Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-11, n. 201304497

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-11, n. 201304497
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304497
Data del deposito : 11 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06696/2012 REG.RIC.

N. 04497/2013REG.PROV.COLL.

N. 06696/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6696 del 2012, proposto da:
Hotel Bucintoro s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. R C e S C, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via di Monte Fiore, 22;

contro

Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. G G, M B e N P, con domicilio eletto presso lo studio del terzo in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione III, 9 agosto 2012, n. 1143, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento della nota del Comune di Venezia 19 aprile 2012, n. 172603 recante diniego di occupazione suolo pubblico in Venezia, Castello, riva di San Biagio 2135/a.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia e del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 26 marzo 2013 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Gattamelata per delega dell’avv.to Cuonzo, l’avv.to Ballarini, l’avv.to Paoletti e l’avv.to dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’oggetto del contendere concerne il diniego opposto il 19 aprile 2012 dal Comune di Venezia – e impugnato dalla società odierna appellante - all’istanza del 10 gennaio 2012 dell’Hotel Bucintoro s.r.l. di occupazione temporanea di suolo pubblico (per una superficie di m. 3,5 x 14) in Venezia, Castello, Riva San Biagio, per il periodo 1° aprile 2012 - 31 ottobre 2012.

Il Comune ha negato la concessione del plateatico a seguito del parere negativo reso il 27 febbraio 2012 e il 7 giugno 2012 dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna in base al quale, dato che “ l’aria in oggetto è situata di fronte al bacino di San Marco in posizione adiacente al Museo storico navale, e rappresenta dunque un ambito urbano di elevato valore dal punto di vista paesaggistico;

considerato che

tali obiettivi di tutela richiedono che ogni singola istanza di modificazione paesaggistica e in particolare di occupazione di suolo pubblico sia valutata con riferimento all’insieme delle trasformazioni, anche potenziali, che incidono sull’ambito, al fine di garantire le esigenze di tutela degli interessi pubblici cui sono per ordinati vincoli che gravano sull’area;
si ritiene l’intervento nel suo complesso non compatibile né conforme alle disposizioni contenute nel d.m. 1° agosto 1985 avente oggetto dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante l’ecosistema della laguna veneziana
”.

2. La sentenza qui impugnata ha motivato il rigetto del ricorso dell’Hotel Bucintoro s.r.l. rilevando che:

Il plateatico è effettivamente proprio di fronte al bacino di San Marco e non è sostenibile che, essendovi altri plateatici autorizzati, ogni richiesta debba essere accolta senza entrare in contraddizione. Tale considerazione equivarrebbe a consentire la trasformazione dell’intero bacino di San Marco in un plateatico commerciale.

È vero che il plateatico in questione è in rapporto di speciale “ vicinitas ” col Museo Storico Navale.

È altresì incontestabile che la zona de qua sia in un ambito urbano di elevato valore paesaggistico e che occorre fare riferimento all’insieme delle trasformazioni, anche potenziali, che incidono nell’ambito, al fine di garantire l’effettività del vincolo ambientale ”.

3. La Hotel Bucintoro s.r.l. ha proposto ricorso in appello deducendo la “ violazione dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione appellata ”.

La stessa società ha riproposto il motivo dedotto in primo grado così epigrafato: “ Violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Illogicità manifesta, contrasto con precedenti manifestazioni di volontà. Difetto di motivazione. Mancata tutela dell’affidamento ”.

4. Il ricorso in appello è infondato.

Il Collegio rileva che i dedotti vizi di violazione dell’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e di eccesso di potere, in particolare per difetto di istruttoria, illogicità, e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza appellata sono senza fondamento, avendo il primo giudice bene e coerentemente esternato le ragioni e il percorso logico della sua decisione, in relazione alla negativa valutazione di compatibilità paesaggistica che è alla base del diniego in esame. Valutazione amministrativa (espressa dalla Soprintendenza prima che dal Comune), che, a sua volta, si fonda su una compiuta ed esatta rilevazione della situazione dei luoghi ed esprime un coerente apprezzamento tecnico-discrezionale, per il quale non si ravvisano i denunciati difetti o incongruenze che lo rendano illegittimo e passibile di negativo sindacato giurisdizionale, considerato anche il sensibilissimo contesto paesisticamente tutelato.

È il caso comunque di rammentare che i beni pubblici – come è il suolo urbano in questione – sono tali perché debbono soddisfare anzitutto interessi della collettività. Con tale funzione di base concorre l’eventuale qualificazione di bene paesaggistico, come nel presente caso dove l’area è stata riconosciuta di notevole interesse pubblico paesaggistico in relazione alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, per effetto del d.m. 1° agosto 1985 ( Dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante l’ecosistema della laguna veneziana ).

Un provvedimento di concessione dell’occupazione temporanea di suolo pubblico a un privato – che ha un automatico effetto restrittivo dell’uso generale dello spazio pubblico, che per essere un bene pubblico va prioritariamente dedicato alla collettività e alla normale utilizzazione di questa, deve essere comunque adeguatamente e congruamente motivato, affinché siano oggettive e chiare le superiori ragioni per cui, in quel particolare caso, l’amministrazione ritenga di sottrarre il bene alla naturale pubblica destinazione e restringerne l’uso alla collettività per concederlo in via privativa, per tempi che comunque debbono essere limitati, all’uso esclusivo ed economicamente redditizio del privato.

