Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-10-30, n. 201504972
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
N. 04972/2015REG.PROV.COLL.
N. 00775/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 775 del 2015, proposto dalla Flavia 82 Società Cooperativa Edilizia, rappresentata e difesa dagli avv. R I e D V, con domicilio eletto presso Vaiano Izzo Studio Legale in Roma, Lungotevere Marzio 3;
contro
Comune di Aprilia, rappresentato e difeso dall'avv. D B, con domicilio eletto presso il sig. Raimondo Di Vito in Roma, Via Conegliano 8;
per l'ottemperanza
della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V n. 1950/2014, resa tra le parti, concernente acquisizione al patrimonio comunale di aree di sedime.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Aprilia;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella Camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2015 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte ricorrente l’avv. R I;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 Il 15 gennaio del 1990 la Società Cooperativa a r.l. Edilizia Flavia '82 stipulava con il comune di Aprilia una convenzione finalizzata alla realizzazione di un intervento edilizio ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865 del 1971, relativa all'edificazione e urbanizzazione di un'area acquistata dalla stessa società. La convenzione veniva in seguito giudizialmente risolta, con sentenza del T.A.R. Lazio – Sezione di Latina n. 662/2005, su domanda del comune, per inadempimento della società, la quale non aveva provveduto a realizzare una parte dei lavori per opere pubbliche previsti in convenzione.
Tale sentenza, confermata in appello con decisione di questo Consiglio n. 6358/2007, passava quindi in giudicato.
2 Conseguentemente, il comune di Aprilia emetteva un’ordinanza n. 401/2005 di acquisizione al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insistevano le opere realizzate in forza della convenzione.
3 La società impugnava l’ordinanza dinanzi al medesimo T.A.R., e con motivi aggiunti impugnava anche l'ordinanza n. 470/2005 di rettifica della precedente, nella parte in cui individuava catastalmente le aree da acquisire.
Il Tribunale adìto respingeva l’impugnativa con sentenza n. 1129/2010, che la società gravava di appello dinanzi a questo Consiglio.
4 Anche tale appello veniva disatteso, con la sentenza 16 aprile 2014 n. 1950 in epigrafe.
Questa, peraltro, nel giudicare infondato il primo motivo d’appello svolgeva le seguenti, ampie considerazioni.
“ Merita peraltro un’attenzione particolare un profilo dedotto dall’appellante nell’ambito della prima censura. Con lo stesso – spostando il fuoco dell’impugnazione dalla fonte del potere al contenuto concreto dell’atto - deduce che il Comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento idoneo a regolamentare gli effetti risolutori della convenzione e, in particolare, l’estinzione del diritto di proprietà sugli edifici, sugli alloggi e sulle opere, escludendo, al contempo, dall’effetto risolutivo gli alloggi e i locali venduti a terzi, il cui acquisto è opponibile al Comune e liquidando in favore della società concessionaria l’indennizzo previsto dall’art. 17 della Convenzione.
La censura, così formulata, non può essere accolta in quanto – come obietta il Comune appellato – l’uso reiterato dell’indicativo presente nel testo dell’art. 17 della convenzione depone nel senso dell’automaticità delle conseguenze giuridiche connesse alla risoluzione e fa ritenere che, in particolare, l’indennizzo previsto dall’art. 17 medesimo, costituisca un posterius rispetto alla risoluzione stessa. Tale indennizzo, in sostanza, non costituisce una condizione per l’estinzione del diritto di proprietà e per l’acquisizione della disponibilità parte del Comune degli edifici, alloggi ed opere (ed aree relative).
Il Collegio ritiene peraltro di rimarcare che, come si è visto, dall’intervenuta risoluzione della convenzione e dall’acquisizione al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insistono le opere edilizie realizzate in forza della citata convenzione, conseguono una serie di effetti che il Comune appellato dovrà aver cura di disciplinare.
Già con la precedente sentenza di questo Consiglio n. 6358/2007 e con quella del Tribunale ordinario di Latina n. 679/2010 sono state delibate o affrontate talune questioni conseguenti all’intervenuta risoluzione.
Inoltre, anche l’indennizzo previsto dalla Convenzione - ancorché non causalmente rapportato al potere di risoluzione, come vorrebbe l’appellante - richiede di essere tempestivamente disciplinato nell’an e nel quantum, ai sensi dell’art. 17, in ossequio ai principi di speditezza dell’attività amministrativa, di buona fede e di leale collaborazione con il privato.
Il che dovrà avvenire anche ex officio, a differenza di quanto ritiene il Comune appellato.
In questa prospettiva il Comune dovrà quindi assumere un ruolo attivo e propositivo, al fine di definire tutti gli effetti conseguenti all’intervenuta risoluzione, ponendo in essere, in tempi brevi, i relativi adempimenti.
L’appello va quindi respinto, nei sensi di cui in motivazione .”
5 La società FLAVIA ’82, richiamate le vicende esposte, il 27 gennaio 2015 proponeva contro il comune il presente ricorso per l’ottemperanza del giudicato, dolendosi che nemmeno dopo la pubblicazione della sentenza della Sezione n. 1950/2014 e la successiva diffida notificata in data 10 settembre 2014 l’Amministrazione avesse assunto iniziative tese a definire gli effetti della risoluzione della convenzione.
