Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-11-30, n. 201206113
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N. 06113/2012REG.PROV.COLL.
N. 03914/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3914 del 2000, proposto da:
Coop Consumatori Nordest società cooperativa, rappresentata e difesa dagli avv. E C e M C, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Panama, 12;
contro
Comune di Parma, rappresentato e difeso dall'avv. F S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Foro Traiano 1/A;
nei confronti di
Esselunga s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. R V, A D E, A R e A R, con domicilio eletto presso lo studio Villata, Degli Esposti e associati, in Roma, via L. Bissolati 76;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA n. 00092/2000, resa tra le parti, concernente d.i.a. per ampliamento locali
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di S.P.A. Esselunga Emilia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Colarizi, Satta e Degli Esposti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda oggetto del presente giudizio trae origine dalla denunzia di inizio attività presentata in data 25 novembre 1996 al Comune di Parma dalla Esselunga Emilia s.p.a. (ora Esselunga s.p.a.) per l’ampliamento da 1600 a 2898 mq di locali adibiti a supermercato alimentare, di cui alla tabella merceologica IA, all’interno del centro commerciale sito in via Emilia est n. 230.
La Coop Consumatori Nordest si era opposta all’intervento, notificando al Comune in data 17 dicembre 1996 una diffida ad assumere i provvedimenti repressivi dell’attività, che tuttavia l’amministrazione intimata non riscontrava, lasciando trascorrere il termine di 60 giorni previsto dall’art.19 della legge n. 241/1990 in allora vigente.
Seguiva l’impugnativa della medesima istante al TAR Emilia Romagna – sez. staccata di Parma, nel quale la ricorrente asseriva che l’ampliamento in questione, non assentibile tramite d.i.a. necessitando di nulla-osta regionale, avrebbe determinato uno sviamento di clientela, stravolgendo la natura dell’esercizio concorrente e creando una saturazione nella zona di strutture commerciali di grandi dimensioni, tale da pregiudicare i propri programmi di investimento e di sviluppo della propria rete commerciale.
Con distinto ricorso la Coop Consumatori impugnava la sopravvenuta nota dirigenziale in data 20 febbraio 1997 del Comune di Parma con la quale, in risposta alla diffida, l’amministrazione esprimeva il proprio avviso di legittimità dell’ampliamento denunciato.
2. Il TAR adito, riuniti i ricorsi, li dichiarava “inammissibili ed infondati”.
La declaratoria di inammissibilità si fondava:
- sul rilievo della mancanza “di un interesse differenziato della ricorrente ad opporsi all’ampliamento di cui trattasi” , in quanto insuscettibile di modificare le condizioni di mercato e le sue iniziative di sviluppo commerciale, visto che la stessa risulta titolare di esercizi commerciali “a distanze ragguardevoli rispetto alla zona ove è situato l’esercizio della S.p.A. Esselunga” .
- sulla natura giuridica della d.i.a. di dichiarazione di volontà del privato immediatamente produttiva di effetti, sebbene suscettibile di essere travolta dall’esercizio di poteri inibitori da parte dell’amministrazione, cosicché non poteva ammettersi un’impugnativa avverso un atto abilitativo tacitamente formatosi, occorrendo invece avvalersi dello strumento della diffida ad inibire l’attività e della successiva impugnativa giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto.
Il giudizio di infondatezza si fondava, quanto al primo ricorso, previo rigetto dell’eccezione di tardività sollevata dalla controinteressata:
- sull’inapplicabilità al modello procedimentale in esame della normativa sopravvenuta alla presentazione della d.i.a., nella specie costituita dall’art.2, 60° comma, della l. n. 662/1996 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”), di modifica dell’art. 24 l.n. 426/1971 (“Disciplina del commercio”), ed invocata dalla ricorrente, secondo cui occorre munirsi di nulla-osta regionale per interventi di ampliamento superiori al 20% della superficie già occupata;
- sulla tesi secondo cui l’assenso regionale era nel caso di specie necessario soltanto in occasione del superamento del limite di mq. 1500 di superficie di vendita, già avvenuto e già autorizzato per l’esercizio commerciale in questione;
- sulla considerazione che l’ampliamento contestato non è suscettibile di snaturare le caratteristiche dell’esercizio, ovverossia di “grande supermercato alimentare”, non essendo stato conseguito l’esercizio della tab. VIII, necessaria perché si possa parlare di integrato alimentare e non alimentare o di ipermercato, nonché sull’assunto che la d.i.a. è utilizzabile per interventi della specie anche da parte di esercizi di vendita di generi di largo consumo;
- sul rilievo che le limitazioni comunali degli accessi viari agli esercizi commerciali non sono applicabili nei confronti degli esercizi commerciali già esistenti ed a fortiori per i loro ampliamenti.
Il secondo ricorso veniva parimenti respinto “stante l’infondatezza del primo” .
3. Con il presente appello la Coop Consumatori Nordest ripropone tutti i motivi dei ricorsi di primo grado, criticando tutte le contrarie statuizioni del TAR, anche in ordine alla condanna alle spese di lite, deducendo che:
- in quanto operatore commerciale radicato nel territorio interessato dall’ampliamento, deve ritenersi sussistente l’interesse ad impugnare i relativi atti di assenso, anche tenuto conto del fatto che il concetto di vicinitas va inteso nella specifica materia in senso più ampio rispetto alla materia dell’edilizia;
- il TAR non si è avveduto che l’impugnativa è stata proposta dopo avere invitato il Comune di Parma ad inibire l’ampliamento denunciato dalla controinteressata, in ossequio dunque agli stessi dettami dallo stesso espressi;
- il Giudice di primo grado ha male interpretato l’art. 19 l.n. 241/1990, atteso che solo con il decorso dei 60 giorni previsti per l’esercizio dei poteri inibitori da parte dell’amministrazione l’atto di assenso può dirsi sostituito dalla d.i.a., per cui è con riguardo alla normativa vigente a questo momento che occorre valutare la legittimità dell’attività oggetto di denuncia;
- il superamento della superficie di mq 2500 determina la qualificazione dell’esercizio commerciale come ipermercato, a prescindere dalla tabella posseduta, donde la necessità di nulla-osta regionale;
- con la d.i.a. non è possibile modificare le caratteristiche dell’esercizio, ancorché di vendita di generi di largo consumo;
- le limitazioni degli accessi viari sono applicabili agli ampliamenti di esercizi già esistenti;
- la liquidazione delle spese di causa è stata uguale per entrambi i ricorsi, benché il secondo fosse contenesse motivi meramente riproduttivi del primo;
- il TAR ha errato nel non dichiarare improcedibile il primo ricorso, in seguito alla nota impugnata con il secondo, nonché nell’estendere la declaratoria di inammissibilità in via derivata a quest’ultimo, visto che la posizione dell’amministrazione sull’ampliamento della controinteressata è stata esplicitata proprio con detta nota.
4. Si sono costituite in resistenza il Comune di Parma e la Esselunga.
5. Quest’ultima, in memoria conclusionale, ha riferito di avere dato corso, in seguito a d.i.a. in data 26 gennaio 2005 prot. 11812, mai impugnata, ad un ulteriore ampliamento dell’esercizio commerciale (raggiungendo così l’attuale superficie di vendita di mq. 3.098), e sostenuto su tale base che l’appello è inammissibile per difetto di interesse.
Sempre in via pregiudiziale, la stessa appellata ribadisce che l’odierna appellante è carente di legittimazione ad agire, non vantando essa alcun interesse qualificato ed indifferenziato ad opporti all’intervento di cui al presente giudizio, tale interesse non potendo ritenersi quello a difendere le proprie iniziative di sviluppo commerciale e margini di profitto, anche nel regime previgente alla svolta liberalizzatrice avviata dal d.lgs. n. 114/1998 ("Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997”) ed ormai definitivamente attuata nel nostro ordinamento in seguito al recepimento della direttiva 2006/123/CE in materia di attività imprenditoriali e professionali e fino ai più recenti interventi legislativi finalizzati al rilancio dell’economia nazionale (d.l. n. 201/2011 ed il d.l. n. 1/2012).
Quindi ripropone l’eccezione di tardività del primo ricorso, assumendo come dies a quo il giorno 25 novembre 1996, di presentazione della d.i.a.
Ribadisce inoltre l’assenza di interesse della Coop in quanto titolare di esercizi commerciali siti a notevole distanza da quello contestato.
6. Anche il Comune di Parma ha eccepito pregiudizialmente la carenza di legittimazione dell’appellante ed ha rimarcato, in memoria di replica, il fatto di avere autorizzato quest’ultima ad aprire un centro commerciale dell’estensione di 6000 mq “proprio di fronte al supermercato Esselunga di via Traversetolo”.
7. Così sintetizzate le posizioni delle parti, può prescindersi dalle sopra riferite eccezioni in quanto l’appello è infondato e la sentenza del TAR va confermata.
Merita in particolare condivisione la statuizione di inammissibilità fondata sull’assenza di prova di un interesse differenziato dell’originaria ricorrente ad opporsi all’ampliamento contestato.
Questo Consiglio ha già affermato che a tal fine non è sufficiente prospettare un pregiudizio perché un interesse di fatto assurga a posizione legittimante un’impugnativa giurisdizionale amministrativa, occorrendo invece fornire sicuri indici di differenziazione e qualificazione di tale interesse. Si richiama in particolare la pronuncia della Sez. IV, 26 novembre 2009, n. 7447, che ha negato la legittimazione a contestare giurisdizionalmente interventi insediativi di strutture commerciali potenzialmente concorrenti, a causa della relativa vicinanza, sulla base del mero vanto di una pretesa a conservare il proprio flusso di clientela.
Nella medesima prospettiva, sebbene in materia di installazione di termovalorizzatori, questa Sezione (con sentenza n. 2460/2012) ha negato che la mera vicinanza con l’impianto legittimi ad impugnarne i relativi atti amministrativi di assenso, “essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa egli riceva nella sua sfera giuridica” .
7.1 Tanto precisato, questo Collegio non può che condividere i principi ora richiamati, occorrendo nondimeno sottolineare che, trattandosi di condizione dell’azione, non è necessario che tale danno fondante la legittimazione ad agire sia concretamente provato nella sua effettiva consistenza, venendo esso in rilievo in chiave meramente potenziale, ma occorre nondimeno che lo stesso venga prospettato in modo non implausibile e suffragato da elementi di prova dotati di apprezzabile significatività, specie a fronte dell’altrui contestazione di tale condizione.
Ebbene, il TAR ha fatto buon governo di tali regole, perché ha colto la genericità della deduzione sul punto alla base della presente impugnativa.
Questo il passaggio motivazione della pronuncia di primo grado che viene in rilievo: “Né sul punto la ricorrente precisa alcunchè nella memoria conclusiva, con la quale si limita a riprodurre principi affermati dalla giurisprudenza in via generale senza peraltro chiarirne l’applicabilità nel caso concreto, e senza contestare le affermazioni della controinteressata svolte nella memoria di costituzione secondo le quali la COOP avrebbe alcuni esercizi commerciali coesistenti a distanze ragguardevoli rispetto alla zona ove è situato l’esercizio della S.p.A. Esselunga, e precisamente a circa 6, 7 o 8 Km. in linea d’area o esercizi commerciali di ampiezza molto più ridotta a distanza di circa 700-1.500 m. di percorso pedonale” .
7.2 A tale statuizione l’appellante obietta che il concetto di vicinitas legittimante l’impugnativa è stato costantemente inteso in materia commerciale, anche dal giudice amministrativo di secondo grado, in termini ampi, in quanto incentrato sulla nozione di bacino d’utenza, che può anche abbracciare strutture distanti anche decine di chilometri.
In contrario, tuttavia, se tale principio è in effetti stato a più riprese affermato, non è sufficiente limitarsi ad invocarlo, poiché, alla luce dei precedenti poc’anzi menzionati, quanto più la distanza è ampia, tanto più puntualmente occorre comprovare il danno lamentato e tale onere di allegazione e prova non è stato soddisfatto dalla Coop Consumatori.
Peraltro, nel caso di specie non va trascurato che l’intervento contestato non è costituito dall’insediamento di una nuova struttura commerciale, ma dal mero ampliamento di una preesistente, cosicché il potenziale pregiudizio ai propri programmi di sviluppo genericamente prospettati dall’odierna appellante è reso ancor più evanescente. Non vi è dunque un nuovo soggetto concorrente, ma un semplice ingrandimento di uno già presente sulla piazza, a fronte del quale occorre fornire una dimostrazione rigorosa delle ricadute negative sulla propria pianificazione commerciale.
7.3 Non sembra poi che il convincimento ora espresso possa essere tacciato come sostanziale svuotamento del diritto di azione, a causa della difficoltà di comprovare in concreto che l’interesse fatto valere è differenziato rispetto a quelli di mero fatto che non consentono l’accesso alla tutela giurisdizionale.
Infatti, essendosi dedotti potenziali pregiudizi alla propria attività di pianificazione dello sviluppo commerciale, l’odierna appellante ben avrebbe potuto comprovare ciò attraverso la produzione in giudizio degli atti in cui tale pianificazione si sostanzia, visto che per fatto notorio essi vengono redatti, specie per imprese di dimensioni quali quelle della medesima appellante, in atti formali degli organi amministrativi.
7.4 Ancora su questo punto, giova richiamare la deduzione in fatto contenuta nella memoria di replica del Comune di Parma circa l’apertura da parte dell’appellante di un centro commerciale di 6000 mq.
Tale deduzione non è stata contestata dalla difesa della Coop Consumatori, cosicché può ritenersi provata. La stessa fornisce quindi una puntuale smentita al pregiudizio alla base della presente impugnativa, perché dimostra come l’ampliamento in contestazione non abbia in realtà leso alcun interesse commerciale dell’appellante.
8. La conseguente statuizione di inammissibilità del ricorso avverso la nota del Comune in data 20 febbraio 1997 è corretta, perché essa discende in via automatica da quella relativa al ricorso avverso la d.i.a. ed il silenzio osservato dal Comune nel termine perentorio di 60 giorni sulla diffida ad esercitare i poteri di controllo ed inibitori, visto che entrambe le impugnative sono accomunate dai medesimi presupposti giuridico-fattuali e tale nota assume sostanza di mera conferma del comportamento inerte tenuto dall’amministrazione sulla d.i.a.
9. Quanto infine alla contestazione avverso la condanna alle spese del giudizio, occorre ricordare che secondo l’incontrastato avviso di questo Consiglio tale statuizione è espressione di un ampio potere valutativo del giudice di primo grado (solo per citare le più recenti pronunce espressive di questo indirizzo, si richiama: sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2842 e sez. III, 17 settembre 2012, n. 4928), per cui il sindacato del giudice d’appello è circoscritto in limiti assai ristretti, ravvisabili essenzialmente in violazioni di legge (come ad esempio nel caso di condanna alle spese a carico della parte vittoriosa) o quando l’ampio potere di apprezzamento spettante al giudice sia affetto da evidente irragionevolezza.
Ora, con riguardo alla condanna in favore dell’amministrazione comunale, risulta dal dispositivo della sentenza del TAR che il patrono di questa ha depositato nota spese per entrambi i giudizi ed il Giudice di primo grado ha disposto in conformità.
Non risulta per contro in alcun modo che la Coop Consumatori abbia contestato il superamento degli importi indicati nelle suddette note spese rispetto ai massimi della tariffa in allora vigente o la loro incongruità in relazione alla natura ed alla complessità della causa, per cui non si vede come possa tacciarsi di evidente arbitrarietà tale statuizione di condanna.
Per quanto riguarda invece la controinteressata, il TAR ha proceduto con apprezzamento equitativo, ma gli importi liquidati per ciascun ricorso, e cioè 10.000.000 di lire, si collocano nella forbice delle note spese presentate dalla difesa comunale (rispettivamente 11.185.000 e 9.455.000 di lire per il ricorso contro il silenzio sulla d.i.a. e per quello avverso la menzionata nota comunale), cosicché anche in questo caso non è ravvisabile una manifesta irragionevolezza della liquidazione operata in sede di pronuncia di primo grado.
10. L’appello va dunque respinto ma le spese di questo grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra tutte la parti in ragione della complessità delle questioni dedotte in giudizio.