Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-07-08, n. 202004380
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Pubblicato il 08/07/2020
N. 04380/2020REG.PROV.COLL.
N. 00025/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 25 del 2020, proposto da
V B, rappresentato e difeso dall'avvocato A R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Talladira in Roma, via Buccari 11;
contro
Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 12 agosto 2019, n. 10508, redatta in forma semplificata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020 il Cons. D S e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 25 del 2020, V B propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 12 agosto 2019, n. 10508, redatta in forma semplificata con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca per l'annullamento
- della nota n. 5636 del 02.04.2019 a firma del Direttore Generale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca con cui il ministero rumeno avrebbe affermato che” l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, può rilasciato al richiedente, solo nel caso in cui quest’ultimo ha conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore/post secondaria sia studi universitari”.
I fatti di causa possono essere così riassunti.
Con l’atto introduttivo del giudizio la parte ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento in epigrafe indicato in forza del quale l’amministrazione ha negato il riconoscimento in Italia dei titoli abilitativi conseguiti in Romania dall’attuale appellante.
Il primo giudice richiamava alcuni propri precedenti (dati con sentenze: 11 luglio 2019 n. 9210;17 luglio 2019 n. 9485;18 luglio 2019 n. 9532), che avevano rigettato la pretesa delle parti ricorrenti e, attenendosi a detto precedente conforme ai sensi dell’art. 74 c.p.a., respingeva la pretesa.
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 6 febbraio 2020, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 6 febbraio 2020 n. 541.
Alla pubblica udienza del 2 luglio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
2. - In via preliminare, occorre evidenziare che il presente contenzioso, esponente seriale di una vicenda che accomuna una pluralità di interessati, agisce fondamentale contro due diversi atti dell’amministrazione.
In primo luogo, viene gravata la nota n. 5636 del 2 aprile 2019 a firma del Direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in relazione ai titoli denominati “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II” conseguiti da cittadini italiani in Romania. Nella detta nota si afferma che i titoli così acquisiti non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, e si precisa che detta lettura è conseguente alla posizione espressa dal corrispondente ministero rumeno che ha affermato che “l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, può rilasciato al richiedente, solo nel caso in cui quest’ultimo ha conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore/post secondaria sia studi universitari”.
In secondo luogo, viene impugnato, in relazione ad ogni singolo ricorrente in prime cure, il provvedimento individuale dove, facendo applicazione della suddetta nota n. 5636, viene respinta l’istanza dell’interessato, impedendogli conseguentemente la partecipazione alle procedure selettive di interesse.
3. - In relazione al primo degli atti appena citati, che ha un contenuto complesso, comprendente i profili di riconoscimento del titolo sia ai fini dell’abilitazione all’insegnamento che ai fini del sostegno, questa Sezione ha avuto già modo di esprimersi, con sentenze nn. 1198, 1521 e 1522 del 2020, dove si è già rimarcato il corto circuito logico derivante dalla impostazione seguita dal Ministero che, accedendo alla posizione valevole per lo stato romeno, dove ben può escludersi la rilevanza della formazione in Italia ai fini dell’abilitazione all’insegnamento in quella nazione, fondamentalmente si finiva per escludere la rilevanza delle lauree italiane nell’ambito del territorio nazionale.
Con le citate sentenze, pertanto, rimarcata l’erroneità della mera trasposizione, in ambito nazionale, di osservazioni valevoli unicamente per lo stato estero, si è al contrario individuato il corretto percorso argomentativo da seguire, imponendo al Ministero di procedere “alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (così, Cons. Stato, VI, 17 febbraio 2020 n. 1198).
4. - Nella stesse linea argomentativa della citata sentenza (e delle altre che si sono allineate all’orientamento, ora recepito anche dal giudice di prime cure), anche nel caso in esame, possono essere ripetute le osservazioni fatte proprie da questa Sezione evocate come precedenti, che hanno osservato come l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a., quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell'equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall'università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l'insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l'esperienza professionale pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (CGUE, II, 6 ottobre 2015, n.298).
In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (CGUE, III , 6 dicembre 2018 , n. 675).
In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”
Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, i presupposti per il contestato diniego non possono fondarsi sull’automatismo indicato dal Ministero che dovrà invece pronunciarsi in termini concreti, tramite la verifica della formazione conseguita, come sopra ricordato.
5. - L’appello va quindi accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisa.