Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-28, n. 202106538
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Pubblicato il 28/09/2021
N. 06538/2021REG.PROV.COLL.
N. 05848/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5848 del 2014, proposto dalla
San Giulio S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avv.ti F P V e P F V e con domicilio eletto presso il dr. Marco Gardin, in Roma, via L. Mantegazza, n. 24
contro
Comune di Ivrea, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti F D A C e G P e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Tagliamento, n. 14
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 2/2014 del 3 gennaio 2014, resa tra le parti, nella parte in cui ha respinto la domanda di risarcimento presentata dalla San Giulio S.r.l., con ricorso R.G. n. 975/2001, per i danni conseguenti alla revoca della licenza edilizia rilasciata ad altri soggetti per la costruzione di un edificio residenziale nel Comune di Ivrea e poi volturata alla predetta società.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione e difensiva del Comune di Ivrea (TO), recante contestuale appello incidentale;
Visto l’atto di nomina di nuovo difensore da parte del Comune di Ivrea;
Viste le memorie e le repliche delle parti;
Viste le brevi note d’udienza dell’appellante principale;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;
Visto l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Visto ancora l’art. 6, comma 1, lett. e) , del d.l. 1° aprile 2021, n. 44, convertito con l. 28 maggio 2021, n. 76;
Relatore nell’udienza del giorno 6 luglio 2021 il Cons. Pietro De Berardinis e udito per il Comune di Ivrea l’avv. Anna Casavecchia, in collegamento da remoto in videoconferenza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con l’appello in epigrafe la San Giulio S.r.l. ha impugnato la sentenza del T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 2/2014 del 3 gennaio 2014, chiedendone la riforma.
La società appellante principale si lamenta, in particolare, del capo di detta sentenza che ha respinto la sua domanda di condanna al risarcimento dei danni che le sarebbero derivati dal provvedimento del Sindaco di Ivrea (TO) di revoca della concessione edilizia n. 2141/1974 (annullato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 680/96 del 6 giugno 1996) e dalle successive varianti al P.R.G. del Comune di Ivrea (a loro volta oggetto di distinte impugnative) che hanno dichiarato l’inedificabilità dei terreni oggetto della succitata concessione edilizia.
In fatto, in data 7 gennaio 1974 il Sindaco di Ivrea rilasciò ai coniugi F e L la licenza edilizia n. 2141 per la costruzione di un edificio residenziale nel territorio comunale, in strada Sant’Ulderico, su un fondo della superficie complessiva di mq. 8.999. Nel luglio del 1974 la licenza edilizia venne volturata all’impresa di costruzioni San Giulio S.r.l. (“San Giulio”).
Con ordinanza del Sindaco di Ivrea n. 993 del 24 agosto 1978, tuttavia, fu disposta la “revoca” della concessione edilizia. Ciò, in quanto il precedente 21 agosto il tecnico comunale aveva effettuato in loco un sopralluogo, in esito al quale aveva steso una relazione in cui aveva espresso dubbi sul fatto che la situazione riscontrata potesse configurare l’inizio dei lavori.
Il Sindaco desunse dagli elementi indicati nella relazione la manifesta volontà della San Giulio di non costruire pronunciando quella che il T.A.R. Piemonte, adito dalla società per ottenere l’annullamento della predetta ordinanza, configurò come declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori.
Avendo il primo giudice respinto (con sentenza n. 647 del 20 dicembre 1991) il ricorso contro la “revoca” proposto dalla San Giulio, la società interpose appello innanzi al Consiglio di Stato, che, come detto, lo accolse con sentenza della Quinta Sezione n. 680/96, ritenendo che l’ordinanza gravata fosse viziata da difetto di motivazione.
Le successive impugnazioni, da parte della società, delle due varianti al P.R.G. che hanno dichiarato inedificabile il terreno oggetto della concessione edilizia, hanno avuto il seguente esito: l’impugnativa della prima variante è stata dichiarata improcedibile dal T.A.R. Piemonte con sentenza n. 608/1996 del 6 luglio 1996, in ragione proprio della sopravvenienza della seconda variante, che ha sostituito la precedente (ormai abrogata). Il ricorso contro la seconda variante è stato accolto e pertanto la stessa è stata annullata dal T.A.R. Piemonte con sentenza n. 609/1996 di pari data.
