Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-05-27, n. 201402730
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N. 02730/2014REG.PROV.COLL.
N. 07493/2013 REG.RIC.
N. 08248/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7493 del 2013, proposto da:
R Patrizia, rappresentata e difesa dall'avv. P A M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P L in Roma, viale Mazzini, n. 140;
contro
Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. F P, R R e M L, con domicilio eletto presso lo studio del terzo, in Roma, viale Angelico, n. 103;
sul ricorso numero di registro generale 8248 del 2013, proposto da:
R Patrizia, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
contro
Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena, in persona del legale rappresentante pro tempore, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
quanto al ricorso n. 7493 del 2013:
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, Sezione II, n. 237/2013, resa tra le parti, di declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto per l’annullamento del capo c) della deliberazione n. 30 del 10.2.2004 con il quale il Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria U.S.L. Modena ha dichiarato estinto il rapporto di impiego della signora P R a far tempo dal 31.1.1991 per effetto dell'intervenuta cancellazione della stessa dall'Albo delle Ostetriche e del conseguente venir meno del presupposto necessario alla prosecuzione del rapporto di impiego;
per la riunione del ricorso in appello in esame con il ricorso per l’ottemperanza n. 8248/2013;
perché sia dichiarato che la sentenza n. 9276/2003 del Consiglio di Stato, Sezione quinta, non ha statuito l’obbligatorietà della iscrizione all’Albo delle Ostetriche della signora di cui trattasi e che per le ostetriche prima della legge n. 43/2006 non era obbligatoria l’iscrizione all’Albo;
per l’annullamento di detta deliberazione n. 30 del 10.2.2004 del Direttore generale della U.S.L. di Modena;
per la condanna della Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena alla immediata e definitiva riassunzione o reintegra in servizio della appellante, con ripristino totale del rapporto di pubblico impiego in capo ad essa e con riconoscimento del trattamento giuridico ed economico conseguente dalla data del 31.1.1991 fino alla naturale scadenza;
in subordine per ottenere chiarimenti, ex art. 112, comma 5, del c.p.a., circa il “dictum” giurisdizionale espresso con la citata la sentenza n. 9276/2003;
per la riforma del capo della sentenza impugnata di condanna alle spese, in forza della sentenza della A.P. del Consiglio di Stato n. 2 del 2013;
quanto al ricorso n. 8248 del 2013:
per l’ottemperanza
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 9276/2003, resa tra le parti, di accoglimento del ricorso proposto per la riforma della sentenza del T.A.R. della Emilia Romagna, Bologna sez. I, n. 87/1998, depositata in data 13 marzo 1998, con la quale erano stati respinti i ricorsi n. 2078/90, n. 2079/90 e n. 766/1991 con il quali la signora P R aveva impugnato, rispettivamente, un provvedimento disciplinare di destituzione, un provvedimento disciplinare di sospensione dalla qualifica ed il provvedimento di estinzione del rapporto di impiego, adottati nei suoi confronti;
nonché per la riunione, le declaratorie, la condanna ed i chiarimenti richiesti con il ricorso n. 7493/2013;
Visti il ricorso in appello n. 74493/2013 ed il ricorso per ottemperanza n. 8248/2013 e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visto l'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 il Cons. A A e udito per l’Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena l’avvocato R R;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
I.- Con il ricorso in appello che ha assunto il n. di r.g. 7493 del 2013 la signora P R ha chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento del capo c) della deliberazione n. 30 del 10.2.2004 del Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria U.S.L. Modena con la quale è stato dichiarato estinto il rapporto di impiego della signora suddetta dal 31.1.1991 per effetto dell'intervenuta cancellazione della stessa dall'Albo delle Ostetriche e del conseguente venir meno del presupposto necessario alla prosecuzione del rapporto di impiego;inoltre per le declaratorie, l’annullamento, la condanna e i chiarimenti in epigrafe indicati.
II.- A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- La sentenza è basata sull’assunto che, sia dalla parte motiva della deliberazione impugnata, che dal contenuto del ricorso, si evinceva che la U.S.L. intimata aveva inteso dare attuazione con la determinazione impugnata alla sentenza n. 9276 del 2003 del Consiglio di Stato e che la interessata lamentava la mancata piena ed effettiva esecuzione di detta sentenza, sicché l’oggetto della domanda doveva essere qualificato in termini di inottemperanza al giudicato, con competenza del Consiglio di Stato.
Ma la impugnata deliberazione n. 30 del 2004 sarebbe stata in effetti un “quid novi”, costituente una nuova “destituzione – licenziamento” della signora R con effetti retroattivi al 31.1.1991, con conseguente elusione esecutiva non conformativa di detta sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003.
In particolare il T.A.R.:
A) avrebbe errato nel qualificare in termini di inottemperanza a detta sentenza del Consiglio di Stato l’oggetto del ricorso n. 651/2004, trattandosi di impugnazione autonoma della successiva deliberazione n. 30 del 2004 (stante la sua autonoma lesività) e non di ricorso diretto all’adempimento dell’obbligo della Autorità amministrativa di uniformarsi ad essa sentenza, che aveva disposto: a) l’annullamento del provvedimento disciplinare n. 74/1990 di destituzione della signora R, con effetto dal 30.1.1990, dal servizio del Presidente per accertata violazione dei doveri di fedeltà (a seguito della acquisizione e sottrazione di n. 6 schede sanitarie riservate e loro successiva produzione in un processo penale), avendo esercitato la dipendente il diritto di difesa;b) l’annullamento della deliberazione della U.S.L. n. 18 “del 12/2/91 n. 106”, di estinzione del rapporto di pubblico impiego del 30.1.1991 a seguito di cancellazione dall’Albo delle Ostetriche, in quanto detta deliberazione era stata adottata in una data in cui il provvedimento di cancellazione non era ancora definitivo (in quanto il ricorso interposto dalla signora R “in data 15/3/91” esplicava effetto sospensivo dell’efficacia dell’atto gravato).
