Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-04-07, n. 202303587

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-04-07, n. 202303587
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303587
Data del deposito : 7 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/04/2023

N. 03587/2023REG.PROV.COLL.

N. 02819/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2819 del 2017, proposto dalla signora A F, rappresentata e difesa dall’avvocato E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio del dottor A P in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato D C in Roma, via Nizza, n. 53;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. II, 28 dicembre 2016 n. 1425, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari e i documenti prodotti;

Esaminate le memorie e gli ulteriori documenti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 9 marzo 2023 il Cons. S T e uditi, per le parti, gli avvocati gli avvocati Gaia Stivali, in sostituzione dell'avvocato E B e Fabio Caiaffa, in sostituzione dell'avvocato A F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello n. R.g. 2819/2017 la signora A F ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. II, 28 dicembre 2016 n. 1425, con la quale sono stati respinti il ricorso introduttivo (n. R.g. 324/2009) e quello recante motivi aggiunti proposti dalla predetta al fine di ottenere l’annullamento dei seguenti atti e/o provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) il provvedimento del Comune di Bari, Ripartizione urbanistica ed edilizia privata del 20 ottobre 2008, prot. n. 267736, recante il diniego del permesso di costruire in sanatoria (nonché per l'accertamento dell'obbligo del Comune di Bari di rilasciare il permesso di costruire in sanatoria);
b) l'ordinanza di demolizione del Comune di Bari prot. n. 80/2014.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- la signora A F è proprietaria di una villa su due livelli sita in Bari e ricadente in zona di completamento B5, secondo le previsioni delle norme tecniche di attuazione del P.R.G del predetto comune;

- detta proprietà confina, nella parte retrostante, con un terreno tipizzato dall’art. 27 delle NTA del PRG del Comune di Bari ad “ area di rispetto ai principali assi di comunicazione stradale e ferroviaria contermini a viabilità di PRG e viabilità di PRG ”, di proprietà della società NADIR S.r.l. (una società a conduzione familiare della quale fanno parte il coniuge della signora F e i due figli) e condotto in locazione dalla stessa signora F, che peraltro detiene una quota di partecipazione in detta società pari al 20% del capitale;

- la signora F, nel tempo, ha realizzato un ampliamento della propria villa (composto di due vani e un bagno) nella proprietà della società Nadir, anche al fine di organizzare una migliore accoglienza per le due persone disabili che con lei convivono;

- in seguito ad un sopralluogo della Polizia edilizia in data 27 agosto 2007, veniva accertato che le opere di cui sopra erano state eseguite in assenza del prescritto permesso di costruire di talché, con provvedimento prot. n. 112110 del 22 aprile 2008, era disposta la demolizione dell’opera realizzata;

- con istanza depositata il 12 giugno 2008 la signora F ha chiesto al Comune di Bari il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riferimento alle suddette opere, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia 23 novembre 2005, n. 16 (recante “Deroghe alle volumetrie edilizie previste dagli indici di zona degli strumenti urbanistici generali in favore dei portori di handicap grave”);

- il Comune di Bari trasmetteva alla richiedente, con nota del 14 luglio 2008, prot. n. 187179 – un preavviso di diniego, indicando quale unico motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza la circostanza che la consistenza dell’immobile realizzato era superiore a quella prevista dall’art. 1 della legge regionale n. 16/2005, ai sensi del quale sono consentiti interventi di ampliamento della volumetria nella misura massima di 120 mc e una superficie massima di 45 mq.;

- a quel punto la signora F presentava un elaborato progettuale allo scopo di dimostrare che l’intervento edilizio in questione meritava il rilascio del titolo in sanatoria in quanto rispettoso delle prescrizioni contenute nella legge regionale n. 16/2005, ma il Comune di Bari, con provvedimento del 20 ottobre 2008, prot. n. 267736, (ad avviso della odierna appellante) anche sulla scorta di motivazioni differenti rispetto a quella indicata nel preavviso di rigetto, ha definitivamente respinto la richiesta di rilascio del titolo edilizio in sanatoria sul presupposto che “ la documentazione proposta per il riesame della pratica non risulta sufficiente per l’applicabilità della Legge Regionale n. 16 del 23.11.2005 Deroghe alle volumetrie edilizie previste dagli indici di zona degli strumenti urbanistici generali in favore dei portatori di handicap grave ”.