Con ricorso rubricato al n. di R.G. 975/2001 la San Giulio ha formulato domanda di risarcimento del danno risentito per effetto sia del provvedimento sindacale di “revoca” della licenza edilizia, sia del successivo vincolo di inedificabilità dell’area, introdotto dalla duplice variante al P.R.G.;con distinto ricorso, rubricato al n. di R.G. 976/2001, la società ha poi chiesto la restituzione delle somme versate per gli oneri di urbanizzazione, con rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Il T.A.R. Piemonte, con la sentenza appellata, dopo avere riunito i due ricorsi, ha respinto il ricorso R.G. n. 975/2001 e, dunque, la domanda di risarcimento del danno ivi contenuta, mentre in ordine al ricorso R.G. n. 976/2001 ha emesso pronuncia di accertamento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1207 c.c., della regolarità dell’offerta reale di pagamento effettuata dal Comune di Ivrea in data 27 giugno 2001.
Per quanto qui interessa, i giudici piemontesi hanno respinto sia la domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima revoca della concessione edilizia, sia la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alle due varianti allo strumento urbanistico.
Nel gravame la San Giulio articola specifiche censure nei confronti della sentenza impugnata, pur non traducendole in formali motivi d’appello. In estrema sintesi (salva la più approfondita disamina infra ), la società incentra le proprie doglianze sul giudicato di annullamento derivante dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 680/96, che il T.A.R., in sede di delibazione della domanda di risarcimento dei danni, non avrebbe considerato adeguatamente, giungendo addirittura per taluni aspetti – lamenta l’appellante – a contrastare le motivazioni e le statuizioni dei giudici di appello.
Si è costituito in giudizio il Comune di Ivrea, depositando comparsa di costituzione e difensiva con contestuale appello incidentale: tramite quest’ultimo, in specie, il Comune ha riproposto l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sollevata in primo grado ma respinta dal T.A.R., ed ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, con particolare riguardo alla seconda variante al P.R.G.;successivamente il Comune ha depositato atto di costituzione in giudizio a mezzo di nuovo difensore.
In vista dell’udienza di discussione della causa le parti hanno depositato memorie, repliche, nonché – l’appellante principale – brevi note d’udienza.
All’udienza del 6 luglio 2021 – tenutasi tramite collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137/2020, convertito con l. n. 176/2020 – il difensore del Comune di Ivrea ha svolto sintetica discussione, quindi la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione l’appello principale proposto dalla San Giulio S.r.l. avverso la sentenza del T.A.R. Piemonte recante reiezione della domanda di risarcimento presentata dalla società per i danni che le sarebbero stati ingiustamente arrecati dal Comune di Ivrea con la “revoca” della concessione edilizia n. 2141/1974 e, successivamente, con l’approvazione di due varianti al P.R.G. che hanno introdotto il vincolo di non edificabilità sul terreno – di proprietà dell’appellante – oggetto della concessione revocata.
Invero, la sentenza appellata ha respinto in via preliminare l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento sollevata dal Comune di Ivrea. Ciò, in quanto – ha osservato il T.A.R. – qualora si fosse ritenuto che il relativo termine quinquennale decorresse dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento emessa dal Consiglio di Stato (n. 680/96), si sarebbe dovuto concludere nel senso della tempestività dell’azione risarcitoria, siccome promossa prima della scadenza del predetto termine: la sentenza in questione, infatti, è stata depositata il 6 giugno 1996, mentre il ricorso risarcitorio risulta notificato in data 31 maggio 2001. Qualora, invece, si fosse ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dalla data del presunto illecito, non si sarebbe comunque potuto negare alla domanda di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo (la “revoca” della concessione edilizia) efficacia interruttiva del suddetto termine, avendo tale domanda dimostrato la volontà del privato di reagire all’azione dell’Amministrazione.
Nondimeno, il primo giudice ha ritenuto il ricorso della San Giulio infondato nel merito, in adesione all’indirizzo per cui il risarcimento non spetta quando il provvedimento sia viziato per ragioni formali o procedimentali, ma sia ineccepibile sul piano sostanziale, di tal ché la P.A. potrà adottare un nuovo atto di uguale contenuto sfavorevole per il privato: in tal caso, infatti, nessuna ingiustizia sostanziale – rilevante a fini risarcitori – è ravvisabile nell’atto viziato.