Infatti con detta deliberazione n. 30 del 2004 sarebbe stata disposta la retroattività alla data del 31.1.1991 del nuovo “licenziamento – destituzione” “cioè degli effetti sospensivi ed esecutivi della sentenza del Consiglio di Stato passata in giudicato” e nella sua parte motiva non sarebbe stato precisato né quali fossero stati i mutamenti irreversibili di alcune situazioni di fatto e di diritto relativi alla posizione giuridica ed economica della dipendente alla luce delle successive vicende amministrative, né quale fosse l’assetto ricostruttivo nel limite dei vincoli imposti alla P.A. in sede di riedizione del potere amministrativo successivamente al “dictum” giurisdizionale, da interpretare secondo un complessivo canone di buona fede e di effettività della tutela giurisdizionale in considerazione del contenuto complesso della decisione del Consiglio di Stato circa l’effetto demolitorio di dichiarata destituzione (lett. a) e della successiva estinzione del rapporto di lavoro (lett. b).
Quindi con detta deliberazione n. 30 del 2004:
a) sarebbe stato illegittimamente ed arbitrariamente riconosciuta la retroattività alla data del 31.1.1991 degli effetti esecutivi di detta sentenza del Consiglio di Stato e ritenuto che il secondo “licenziamento – destituzione” era fondato sulla stessa causa o motivo posto a base della precedente deliberazione n. 106 del 12.2.1991 (con sua annullabilità, come da sentenze della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 1244/2011 e n. 106/2013);
b) sarebbe stata impedita la “restitutio in integrum” sotto il profilo giuridico ed economico in capo alla signora R;
c) sarebbe stata ignorata la nuova regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato dall’anno 2001;
d) sarebbe stata risolta unilateralmente ed illegittimamente la questione controversa circa la obbligatorietà o meno della iscrizione all’Albo delle ostetriche, senza considerare che la volontaria cancellazione non faceva venir meno il rapporto di lavoro in forza delle leggi all’epoca vigenti, compresa quella del 30 marzo 2001, n. 165 e quella del 24 dicembre 2003 n. 350, entrata in vigore l’1.1.2004, prima della entrata in vigore della deliberazione n. 30 del 10.2.2004 impugnata;
e) sarebbe stato, in realtà, posto in essere un nuovo ed autonomo provvedimento di “licenziamento – destituzione” del rapporto di lavoro della ricorrente con effetto retroattivo;
f) sarebbe stata quindi posta in essere una iniziativa del tutto diversa rispetto alla statuizione demolitoria del Consiglio di Stato.
B) Avrebbe ignorato che il Consiglio di Stato in sede cautelare, con proprio provvedimento del 30.11.2004(ord. n. 7137/2004), in riforma della ordinanza del 13.5.2004 del T.A.R., aveva disposto la riammissione in servizio della R.
C) Avrebbe errato per essersi limitato a prendere in esame solo l’atto presupposto e cioè la sentenza del Consiglio di Stato passata in giudicato.
D) Avrebbe ignorato che la non impugnata sentenza n. 61/2008 del Tribunale di Modena, Sezione Lavoro, richiamata dalla controparte nella memoria del 25.1.2013, era passata in giudicato con riguardo al riconoscimento della giurisdizione del T.A.R. in merito al ricorso per cui è causa, come eccepito dalla R con memoria del 4.2.2013 (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 10401 del 6.5.2013).
III.- E’ stato quindi riassunto l’iter amministrativo giurisdizionale della procedura che ha visto infine l’adozione della impugnata deliberazione n. 30 del 2004 ed è stato ribadito:
a) che il ricorso di primo grado avverso detta deliberazione aveva come “petitum” sostanziale la nuova dichiarata destituzione di fatto mediante estinzione del rapporto di pubblico impiego;
b) che essa deliberazione costituisce mancata esecuzione o violazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003;
c) che il “quid novi” riguardava anche la circostanza che in data 16.3.1991 la appellante aveva revocato la presentata domanda di cancellazione dall’Albo;
d) che la deliberazione impugnata, nello stabilire la retroattività alla data del 31.1.1991, illegittimamente non ha tenuto conto della circostanza che l’effetto sospensivo della cancellazione dall’Albo era scaduto in data 29.3.2004, quando detta sentenza del Consiglio di Stato è passata in giudicato;
e) che la Azienda Sanitaria, prima di adottare la impugnata deliberazione, non ha invitato o diffidato la appellante, ex art. 53 della l. n. 165/2001, ad iscriversi di nuovo all’Albo delle ostetriche per far cessare la presunta causa di incompatibilità (tenuto conto che con parere della Sezione I del Consiglio di Stato del 17.3.2004 era stato affermato che l’obbligatorietà della iscrizione all’Albo riguarda solo i liberi professionisti);
f) che il precetto esecutivo conseguente a detta sentenza del Consiglio di Stato era in sostanza costituito dal ripristino integrale del rapporto di lavoro, non potendo causare pregiudizi economici o di carriera un procedimento disciplinare caducato per effetto di decisioni giurisdizionali;
IV.- Pertanto la appellante, evidenziato di aver prodotto anche ricorso per l’ottemperanza alla citata sentenza di questo Consiglio n. 9276 del 2003 e richiamata la sentenza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2013, ha rassegnato le conclusioni in epigrafe riportate.
V.- Con atto depositato in data 28.11.2013 si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena, che ha eccepito la inammissibilità, anche per carenza di giurisdizione, del ricorso in appello e ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.
VI.- Con memoria depositata il 10.1.2014 la costituita Azienda Sanitaria, sollevati dubbi sulla circostanza che l’atto di appello sia assistito dai requisiti di cui all’art. 40, comma 1, lettera c), del c.p.a., ha dedotto che la deliberazione n. 30 del 2004 era stata assunta al solo scopo di ottemperare e dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003 e che legittimamente ha dato applicazione alle norme che richiedono il requisito della iscrizione all’Albo delle ostetriche per l’esercizio della relativa professione anche nell’ambito di un rapporto di impiego con una struttura sanitaria pubblica (considerato che la nuova domanda di iscrizione della signora R a detto Albo era stata presentata dopo la adozione della deliberazione n. 30 del 2004).
Quanto alla domanda di ricostruzione economica della posizione della appellante ha affermato che il Giudice del lavoro ha conosciuto della controversia complessiva sottopostagli dalla suddetta per l’intero periodo anteriore e successivo alla data del 30.6.1998 ed il G.A. è carente di giurisdizione circa le domande in questa sede proposte;ha poi eccepito il difetto di giurisdizione del G.A. in ordine alle domande di ripristino integrale del rapporto di impiego dalla data della interruzione e fino alla sua naturale scadenza per quanto riguarda l’attribuzione di emolumenti e retribuzioni arretrate. Infine ha dedotto che comunque non sussisterebbe più interesse al proseguimento di questo giudizio, attesa la circostanza che il G.O. si è pronunciato con sentenza n. 61 del 2008 e la appellante ha già ottenuto la tutela giurisdizionale riconosciutale dalla legge. Ha quindi concluso per la reiezione.
VII.- Con memoria depositata il 17.1.2014 la parte appellante ha replicato alle avverse argomentazioni, in particolare evidenziando la infondatezza della “generica” eccezione di inammissibilità dell’appello (essendo i motivi di gravame sufficientemente specifici), ha dedotto la fondatezza del proposto appello avverso la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato il ricorso di primo grado solo in termini di inottemperanza del giudicato derivante dal passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003, ha eccepito la inammissibilità ai sensi dell’art. 9 del c.p.a. della eccezione di difetto di giurisdizione del G.A. circa la domanda di ricostruzione anche economica della posizione della appellante (non essendo stato impugnato con appello incidentale il giudicato interno formatosi al riguardo), ha eccepito che, in assenza di impugnazione della sentenza del Giudice del lavoro di Modena, sulla statuizione di assenza di giurisdizione del G.O. per il periodo di lavoro dal 31.1.1991 al 10.2.2004 si è formato il giudicato.
VIII.- Alla pubblica udienza del 28.1.2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione, alla presenza dell’avvocato della parte resistente come da verbale di causa agli atti del giudizio.
IX.- Con ricorso che ha assunto il n. 8248 del 2013 di r.g. la signora P R, premesso che dal passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003 non sono trascorsi i 10 anni stabiliti dall’art. 114, comma 1, del c.p.a. e che il ricorso ex art. 112, comma 5, del c.p.a. può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, ha proposto ricorso in ottemperanza di detta sentenza per sentir dichiarare che con essa il Consiglio di Stato non ha statuito alcunché circa la obbligatorietà della iscrizione all’Albo, essendosi limitato a statuire l’annullamento della delibera della Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena n. 106 del 1991 perché il presupposto del provvedimento estintivo del rapporto di lavoro (cioè la cancellazione dall’Albo) non era ancora definitivo, nonché che la deliberazione n. 30 del 2004 del Direttore generale di detta Azienda Sanitaria non era rispettosa di detto “dictum” giurisdizionale ed era un mero espediente per eludere il giudicato, trattandosi in realtà di una nuova dichiarata “destituzione – estinzione” del rapporto di pubblico impiego della signora R, (con statuita obbligatorietà dell’iscrizione all’Albo e con retroattività al 31.1.1991) e non di una puntuale esecuzione conformativa ora per allora, stante il suo contenuto non integralmente desumibile della sentenza passata in giudicato.
