatti il sig.-OMISSIS- prestasse servizio presso la locale Procura della Repubblica, circostanza che prima facie ne rende vieppiù grave la già disdicevole condotta.

8.2.4. Legittimamente, infine, l’Amministrazione non ha valutato a fini attenuanti la restituzione delle somme al danneggiato operata dal sig.-OMISSIS-, non solo perché, in quanto finalizzata ad ottenere la remissione della querela, non dimostra alcuno spontaneo ravvedimento, ma soprattutto perché non è in grado di elidere il disvalore disciplinare di una condotta, quale quella tenuta dal ricorrente, in palese contrasto con i doveri propri di un appartenente alla Guardia di Finanza: pur in assenza dello strepitus fori , infatti, l’operato del sig.-OMISSIS- rivela un’oggettiva carenza di quella solidità etica che deve sempre animare i militari di un Corpo istituzionalmente deputato a garantire l’osservanza della legge e che, dunque, per primi debbono dimostrare un rigido rispetto delle norme che regolano la vita associata.

9. Il complessivo esito del giudizio suggerisce la compensazione delle spese di lite.

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