3. – La signora A F ha impugnato detto provvedimento sfavorevole dinanzi al TAR per la Puglia, sostenendone la illegittimità per plurime ragioni. Nel contempo la ricorrente chiedeva che venisse accertato l’obbligo del comune a rilasciare il titolo edilizio in sanatoria.

Nelle more dello svolgimento del processo di primo grado il Comune di Bari disponeva la demolizione dell’opera abusiva con ordinanza n. 80/2014 e anche tale provvedimento era oggetto di impugnazione con ricorso recante motivi aggiunti.

Il TAR per la Puglia, con la sentenza 28 dicembre 2016 n. 1425, ha respinto sia il ricorso introduttivo che quello recante motivi aggiunti, in quanto:

- non va ritenuta rilevante la circostanza collegata alla differenza tra le motivazioni indicate dal comune alla base del preavviso di rigetto e quelle che sorreggono il definitivo provvedimento di diniego, in quanto il preavviso neppure avrebbe dovuto obbligatoriamente essere comunicato alla parte interessata, posto che l’esame della richiesta di rilascio di un titolo edilizio in sanatoria va ricondotto nell’alveo dell’esercizio del potere vincolato di una pubblica amministrazione, rispetto al quale le esigenze partecipative sono ordinariamente affievolite;

- la nuova relazione tecnica, prodotta in giudizio dalla ricorrente che, secondo la prospettazione di quest’ultima, attesterebbe l’impossibilità per le persone disabili ospitate dalla ricorrente, di fruire dei locali e dei servizi interni alla villa, trattandosi di un documento mai entrato a far parte degli atti del procedimento non può assumere rilievo al fine di valutare la legittimità dell’azione amministrativa;

- la ricorrente, in qualità di conduttrice del suolo, non aveva titolo ad edificare e quindi non aveva neppure titolo a presentare la domanda di accertamento di conformità, perché nello schema tipico della locazione il proprietario concede solo il godimento del bene, né la stessa ha provato di averne l’autorizzazione.

4. – La signora A F ha quindi proposto ricorso in appello nei confronti della sentenza n. 1425/2016 del giudice di primo grado, proponendo due complesse traiettorie contestative che possono sintetizzarsi come segue:

I) Motivazione insufficiente ed erronea. errore e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Error in procedendo . Violazione del principio di cooperazione procedimentale ex lege n. 241/1990. Violazione per falsa applicazione degli artt. 11, 36 e 79 T.U. n. 380/2001. L’appellante ricorda che i due provvedimenti impugnati in primo grado presentano entrambi i seguenti tre elementi di motivazione: “ a) manca la relazione a firma di un progettista abilitato, accompagnata da idonea rappresentazione grafica dello stato di fatto, che attesti l’impossibilità tecnica di reperire spazi adeguati nell’abito dell’edificio principale (L.R. n. 16 del 23.11.2005, art. 2 comma b);
b) la richiesta non è avanzata dal proprietario dell’immobile principale;
c) l’intervento non può inquadrarsi nel rispetto della normativa vigente (L.R. n. 16 del 23.11.2005, art. 2 comma c), in quanto contrasta con l’art. 27 delle N.T.A. del vigente Piano Regolatore Generale, area di rispetto stradale
” (così, testualmente, a pag. 8 dell’atto di appello). L’appellante ricorda inoltre che, con riferimento ai suddetti tre motivi di sostegno dei due provvedimenti, per come impugnati con altrettanti motivi di censura dedotti in primo grado, il TAR ha ritenuto sussistente la legittimità delle prime due ragioni che giustificano sia l’atto di diniego di sanatoria sia l’atto di demolizione, non entrando nel merito in ordine alla terza questione e, quindi, dichiarando assorbita la terza doglianza. La posizione assunta dal giudice di primo grado, ad avviso dell’appellante, è errata in quanto a) deve ritenersi “ illegittimo il diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria di opere edilizie abusive motivato con esclusivo riferimento all'incompletezza della documentazione depositata dall'istante, trattandosi di circostanza che può legittimare solo una richiesta di integrazione documentale da parte dell'autorità competente a pronunciare sulla domanda ” (così, testualmente, a pag. 9 dell’atto di appello);
b) sempre nello stesso percorso contestativo l’appellante ricorda che con il preavviso di diniego le era stato opposto “solo” il mancato rispetto della superficie e della volumetria massima consentite per gli interventi previsti ai sensi della legge regionale n. 16/2005 e non anche, come avrebbe dovuto avvenire nel rispetto del principio della adeguata collaborazione procedimentale, l’inidoneità della rappresentazione grafica e della documentazione poste a corredo della richiesta di sanatoria;
c) d’altronde il giudice di primo grado non ha colto che le planimetrie dello stato dei luoghi e la documentazione fotografica costituivano parte integrante della relazione depositata con la richiesta di sanatoria e che dal suo contenuto “ si evince chiaramente la presenza di superfici a più livelli collegate da gradini, presenti anche nei servizi igienici (di difficile accesso per un soggetto con ridotte capacità di deambulazione), oltre ad una scala di collegamento tra i vari livelli della villa che non consente l’inserimento di servo scala o attrezzature analoghe ” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello);
d) sotto altro versante l’appellante ricorda che la sua posizione di soggetto legittimato a chiedere la sanatoria discendeva dalla duplice circostanza di essere proprietaria dell’immobile principale rispetto al quale l’ampliamento era funzionale e di essere la conduttrice del suolo oggetto in cui è stata effettuata l’edificazione nonché la promissaria acquirente (in ragione dell’accordo preliminare di acquisto stipulato con la società proprietaria in data 30 aprile 2011 e depositato in giudizio con il ricorso recante motivi aggiunti);

II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 l.r. Puglia 23 novembre 2005, n. 16. Violazione e falsa applicazione dell’art. 28 d.P.R. 495/1992, Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di attività istruttoria. Non è corretta poi la indicazione recata nei provvedimenti impugnati in primo grado secondo la quale l’intervento edilizio non sarebbe assentibile per contrasto con l’art 27 delle N.T.A. del vigente Piano regolatore generale del Comune di Bari perché ricadente su un’area di rispetto stradale. Sul punto il giudice di primo grado non si è espresso, nonostante sia stata posta in luce l’erroneità di tale affermazione con uno specifico motivo di ricorso, avendo ritenuto di assorbire la questione stante la infondatezza dei primi due motivi di ricorso e la conseguente superfluità dello scrutinio relativo alla terza doglianza. Di conseguenza la parte appellante ripropone i motivi di ricorso già dedotti in primo grado per l’esame da parte del giudice di secondo grado, nel caso in cui dovesse ritenere fondate le suesposte censure (tenuto conto che il PRG del Comune di Bari è stato approvato in epoca antecedente rispetto all’entrata in vigore del Codice della strada che ha travolto l’impostazione sulle distanze dalle sedi viarie recata dallo strumento urbanistico comunale che non è stato mai adeguato).

5. - Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di Bari contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione del mezzo di gravame proposto.

Nel corso del processo le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti confermando le conclusioni precedentemente rassegnate negli atti processuali depositati.

6. – I motivi di appello dedotti non si prestano ad un favorevole accoglimento da parte del giudice di secondo grado in ragione di quanto appresso verrà illustrato.

Come ha ricordato la parte appellante nell’atto introduttivo del presente giudizio di secondo grado e per come si legge chiaramente nel provvedimento di diniego adottato dal Comune di Bari con determina 20 ottobre 2008 n. prot. 267736, la reiezione della domanda di sanatoria è collegata a tre motivi ostativi:

a) manca la relazione a firma di un progettista abilitato, accompagnata da idonea rappresentazione grafica dello stato di fatto, che attesti l’impossibilità tecnica di reperire spazi adeguati nell’abito dell’edificio principale (L.R. n. 16 del 23.11.2005, art. 2 comma b);

b) la richiesta non è avanzata dal proprietario dell’immobile principale;

c) l’intervento non può inquadrarsi nel rispetto della normativa vigente (l.r. Puglia 23 novembre 2005, n. 16, art. 2 comma c), in quanto contrasta con l’art. 27 delle N.T.A. del vigente Piano regolatore generale, area di rispetto stradale.

Per come ha condivisibilmente chiarito il giudice di primo grado, dalla lettura della documentazione prodotta in giudizio emerge che alla domanda di accertamento di conformità è stata allegata una relazione nella quale, tuttavia, non erano fornite indicazioni tecniche idonee a dimostrare l’impossibilità di reperire adeguati spazi nell’ambito dell’edificio principale che potessero essere adeguati alle specifiche esigenze delle due persone disabili che abitano con la signora F.

Tale deficit documentale, evidentemente, ha compromesso la possibilità dell’ufficio di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della normativa settoriale e per disporre la sanatoria delle opere realizzate senza titolo. La circostanza che gli uffici comunali avrebbero potuto disporre la integrazione nel corso del procedimento di tale carenza documentale, non avrebbe potuto evitare la reiezione dell’istanza per gli ulteriori motivi descritti nel provvedimento di diniego e non costituisce quindi, isolatamente, una ragione di illegittimità del provvedimento impugnato.

Né, peraltro, può contestarsi all’amministrazione di avere adottato un provvedimento di diniego illegittimo sol perché il preavviso di diniego non recava tutti i motivi impeditivi all’accoglimento dell’istanza, che poi sono stati espressi nel definitivo provvedimento di diniego. Sul punto è opportuno segnalare che solo dopo il 2020 il legislatore ha ritenuto di introdurre, quale vizio del provvedimento amministrativo, la mancata coincidenza tra i motivi indicati alla parte interessata con il preavviso di diniego e quelli che sorreggono il provvedimento finale sfavorevole (si veda sul punto il nuovo ultimo periodo dell’art. 21- octies , comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241 che oggi così recita, “ La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis ”, introdotto dall'art. 12, comma 1, lett. i), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120), sicché:

- all’epoca dei fatti l’art. 21- octies , comma 2, sopra citato, non recava la specificazione introdotta nel 2020;

- l’esercizio del potere vincolato che, come è noto, caratterizza il procedimento di accertamento di conformità giustifica, per costante giurisprudenza, una evidente riduzione degli strumenti partecipativi, escludendo addirittura che sia necessario comunicare il preavviso di diniego.

Infatti, come è noto:

- l'obbligo di valutazione delle memorie presentate dai privati durante il procedimento non comporta un onere di analitica contestazione da parte della pubblica amministrazione poiché “ Il dovere della p.a. di esaminare le memorie prodotte dall'interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento o del preavviso di rigetto da essa inviati non comporta la confutazione analitica delle allegazioni presentate dall'interessato, essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, e la doverosa valutazione degli apporti infraprocedimentali risente della natura degli stessi;
ciò in quanto l'onere valutativo è maggiormente penetrante con riferimento alla prospettazione da parte del privato di elementi fattuali, mentre è attenuato, se non quasi inesistente, allorché le deduzioni del privato contengano valutazioni giuridiche, laddove è sufficiente che l'Amministrazione ribadisca il proprio intendimento, anche alla luce delle tesi
” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2017 n. 873);

- in ogni caso, la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, anche di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa domanda. Ciò anche in applicazione dell'art. 21- octies , comma 2, primo periodo, l. 241/1990, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l'amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati (cfr. tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 5 luglio 2022 n. 5590).

7. – Sul tema della mancanza di legittimazione in capo alla signora A F a chiedere il rilascio del titolo in sanatoria delle opere abusive realizzate in quanto conduttrice del fondo ove le stesse insistono, il Collegio non condivide la posizione assunta dal giudice di primo grado.

Infatti, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel caso in cui sono stati eseguiti interventi edilizi senza la prescritta autorizzazione, l'amministrazione ingiunge “al proprietario e al responsabile dell'abuso” la demolizione dell'opera eseguita. Nondimeno la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che nella nozione di “responsabile dell'abuso” rientri non solo chi ha posto in essere materialmente la violazione contestata ma anche chi ha la disponibilità dell'immobile e che, pertanto, “ quale detentore e utilizzatore, deve provvedere alla demolizione restaurando così l'ordine violato ” (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VII, 27 aprile 2022 n. 3345).