In particolare nell’emanare detta deliberazione la citata Azienda Sanitaria non avrebbe tenuto conto delle seguenti circostanze:
a) che alla deliberazione avrebbe dovuto essere riconosciuto valore di atto privatistico ai sensi degli artt. 2, comma 2, 5, comma 2, e 51, comma 2, della l. n.. 165/2001, con conseguente inefficacia della dichiarata retrodatazione degli effetti del licenziamento;
b) che con la deliberazione stessa è stata esercitata una potestà pubblica formalmente diversa da quella consolidata con la sentenza passata in giudicato;
c) che prima della adozione della deliberazione di cui trattasi la attuale appellante (che pure aveva revocato la propria domanda di cancellazione dall’Albo) non è stata invitata o diffidata per lunghi anni ad iscriversi nuovamente all’Albo delle Ostetriche per far cessare la presunta causa di incompatibilità;
d) che con la deliberazione di cui trattasi era stato reiterato il “licenziamento – estinzione” a far data dal 31.1.1991, con risultato uguale a quello derivante dalla deliberazione n. 106/1991, annullata con la citata sentenza del Consiglio di Stato;
e) che l’art. 10 del d.l.C.p.S. n. 233/1946 prevedeva solo la possibilità per i sanitari di essere iscritti all’Albo e solo con l’art. 3, comma 3, della l. n. 43/2006, operante “ex nunc”, è stata disposta l’obbligatorietà della iscrizione all’Albo professionale anche per i pubblici dipendenti;
f) che il pubblico dipendente non può subire pregiudizi di carriera in conseguenza di provvedimenti disciplinari caducati da decisioni giurisdizionali;
g) che era già in vigore l’art. 3, comma 57, della l. n. 350/2003;
h) che la sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 5789 del 1994, citata nella deliberazione di cui trattasi, non aveva dichiarato che la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 12.8.1992 era stata confermata, essendo stato il ricorso della signora R solo dichiarato inammissibile ex art. 111 della Costituzione, con sentenza non facente stato nei confronti della Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena, che non era parte nel giudizio;
i) che la Azienda non ha mai comunicato alla interessata alcun provvedimento di estinzione del rapporto di pubblico impiego.
In conclusione la Azienda Sanitaria di Modena avrebbe dovuto astenersi dal disporre la estinzione retroattiva del rapporto di pubblico impiego della ricorrente, stante il suo diritto ad ottenere il ripristino “in toto” del rapporto di lavoro.
E’ stato quindi riassunto l’iter amministrativo giurisdizionale della procedura che ha visto infine l’adozione della deliberazione n. 30 del 2004 ed è stato evidenziato, al fine di dimostrare la errata interpretazione viziante la deliberazione stessa, che con sentenza del Giudice del lavoro di Modena n. 61 del 2008 è stato dichiarato, circa il capo c) di detto provvedimento, che era infondato il motivo di recesso per non sussistere l’obbligo di iscrizione all’Albo professionale per i dipendenti della P.A., che, in base al d. lgs. n. 233/1946, detto obbligo non sussiste per i sanitari dipendenti (che ne hanno facoltà in caso di esercizio della libera professione) e che l’art. 2, comma 3, della l. n. 43/2006, che ha stabilito l’obbligatorietà della iscrizione all’Albo professionale anche per i pubblici dipendenti, dimostra la insussistenza dell’obbligo stesso in precedenza.
Ha quindi precisato che la instaurazione di un giudizio di ottemperanza e di cognizione non elimina la sostanziale unicità della domanda e rende possibile la valutazione unitaria della pretesa (Consiglio di Stato, A.P., 15 gennaio 2013, n. 2) e che ha interesse al ricorso sia perché è stata riammessa in servizio in via provvisoria con deliberazione della Azienda Sanitaria U.S.L. n. 78 del 2005 dopo la sua reiscrizione all’Albo e dopo l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 5698/2004, sia perché la citata sentenza del Tribunale, Sezione lavoro, di Modena ha deciso solo per il periodo successivo al 10.2.2004 ed è stata impugnata da detta Azienda Sanitaria, sia perché non vi è stata alcuna statuizione sulle spettanze economiche della ricorrente per il periodo che va dal 31.1.1991 al 10.2.2004, sia, infine, perché non ha potuto accedere alla pensione per mancato versamento dei contributi dal 31.1.1991.
Ha quindi rassegnato conclusioni sostanzialmente coincidenti con quelle riportate nel ricorso n. 7493 del 2013.
X.- Con atto depositato in data 28.11.2013 si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria U.S.L. di Modena, che ha eccepito la inammissibilità, anche per carenza di giurisdizione, del ricorso in appello e ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.
XI.- Con memoria depositata il 10.1.2014 la costituita Azienda Sanitaria ha formulato eccezioni e deduzioni sostanzialmente simili a quelle già contenute nella memoria depositata in pari data nel giudizio in appello n. 7493 del 2013.
XII.- Con memoria depositata il 17.1.2014 la parte appellante ha replicato alle avverse argomentazioni, in particolare evidenziando che il ricorso in esame è stato proposto anche per chiedere chiarimenti ex art. 112, comma 5, del c.p.a., che la sentenza ottemperanda ha lasciato impregiudicata la questione circa la obbligatorietà o meno della iscrizione all’Albo, che, con parere del 17.3.2004, la Sezione I del Consiglio di Stato ha riconosciuto che la obbligatorietà della iscrizione all’Albo riguardava solo i liberi professionisti, che è infondata la tesi che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 5789/1994, è da considerare definitiva la cancellazione dall’Albo della signora R e la estinzione del rapporto di lavoro dal 31.1.1991, che la retrodatazione operata dalla Azienda Sanitaria era elusiva del giudicato;ha inoltre dedotto la infondatezza delle eccezioni di difetto di giurisdizione formulate da controparte ed ha a sua volta eccepito che, in assenza di impugnazione della richiamata sentenza del Giudice del lavoro di Modena, sulla statuizione di assenza di giurisdizione del G.O. per il periodo di lavoro dal 31.1.1991 al 10.2.2004 si è formato il giudicato.
XIII.- Alla udienza in camera di consiglio del 28.1.2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte resistente, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
XIV.- Tanto premesso, innanzitutto il collegio ritiene di dover riunire i gravami in esame, con i quali, rispettivamente, è stata impugnata la sentenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento adottato in esecuzione di una sentenza di questa Sezione perché qualificabile in termini di ottemperanza ed è stato proposto ricorso per ottemperanza alla sentenza stessa, per la palese loro connessione oggettiva e soggettiva, per cui i medesimi devono essere esaminati e decisi con un’unica pronuncia.
XV.- In proposito va rilevato che (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 147) è ammissibile (in via di principio, e per ragioni di concentrazione processuale e di effettività della tutela giurisdizionale) la scelta di proporre in via concomitante - a fronte dell'adozione di atti non satisfattivi conseguenti a un giudicato - un ricorso per ottemperanza e uno di impugnazione, ma occorre in primo luogo stabilire se gli atti in tal modo adottati costituiscano o meno violazione o elusione del giudicato di annullamento, in maniera da giustificare il ricorso al rimedio di tutela più pregnante e satisfattivo per la pretesa sostanziale della parte ricorrente già vittoriosa nelle precedenti fasi della vicenda.
In materia di ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. V, 25 febbraio 2014, n. 892) l'esigenza di certezza propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, non può, tuttavia, proiettare l'effetto vincolante nei riguardi di tutte le statuizioni sopravvenute di riedizione di un potere, ove questo, pur prendendo atto della decisione del giudice, coinvolga situazioni nuove e non contemplate in precedenza;ne consegue che, in sede di ottemperanza, da un canto non è precluso all'Amministrazione di tener conto delle eventuali sopravvenienze di fatto e normative intervenute e, dall'altro, che il provvedimento dell'Amministrazione che non sia adottato in violazione o elusione di giudicato, ma copra spazi vuoti lasciati dal giudicato, non può essere vagliato nell'ambito del giudizio di ottemperanza, rendendosi necessaria l'impugnazione con ordinario ricorso di cognizione.
XVI.- Tanto premesso la Sezione valuta infondato il ricorso in appello n. 7493 del 2013, con il quale è stata impugnata la sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, Sezione II, n. 237/2013, di declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto per l’annullamento del capo c) dell'atto n.30 del 10/2/2004 in quanto l’oggetto della domanda era da qualificare in termini di inottemperanza al giudicato formatosi sulla decisione n. 9276 del 2003 del Consiglio di Stato, con competenza di questo ex art. 37, comma 3, della l. n. 1034/1971 ed ex art. 113 del c.p.a..
XVI.1.- Con detta sentenza n. 9276 del 2013 questa Sezione aveva riformato la sentenza del T.A.R. della Emilia Romagna, Bologna sez. I, n. 87/1998, con la quale erano stati respinti i ricorsi n. 2078/90, n. 2079/90 e n. 766/1991 (con cui la signora R aveva gravato, rispettivamente, un provvedimento disciplinare di destituzione, un provvedimento disciplinare di sospensione dalla qualifica ed il provvedimento di estinzione del rapporto di impiego, tutti adottati nei suoi confronti), affermando che non poteva essere ravvisata una violazione dell’obbligo di fedeltà (e del connesso dovere di riservatezza) da parte della dipendente che aveva utilizzato il materiale sottratto alla parte datoriale per produrlo in giudizio e che il provvedimento di estinzione del rapporto di pubblico impiego era stato adottato dall’amministrazione sanitaria in data 12.2.1991, quando la cancellazione dall’Albo delle ostetriche (presupposto del provvedimento estintivo del rapporto) non era ancora definitiva, perché il ricorso interposto dalla signora R in data 15 marzo 1991 esplicava effetto sospensivo dell’efficacia dell’atto gravato.
Con deliberazione n. 30 del 10.2.2004 del Direttore generale della U.S.L. di Modena, vista detta sentenza e dato atto che essa imponeva di rimuovere i provvedimenti impugnati di sospensione, destituzione ed estinzione del rapporto di servizio, è stato considerato che, anche se detto provvedimento di destituzione era illegittimo per essere stato adottato quando la cancellazione dall’Albo delle ostetriche della sig.ra R non era ancora definitivo, la Commissione Centrale, in data 21.1.1992, aveva respinto il ricorso da essa proposto contro il provvedimento di accoglimento della volontaria domanda di cancellazione da detto Albo, con decisione confermata definitivamente in sede giurisdizionale, sicché era stata accertata la legittimità del provvedimento di cancellazione a far tempo dalla data della richiesta del 30.1.1991, con venir meno da tale data dei requisiti per l’esercizio professionale. Con la deliberazione suddetta, considerato che l’esecuzione della citata sentenza di questa Sezione comportava il riesame ora per allora dei presupposti di fatto e di diritto sottesi all’emanazione dei provvedimenti dichiarati illegittimi, tenendo conto dei mutamenti irreversibili delle intervenute situazioni di fatto e di diritto, il provvedimento deliberativo di estinzione del rapporto di pubblico impiego è stato riadottato con decorrenza 30.1.1991, in esecuzione della sentenza di questa Sezione sopra citata, per la mancanza di un requisito indispensabile alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
XVI.2.- Rileva in proposito il Collegio che risulta evidente che il provvedimento suddetto è stato esplicitamente specificamente adottato in ottemperanza alla citata sentenza di questa Sezione, sicché è competente in materia il giudice dell'ottemperanza e non viceversa, perché solo questo giudice, per effetto degli artt. 21 septies, della l. n. 241 del 1990 e 114, comma 4, lett. b), del c.p.a., è competente in relazione ai provvedimenti emanati dall'Amministrazione per l'adeguamento dell'attività amministrativa a seguito di sentenza passata in giudicato, nonché per l'accertamento della nullità di detti atti per violazione o elusione del giudicato, e dunque della più grave delle patologie delle quali gli atti amministrativi possono essere affetti.