In particolare, la società domandava che tanto avvenisse sotto due aspetti:
- la corresponsione dell’indennizzo, con interessi e rivalutazione monetaria dalla data della risoluzione della convenzione;
- l’esclusione dell’effetto risolutorio rispetto agli immobili nelle more venduti da essa ricorrente, rispettivamente, con rogito del 23 dicembre 2003 al comune di Roma, e con rogito del 22 aprile 2005 alla Sardaleasing.
In via subordinata, la società deduceva che il proprio ricorso dovesse intendersi esperito ai sensi del comma 5 dell’art. 112 C.P.A., ossia al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità della debita ottemperanza del giudicato.
Infine essa instava, in forza della previsione dell’art. 114, comma 4, lett. e), del Codice, affinché venisse fissata in ogni caso la somma di danaro dovuta dal comune per l’ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato.
6 Si costituiva in giudizio in resistenza a tali domande il comune di Aprilia, che deduceva che il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile, e comunque rigettato nel merito in quanto infondato.
Segnatamente, il comune eccepiva una violazione del principio del ne bis in idem , adducendo che la controparte sin dal 2011, con citazione notificata il relativo 15 febbraio, aveva adìto il Tribunale civile di Latina instaurando un apposito giudizio, tuttora pendente, per conseguire il suddetto indennizzo.
La società replicava alle deduzioni del Comune con una successiva memoria, con la quale insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Alla Camera di consiglio del 13 ottobre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione, dopo essere stato dato avviso alla ricorrente, ai sensi dell’art. 73, comma 3, C.P.A., della rilevabilità d’ufficio della questione della carenza di giudicato sul dictum giudiziale da essa in questa sede azionato.
7 Il ricorso è inammissibile per l’assorbente ragione appena enunciata, il cui esame ha precedenza logica su quello delle eccezioni sollevate dal comune.
8 La Sezione deve preliminarmente ricordare che il giudicato si forma in relazione ai motivi di gravame e non anche alle affermazioni ulteriori eventualmente contenute nella sentenza, in quanto l’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della decisione stessa deve considerarsi un obiter dictum .
Di conseguenza, sono inidonee a passare in giudicato, oltre alle enunciazioni narrative che, non essendo state poi utilizzate ai fini della decisione, sono rimaste estranee al suo percorso argomentativo, anche le osservazioni svolte dal giudicante senza essere funzionali alla decisione (appunto, i c.d. obiter dicta ), ossia le enunciazioni della sentenza prive di relazione causale con il decisum identificato dai motivi a base della specifica domanda giudiziale (cfr. nei termini esposti C.d.S. IV, 11 settembre 2001, n. 4744;VI, 19 gennaio 2012, n. 206;2 maggio 2012, n. 2517;Cass. Civ., II, 31 agosto 2005, n. 17568;8 febbraio 2012, n. 1815).
9 Ciò posto, dalla narrativa che precede è già emerso come la società in epigrafe nel pregresso giudizio di cognizione avesse contestato la legittimità dell’ordinanza di acquisizione, da essa allora impugnata, sotto il profilo che con il medesimo provvedimento il comune avrebbe dovuto anche regolamentare gli effetti risolutori della convenzione, escludendo quindi dall’effetto risolutivo gli immobili venduti a terzi il cui acquisto fosse opponibile all’Amministrazione, e altresì liquidando in favore di essa ricorrente l’indennizzo previsto dalla convenzione.
La Sezione ha giudicato tuttavia infondata tale censura, propendendo per l’automaticità delle conseguenze giuridiche connesse alla risoluzione e soggiungendo, in particolare, che l’indennizzo previsto dalla convenzione costituiva solo un posterius rispetto alla risoluzione stessa, e non integrava una condizione per l’acquisizione.
Vale sottolineare, inoltre, che la società non si era doluta, nell’occasione, della mancanza, di per sé considerata, di una regolamentazione comunale dei temi anzidetti, censurando perciò in assoluto la relativa inerzia dell’Amministrazione, bensì aveva sollevato la relativa problematica solo quale mezzo allo scopo di ottenere l’invalidazione dell’acquisizione impugnata.
Tanto premesso, è indubbiamente vero che la Sezione, dopo aver respinto la detta censura di legittimità, con un successivo passaggio della propria sentenza ha osservato che l’Amministrazione era, nondimeno, pur sempre tenuta, in omaggio ai canoni di buona fede e leale collaborazione con il privato, a farsi carico di una sollecita disciplina (“ nell’an e nel quantum ”) del tema dell’indennizzo, e, più ampiamente, della definizione di tutti gli effetti conseguenti alla risoluzione.
Quanto già esposto rende sufficientemente chiaro, però, che quest’ultima osservazione non è stata fatta nello scrutinio di uno specifico motivo di ricorso (atteso che quello dedotto in proposito dalla parte era stato appena respinto), e quindi nella disamina dello stretto thema decidendum , bensì è stata formulata nella diversa funzione, anch’essa tradizionalmente ricoperta dal Giudice amministrativo, di indirizzo della parte pubblica del giudizio verso obiettivi di buona amministrazione e certezza delle situazioni giuridiche.
Le considerazioni del precedente paragrafo comportano, pertanto, che il relativo dictum , qui azionato, attesa la sua peculiare funzione, non fosse suscettibile di passare in giudicato.
10 Per le ragioni esposte il presente ricorso in ottemperanza deve dunque essere dichiarato inammissibile, stante la carenza del suo logico presupposto.
Una considerazione doverosamente complessiva della vicenda in cui il giudizio s’innesta impone, tuttavia, un’equitativa compensazione delle spese processuali.