A questa stregua, osserva la sentenza che nel caso di specie, pur non avendo la concessione edilizia indicato il termine di inizio dei lavori, tale lacuna risultava compensata dalla legge. Infatti, l’ordinanza di “revoca” (e la stessa concessione) risultano emanate nel vigore dell’art. 31 della l. n. 1150/1942, che indicava in un anno il termine di validità della licenza edilizia (termine considerato perentorio dalla giurisprudenza). Vero è che prima della “revoca” era entrata in vigore la l. n. 10/1977, la quale, all’art. 18, aveva fatto salve le licenze edilizie già rilasciate, purché i lavori fossero completati entro quattro anni. Ma tale previsione – è stato precisato dalla giurisprudenza – non ha sanato le eventuali decadenze già verificatesi prima della sua entrata in vigore: decadenza che nella fattispecie all’esame si era verificata, stante l’intervallo pluriennale dal 1974 (anno di rilascio della licenza), a fronte della validità annuale del titolo dettata dall’art. 31 della legge urbanistica. Le opere realizzate, poi, in base agli esiti del sopralluogo svolto in loco dal tecnico comunale (recepiti dall’ordinanza di “revoca”), denotavano – dice il T.A.R. – una situazione di carenza dei presupposti necessari affinché si potesse parlare di inizio dei lavori di costruzione.
Il primo giudice conclude che nel caso esaminato si può ritenere che, una volta emendata dal vizio della motivazione, l’ordinanza di decadenza della concessione edilizia avrebbe potuto essere reiterata legittimamente dall’Amministrazione comunale. Indica, poi, tutta una serie di elementi che portano ad escludere la sussistenza in capo alla P.A. di profili di colpevolezza (ad es., l’esistenza dell’indirizzo secondo cui la decadenza della concessione edilizia è atto dovuto e vincolato, che non necessita di specifica motivazione per la sua adozione).
Da ultimo il T.A.R. ha respinto anche la domanda di risarcimento dei pretesi danni conseguenti alle due varianti al P.R.G.: quanto alla prima variante, infatti, di questa non è mai stata accertata in sede giudiziale l’illegittimità, essendosi il relativo giudizio concluso con la declaratoria di improcedibilità del ricorso. Con riguardo alla seconda variante, poi, la sentenza osserva che la modifica ivi introdotta, volta a rendere inedificabile il terreno de quo , è l’effetto dell’iniziativa della Regione Piemonte, che ha imposto l’inserimento d’ufficio del riferito vincolo d’inedificabilità.
L’ora vista sentenza, oltre ad essere impugnata in via principale dalla San Giulio, ha formato oggetto di appello incidentale proposto dal Comune di Ivrea. Nello specifico, quest’ultimo l’ha gravata nella parte in cui i giudici di prime cure hanno respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa comunale, nonché nella parte in cui non hanno rilevato il difetto di legittimazione passiva del Comune stesso relativamente alla seconda variante al P.R.G. approvata (del 1991), che ha introdotto il vincolo di inedificabilità sul terreno interessato.
Il Collegio, in ossequio ai principi di economia processuale che governano il processo amministrativo (C.d.S., A.P., 27 aprile 2015, n. 5), ritiene nondimeno di poter prescindere dalla disamina dell’appello incidentale, attesa l’infondatezza nel merito dell’appello principale.
Nello specifico, l’appellante principale lamenta, innanzitutto, che i giudici piemontesi non avrebbero colto l’esatta portata del giudicato di cui alla sentenza di questo giudice d’appello n. 680/96.
Tale pronuncia – sostiene la San Giulio – non si sarebbe limitata ad accertare un mero vizio formale del provvedimento di revoca ( rectius : decadenza) della licenza edilizia, ma avrebbe evidenziato che, non contenendo la normativa vigente all’epoca dei fatti alcuna certezza sul termine di inizio dei lavori edilizi e sulla sua identificazione, solamente l’indicazione di detto termine da parte del Sindaco, nel provvedimento di rilascio della licenza edilizia, avrebbe consentito di valutare la tempestività o meno dell’inizio stesso. In difetto, pertanto, di un’espressa indicazione ad opera del Sindaco, lo stato dei lavori e/o del cantiere non avrebbe avuto alcun valore, poiché sarebbe mancato un termine normativo di riferimento, cosicché non sarebbe stato possibile accertare se il termine di inizio dei lavori fosse stato violato: di qui l’illegittimità della “revoca” della licenza edilizia, che tale violazione ha preteso, invece, di riscontrare.
La doglianza non può essere condivisa.
La decisione della Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato n. 680/96 cit., nel riformare la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Ivrea del 24 agosto 1978, recante la “revoca” (riqualificata come decadenza) della licenza edilizia n. 2141/1974, volturata in favore della ricorrente San Giulio. Tale decisione, tuttavia, dopo aver ricordato il quadro normativo vigente all’epoca dei fatti, ha perimetrato l’oggetto dell’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato.
In sintesi, la pronuncia in commento ha ricordato come il quadro normativo di riferimento risultasse costituito: da un lato, dall’art. 31, decimo comma, della l. n. 1150/1942 (come modificato dalla l. n. 765/1967), vigente al tempo del rilascio della licenza n. 2141 cit., che fissava in un anno il termine di validità della licenza edilizia, decorso il quale senza che i lavori fossero iniziati l’interessato avrebbe dovuto chiedere il rinnovo del titolo;dall’altro, dalla l. n. 10/1977, vigente al tempo della “revoca” impugnata, il cui art. 4 prevedeva un nuovo regime dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori e il cui art. 18 dettava una disciplina transitoria per le licenze edilizie rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa l. n. 10/1977, a condizione che i lavori fossero completati entro quattro anni da tale data (termine successivamente prorogato). I giudici d’appello hanno poi osservato come nella licenza n. 2141/1974 non fosse indicato alcun termine di inizio dei lavori.
Fatte queste premesse in punto di normativa applicabile, la sentenza n. 680/96 ha quindi stigmatizzato l’ordinanza di “revoca” della licenza edilizia, perché la stessa ha pronunciato la decadenza del titolo addebitando alla San Giulio la “volontà di non costruire” senza peraltro individuare alcun termine per l’inizio o l’ultimazione dei lavori, sebbene quest’ultimo fosse l’unico elemento – oggettivo – in grado di avvalorare l’elemento soggettivo della pretesa “volontà di non costruire”.
Ed invero – sottolinea la Quinta Sezione – ai fini della decadenza delle licenze (concessioni) edilizie rileva l’elemento oggettivo della violazione del termine, mentre l’elemento soggettivo della volontà o meno di costruire rileva soltanto come criterio di interpretazione delle situazioni dubbie, cioè per stabilire se talune situazioni di fatto possano qualificarsi, in relazione ad una certa data, come inizio dei lavori.
Ma, allora, – conclude la Sezione – poiché nel caso di specie poteva essere dubbio se vi fosse e quale fosse il termine per l’inizio dei lavori, mentre era ancora lontana la scadenza del termine per la loro ultimazione, non era possibile attribuire alcun significato alla semplice asserzione della volontà di non costruire: si trattava, infatti, di un elemento tale da non consentire di individuare la fattispecie normativa, in relazione alla quale si era dato rilievo alla volontà stessa, non consentendo quindi né al privato di difendersi, né al giudice di controllare la conformità a legge del provvedimento. Di qui l’illegittimità dell’impugnata “revoca”, per non essere la motivazione, addotta dall’autorità comunale a supporto della stessa, tale da far individuare il potere esercitato.
Così sintetizzati i limiti oggettivi dell’accertamento contenuto nel giudicato invocato dalla San Giulio, osserva il Collegio che la sentenza del T.A.R. Piemonte oggetto del presente appello, nel respingere la domanda di risarcimento dei danni formulata dalla società, risulta aver fatto corretta applicazione del consolidato indirizzo giurisprudenziale, ai sensi del quale “ l’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, o procedimentali (come il vizio di incompetenza), in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, quale è il risarcimento del danno ” (così C.d.S., Sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534).
Mentre, infatti, l’annullamento dell’atto per vizi sostanziali vincola la P.A. ad attenersi, nella propria successiva attività, alle statuizioni del giudice, quello per vizi formali non elimina, né riduce il potere di essa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio potere in merito alla P.A., con il solo limite del divieto di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, non potendo perciò ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (in termini, oltre a C.d.S., Sez. V, n. 2534/2020, cit., cfr., tra le tante, Sez. V, 22 novembre 2019, n. 7977, 11 marzo 2019, n. 1610, e 14 dicembre 2018, n. 7054;Sez. III, 17 giugno 2019, n. 4097;Sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 825).
Allorché, infatti, un provvedimento venga annullato per vizi che consentono il riesercizio del potere, se l’atto viene reiterato per ragioni diverse dal precedente, il sopravvenuto provvedimento negativo esclude, allo stato, la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento in sede giurisdizionale anche del secondo provvedimento (C.d.S., A.P., 3 dicembre 2008, n. 13).
Infatti “ per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto;ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico ” (così C.d.S., Sez. V, n. 2534/2020, cit.;in termini Sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3392).
Tale insegnamento (di norma riferito alle domande di risarcimento dei danni conseguenti alla lesione degli interessi legittimi pretensivi) è applicabile anche alla fattispecie ora in esame, avente ad oggetto la tutela risarcitoria di un interesse oppositivo, come il primo giudice ha pregevolmente argomentato in apposito passaggio della sentenza appellata (v. paragg.