Nel giudizio di ottemperanza può essere dedotta come contrastante con il giudicato non solo l'inerzia della P.A., ossia il non “facere” (inottemperanza in senso stretto), ma anche il “facere”, quando un comportamento attivo realizzi un'ottemperanza parziale o inesatta, ovvero la violazione o l'elusione attiva del giudicato. L'ottemperanza, infatti, deve per sua natura consistere nell'attuazione del giudicato e deve essere esatta, sicché anche un'ottemperanza parziale o non corretta, o elusiva, o violativa della regola del giudicato, rientra - indipendentemente dal suo carattere attivo - nella nozione di inottemperanza, analogamente all'inerzia.
XVI.3.- Non sono condivisibili le tesi della appellante che impugnata deliberazione n. 30 del 2004 fosse in effetti un “quid novi” costituente una nuova “destituzione - licenziamento” della signora R con effetti retroattivi al 31.1.1991, con conseguente elusione esecutiva non conformativa di detta sentenza del Consiglio di Stato n. 9276 del 2003 e con erroneità della decisione di qualificare in termini di inottemperanza l’oggetto del ricorso n. 651/2004, trattandosi di impugnazione autonoma della successiva deliberazione n. 30 del 2004, stante la sua autonoma lesività, e non di ricorso diretto all’adempimento dell’obbligo della Autorità amministrativa di uniformarsi a detta sentenza del Consiglio di Stato.
Invero nel caso di rinnovo della funzione amministrativa, in esito a un giudicato di annullamento di atti in precedenza emanati nell'esercizio della stessa funzione, la linea di demarcazione tra azione di ottemperanza e azione impugnatoria passa attraverso l'individuazione della natura dei vizi dedotti, operazione questa particolarmente delicata nei casi in cui la funzione amministrativa sia improntata a discrezionalità;deve quindi ritenersi che, in caso di reiterazione, in esito a giudicato di annullamento, di atti emanati nell'esercizio di una funzione connotata da discrezionalità, l'afflizione dell'attività da eventuali nuovi vizi dà luogo a violazione o a elusione del giudicato solo qualora l'atto ulteriore contenga una valutazione contrastante con le statuizioni in esso contenute;invece, qualora i vizi ineriscano esclusivamente allo spazio valutativo rimesso dalla pronuncia di annullamento all'autorità amministrativa nel riesercizio della sua funzione, si configureranno vizi di legittimità affliggenti tale attività, denunziabili in via cognitoria-impugnatoria.
Nel caso di specie le valutazioni poste in essere dalla USL di Modena con la citata deliberazione costituivano attività amministrativa effettuata in esplicitamente dichiarata esecuzione della sentenza di questa Sezione, anche se con conclusioni non conformi all’interesse della signora R, e non libera attività di riesercizio della funzione amministrativa al riguardo, sicché non può che condividersi la sentenza di primo grado che ha declinato la propria competenza in applicazione dell’art. 113 del c.p.a., secondo il quale il ricorso per ottemperanza va proposto al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta.
XVI.4.- L’appello in esame deve quindi essere respinto, con conseguente assorbimento delle eccezioni di carenza di giurisdizione ed interesse nonché di insussistenza dei contenuti richiesti dall’art. 40 del c.p.a. da parte dei motivi di gravame formulati dalla difesa della Azienda Sanitaria U.S.L. Modena.
XVII.- Con il ricorso per ottemperanza, che ha assunto il n. di r.g. 8248-2013, la signora R ha dedotto che la citata deliberazione n. 30 del 2004 non sarebbe stata rispettosa del “dictum” giurisdizionale, ma un mero espediente per eludere il giudicato, trattandosi in realtà di una nuova dichiarata “destituzione – estinzione” del rapporto di pubblico impiego e non di una puntuale esecuzione conformativa ora per allora, stante il suo contenuto non integralmente desumibile dalla sentenza passata in giudicato.
Osserva innanzi tutto il Collegio che l'elusione del giudicato, da parte della pubblica Amministrazione, sussiste laddove la stessa, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerca di ottenere il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa, in palese carenza dei presupposti che la giustificano.
Nel caso che occupa detta discrezionalità è essere stata legittimamente esercitata, stante l’infondatezza delle censure al riguardo formulate dalla ricorrente in ottemperanza, che di seguito saranno esaminate, con conseguente possibilità di prescindere dalle eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa della resistente Azienda Sanitaria al riguardo.
XVII.1.- Quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione con riguardo alla domanda di ripristino integrale del rapporto di impiego fino alla sua naturale scadenza, va rilevato che essa è inammissibile perché, in relazione al giudicato implicito formatosi con riguardo alla sussistenza della giurisdizione del G.A. sulla domanda de qua a seguito della pronuncia del giudice di primo grado, non è stato proposto appello incidentale (Consiglio di Stato, Sezione V, 27 marzo 2013, n. 1769);comunque va rilevato che, in tema di rapporto di pubblico impiego, il discrimine temporale tra la sussistenza della giurisdizione ordinaria e quella della giurisdizione amministrativa è rappresentato, ai sensi dell'art. 47, comma 17, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, dal dato storico dell'avverarsi, prima o dopo il 30 giugno 1998, dei fatti materiali e delle circostanze in relazione alla cui rilevanza giuridica sia insorta la controversia;nel caso che occupa, in conformità a quanto statuito dal Giudice del lavoro di Modena con sentenza n. 61 del 7 febbraio 2008, di cui non è stata provata, allo stato la riforma (che ha stabilito che nel caso di specie la giurisdizione dal 31.1.1991 appartiene al G.A. perché le domande relative al periodo anteriore alla adozione della deliberazione n. 30 del 2004 devono ritenersi coperte da giudicato amministrativo e poiché si verte in materia di ottemperanza a detto giudicato), la giurisdizione in materia “de qua” non può che appartenere al G.A..
XVII.2.- Quanto al rilievo che avrebbe comportato la inefficacia della dichiarata retrodatazione degli effetti del licenziamento la circostanza che alla deliberazione avrebbe dovuto essere riconosciuto valore di atto privatistico ai sensi degli artt. 2, comma 2, 5, comma 2, e 51, comma 2, della l. n. 165/2001, la Sezione osserva che dette norme stabiliscono, rispettivamente, che “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”;inoltre che “Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all'organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l'esame congiunto, ove previsti nei contratti di cui all’ articolo 9. Rientrano, in particolare, nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunita', nonche' la direzione, l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici”;infine e che “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
Va, invero, osservato in proposito che, vertendosi in materia di esecuzione di giudicato amministrativo di annullamento dell’originario provvedimento di destituzione della ricorrente, all’atto della riadozione, ora per allora, del provvedimento annullato, non potevano che essere seguite le procedure e rispettata la normativa all’epoca vigente, senza che disposizioni legislative, successivamente intervenute, sopra riportate, potessero incidere sulle relative modalità di attuazione.
XVII.3.- Con riguardo alla deduzione della ricorrente che con la deliberazione n. 30 del 2004 è stata esercitata una potestà pubblica formalmente diversa da quella consolidata con la sentenza passata in giudicato, alterando l’assetto degli interessi definito dal Consiglio di Stato, va osservato che alla stessa non è attribuibile giuridico rilievo.
Invero con la sentenza ottemperata con detta deliberazione era stato asserito che il provvedimento di estinzione del rapporto di pubblico impiego era stato adottato dall’Amministrazione sanitaria quando la cancellazione dall’Albo (presupposto del provvedimento estintivo del rapporto) non era ancora definitiva;correttamente, con la deliberazione impugnata, rilevato che nelle more era stata accertata la legittimità di detto provvedimento di cancellazione a far tempo dalla data della richiesta del 30.1.1991, è stato ritenuto da tale data fossero comunque venuti meno i requisiti per l’esercizio professionale e, in sede di riesame ora per allora dei presupposti di fatto e di diritto sottesi all’emanazione dei provvedimenti dichiarati illegittimi, il provvedimento deliberativo di estinzione del rapporto di pubblico impiego è stato riadottato con decorrenza da detta data, senza contraddire quanto ritenuto dal Consiglio di Stato con la citata sentenza.
XVII.4.- Quanto alla censura che, prima della adozione di detta deliberazione n. 30 del 2004, la signora R (che pure aveva revocato, ex art. 53 della l. n. 165/2001, la propria domanda di cancellazione dall’Albo) non è stata invitata o diffidata, per lunghi anni, ad iscriversi nuovamente all’Albo delle ostetriche per far cessare la presunta causa di incompatibilità, osserva la Sezione che essa è incondivisibile, atteso che non può comportare la illegittimità dell’adottato provvedimento di esecuzione di un “dictum giurisdizionale” il mancato pregresso invito alla reiscrizione all’Albo delle ostetriche, sia perché non era in corso alcun procedimento amministrativo al riguardo e sia perché la richiesta di regolarizzazione di dichiarazioni e di documentazione mancante, che costituisce applicazione del principio generale di leale collaborazione, efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, deve comunque mantenersi all'interno dell'inderogabile necessità del rispetto del c.d. limite degli elementi essenziali, nel caso di specie costituito dal requisito della iscrizione suddetta.
XVII.5.- Quanto alla censura che l’art. 10 del d.l.C.p.S. n. 233/1946 prevedeva solo la possibilità per i sanitari di essere iscritti all’Albo e che solo con l’art. 2, comma 3, della l. n. 43/2006 (che ha stabilito che l'iscrizione all'albo professionale e' obbligatoria anche per i pubblici dipendenti), operante “ex nunc”, è stata disposta l’obbligatorietà anche per i pubblici dipendenti della iscrizione all’Albo professionale, la Sezione osserva che la censura, per quel che riguarda il giudizio in esame, è da valutare incondivisibile.