Ne consegue che:

- la categoria dei legittimati a richiedere la sanatoria di un abuso edilizio è più ampia rispetto a quella di coloro legittimati a chiedere il rilascio di un titolo abilitante alla realizzazione di un intervento edilizio;

- infatti, l'art. 11, comma 1, d.P.R. 380/2001 stabilisce che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”;

- quanto poi alla sanatoria di un abuso edilizio il successivo art. 36 del medesimo Testo unico prevede che l'accertamento di conformità - da rapportare sia al momento di realizzazione delle opere che a quello di presentazione della domanda - possa essere richiesto dal “responsabile dell'abuso” o da “l'attuale proprietario dell'immobile” (e così anche per il c.d. condono edilizio);

- ciò vuol significare che tutti coloro che giuridicamente sono considerati responsabili dell'abuso, come possono richiedere la sanatoria dello stesso sono legittimati passivi dell'esercizio del potere repressivo sanzionatorio di competenza comunale.

Da ciò consegue che il sintagma “responsabile dell'abuso”, contenuto in numerose norme del d.P.R. 380/2001 è riferibile a più categorie di soggetti (persone fisiche o giuridiche), per tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell'emissione della misura repressiva, ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell'area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi - oltre che dei proprietari - nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi (cfr. anche, per il principio, mai più messo in discussione, Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614 e Cons. giust. amm. Sic. 29 luglio 1992 n. 229 nonché, più recentemente, Sez. VI, 31 dicembre 2018 n. 7305).

La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova d’altra parte giustificazione nella possibilità di accordare al predetto responsabile - ove coincidente con l'esecutore materiale delle opere abusive ovvero detentore o utilizzatore delle stesse - uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell'illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2015 n. 4176).

8. – Quanto sopra non è però utile alla odierna parte appellante al fine di ottenere la riforma della sentenza di primo grado, dal momento che essendo stati impugnati provvedimenti plurimotivati si è accertata la piena coerenza e legittimità di alcune delle motivazioni che quel provvedimento sorreggono.

A fronte di un atto plurimotivato, infatti, è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell'intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giudiziale (cfr. anche, più recentemente, Cons. Stato, Sez. VI, 21 aprile 2022 n. 3026).

Non a caso anche il motivo non scrutinato e dichiarato assorbito dal TAR con riferimento all’obbligo di osservare la fascia di rispetto stradale prevista dall’art. 25 delle NTA al PRG (secondo il quale “ le aree di rispetto sono quelle poste a protezione delle principali vie di comunicazione, delle attrezzature, dei servizi, delle zone a destinazione speciale, escluso quelle cimiteriali, per le quali siano previste delle distanze minime ”) e riproposto nella sede di appello non può ritenersi fondato.

Infatti nel corso del giudizio di primo grado è stata disposta verificazione nel corso della quale è stato chiarito che l’area si trova all’interno del centro abitato del Comune di Bari

Orbene, costituisce un principio pacifico nella giurisprudenza quello secondo cui le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal Codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2000 n. 5620).

Le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall'edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell'impatto ambientale. L'ampiezza di tali fasce, cioè le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal Codice della strada (artt. 16, 17 e 18 d.lgs. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495/1992).

Il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla destinazione impressa a tutela della sicurezza stradale. Proprio perché la destinazione impressa alla fascia di rispetto è finalizzata alla tutela di un interesse, quello della sicurezza della circolazione, e non a regolamentare gli insediamenti su un territorio, è improprio utilizzare la categoria di "zonizzazione".

Conseguentemente, l’art. 28 del Regolamento di attuazione al Codice della strada, nella parte in cui specifica che “ (…) Le distanze dal confine stradale, all'interno dei centri abitati, da rispettare nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi natura o consistenza, lateralmente alle strade, non possono inferiori a: a) m 3 per le strade di tipo A;
b) m 2 per le strade di tipo D.

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