Ciò innanzi tutto in quanto, anche se detta norma non poteva ritenersi superata dall'art. 1 d.P.R. n. 761 del 1979 (secondo il quale appartengono al ruolo sanitario del S.S.N. "i dipendenti iscritti ai rispettivi albi professionali") lo era sicuramente dall’art. 2 del d.P.R. n. 220 del 2001, vigente all’atto della adozione della deliberazione n. 30 del 2004, di approvazione del regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio Sanitario Nazionale, che, tra i requisiti di ammissione ai concorsi, prevedeva l’iscrizione agli Albi professionali, se richiesti per l’esercizio professionale.
In secondo luogo in quanto, vertendosi in materia di esecuzione di giudicato, ed essendo basata la sentenza ottemperanda sulla considerazione che era illegittimo il provvedimento di destituzione per effetto della cancellazione della ricorrente dall’Albo professionale in quanto essa era stata assunta in pendenza di ricorso alla competente Commissione, che sospendeva l’efficacia dei provvedimenti oggetto di reclamo, deve ritenersi che si fosse formato il giudicato interno implicito sulla obbligatorietà del possesso, all’epoca, di detto requisito.
XVII.6.- Quanto alla censura che il pubblico dipendente non può subire pregiudizi di carriera in conseguenza di provvedimenti disciplinari caducati da decisioni giurisdizionali, osserva la Sezione che la reintegrazione in forma specifica mediante reinserimento nella posizione giuridica ed economica sospesa costituisce conseguenza necessitata dell’annullamento di un provvedimento amministrativo, solo ove ne ricorrano tutti gli estremi, essendo fatta salva la potestà discrezionale dell’Amministrazione al riguardo, con il solo limite della puntuale osservanza delle determinazioni contenute nel “dictum” giurisdizionale.
XVII.7.- Non può il Collegio valutare positivamente la censura che l’Amministrazione non ha considerato che era già in vigore l’art. 3, comma 57, della l. n. 350/2003 (secondo il quale il dipendente sospeso dal servizio a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento -perché il fatto non sussiste, o l’imputato non lo ha commesso, o il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato-, ovvero con decreto di archiviazione per infondatezza, ha il diritto di ottenere, su richiesta il ripristino del rapporto di impiego anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento), stante la non applicabilità di detta norma al caso di specie, in cui la destituzione della signora R era stata adottata a seguito di procedimento disciplinare per sottrazione di alcune schede sanitarie, e comunque perché i divieti di riassunzione cui la norma fa cenno non coincidono con la rilevata carenza di iscrizione nell’Albo delle ostetriche posto a base della deliberazione n. 30 del 2004.
XVII.8.- E’ stato inoltre dedotto che non è stato tenuto conto della circostanza che la sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 5789 del 15 giugno 1994 “citata a pag. 2 della delibera impugnata” non dichiarava che la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 12.8.1992 era stata confermata, essendo stato il ricorso della signora R solo dichiarato inammissibile ex art. 111 della Costituzione, con sentenza che non fa stato nei confronti della A.U.S.L. che non era parte nel giudizio.
La censura è, a parere del Collegio, priva di rilevanza ai fini della valutazione della legittimità della deliberazione, atteso che a pagina 2 di detta deliberazione non è fatto alcun riferimento alla citata sentenza delle S.U. della Cassazione n. 5789 del 1994 ma a “sentenza della Corte di Cassazione del 20.2.94”, nonché che la decisione di detta Commissione centrale è comunque divenuta definitiva.
XVII.9.- Quanto alla dedotta circostanza che la Azienda Sanitaria non ha mai formalmente comunicato alla interessata alcun provvedimento di estinzione del rapporto di p.i. ritiene il Collegio che essa sia irrilevante ai fini della valutazione della legittimità della deliberazione di cui trattasi.
XVII.10.- Comunque dimostrerebbe la illegittimità della deliberazione di cui trattasi la circostanza che, con sentenza del Giudice del lavoro di Modena n. 61 del 2008, è stato dichiarato, circa il capo c) di detto provvedimento, che era infondato il motivo di recesso per non sussistere l’obbligo di iscrizione all’Albo professionale per i dipendenti della P.A., nonché che, in base al d. lgs. n. 233/1946, detto obbligo non sussiste per i sanitari dipendenti (che ne hanno facoltà in caso di esercizio della libera professione) e che l’art. 2, comma 3, della l. n. 43/2006, che ha stabilito l’obbligatorietà della iscrizione anche per i pubblici dipendenti, dimostra la insussistenza dell’obbligo stesso in precedenza.
La censura è da considerare insuscettibile di comportare l’accoglimento del ricorso per ottemperanza in esame, attesa la formazione di giudicato interno circa l’obbligo di detta iscrizione all’epoca dei fatti di causa a seguito della ottemperanda sentenza di questa Sezione.
XVII.11.- Tanto premesso, stante l’esercizio legittimo del potere discrezionale esercitato all’atto della adozione di detta deliberazione n. 30 del 2004, la Sezione considera irrilevante anche la lamentata circostanza che in conclusione la determinazione finale con essa assunta sia risultata uguale a quella cui era pervenuta la deliberazione n. 106/1991 annullata con la citata sentenza del Consiglio di Stato.
XVIII.- In conclusione il ricorso per ottemperanza in esame deve essere respinto.
XIX.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.