A questa doverosa valutazione si aggiunge con priorità – nel senso che la precede, secondo un ordine rispettoso dei principi fondamentali costituzionali - la considerazione, se vi è vincolo, degli interessi pubblici paesaggistici o culturali. Se negativa, questa considerazione è dunque dirimente.

Nel caso di specie, è perciò sufficiente in senso ostativo alla concessione, nella valutazione degli interessi da prendere in considerazione, la stima negativa dal punto di vista paesaggistico, espressa dall’autorità statale con il parere dell’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2044, n. 42). Correttamente dunque, anche indipendentemente dal carattere vincolante di un siffatto parere, decide l’amministrazione comunale quando si conforma – come qui - a un tale giudizio negativo e lo condivide.

La società ricorrente ritiene poi illegittimo per disparità il diniego perché il Comune avrebbe invece concesso l’utilizzazione del suolo pubblico in altri numerosi casi assimilabili a quello su cui si controverte, a muovere dai precedenti a suo proprio favore riguardanti quello stesso sedime. Sicché lamenta il contrasto con quelle altre manifestazioni di volontà e la lesione del suo conseguente affidamento.

Il Collegio però considera che non era di ostacolo alcuno al giudizio negativo in questione e al diniego comunale la circostanza che in passato, e per un complessivo lungo tempo (dal 1992, e da ultimo con l’atto comunale 26 marzo 2010, prot. n. 13361, per il periodo 1° aprile 2010 – 31 ottobre 2010), la concessione del medesimo suolo fosse stata più volte rilasciata dal Comune alla stessa richiedente e al suo dante causa. Trattandosi infatti di concessione temporanea, ogni provvedimento nel tempo è del tutto indipendente dai precedenti e non si genera in capo all’interessato, quasi fosse un’usucapione, alcun diritto né alcun preteso affidamento alla rinnovazione, così come nessun ostacolo vi è a una diversa e meglio ponderata valutazione degli interessi pubblici toccati dall’atto domandato. Ogni concessione, infatti, è indipendente dalle precedenti – non ne è una proroga o un rinnovo - e nulla impedisce all’Amministrazione di così meglio tornare sulle valutazioni prima espresse. Non vale pertanto, da parte della ricorrente, invocare i precedenti rilasci della concessione di occupazione temporanea e la loro diversa valutazione.

In questa prospettiva non è qui necessario valutare, seppur incidentalmente, la legittimità dell’evocato provvedimento comunale di comparazione del 6 marzo 2010 con la sua motivazione della concessione.

Quanto poi ai casi analoghi riguardanti il Bacino di San Marco in prossimità del luogo in questione, e la lamentata disparità di trattamento, la censura non può trovare accoglimento perché in materia paesaggistica la disparità di trattamento di situazioni eguali è vizio assai difficilmente riscontrabile, in quanto è nella realtà delle cose che ciascun nuovo manufatto, o progetto di manufatto, sia normalmente diverso – per quantità di ingombro e altri caratteri estrinseci - da ogni altro già assentito;
e comunque, anche nell’ipotesi di manufatti simili, sempre avviene che il nuovo vada a occupare una porzione fisica di spazio tutelato diverso da quello dell’altro già assentito, e che così naturalmente diversi ne siano l’impatto visivo e prospettico e il rischio di alterazione negativa del contesto protetto. Sicché il giudizio concreto di compatibilità paesaggistica – salvi ben rari e macroscopici casi – è normalmente non comparabile con altri concreti giudizi già operati, quand’anche nelle immediate vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI, 24 ottobre 2008, n. 5267;
cfr. anche Cons. Stato, VI, 13 febbraio 1984, n. 81;
8 agosto 2000, n. 4345).

La ricorrente si duole anche dell’“insufficienza” della vicinitas al Museo storico navale del suolo come parametro legittimo per giustificare il diniego che impugna.

Il giudizio espresso dalla Soprintendenza in ordine all’accertamento dell’ubicazione del luogo per il quale si chiede la concessione (in cui ben rientra la considerazione in questione, che si riferisce ad un’importante emergenza del luogo) è congruo rispetto ai parametri di discrezionalità tecnica cui deve presiedere una valutazione paesaggistica, al fine dell’apprezzamento della non discontinuità tra le componenti del sito protetto, specie se di livello eccezionalmente sensibile come quello veneziano in questione. Le argomentazioni della ricorrente per dimostrare l’erroneità di tale giudizio (accessi ai luoghi da ingressi posti su linee perpendicolari e non contigue) costituiscono considerazioni di mera viabilità, e non paesaggistiche, che non inficiano quella di non compatibilità paesaggistica, perché meramente funzionali e non visive.

Tanto è sufficiente a ritenere la legittimità dell’impugnato provvedimento.

Non vengono qui in rilievo le qualificazioni di bene culturale, cui afferisce l’evocato art. 52 ( Esercizio del commercio in aree di valore culturale ) del Codice dei beni culturali e del paesaggio : non perché siano incongrue (vale rammentare che per l’art. 10, comma 4, lett. g) del Codice , sono beni culturali “le pubbliche piazze, vie, strade e gli altri spazi aperti urbani di interesse storico e artistico” ) ma perché il tipo di tutela di cui qui è stato fatto uso è quello del bene paesaggistico, piuttosto che quello, che pur sarebbe stato congruo, del bene culturale: e l’art. 52 afferisce alla tutela dei beni culturali, non di quelli paesaggistici.

Non si tratta comunque di evocazioni inficianti: è ius receptum che ove l’atto impugnato sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, sono irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso altre ragioni opposte dall’autorità emanante (es. Cons. Stato, VI, 12 ottobre 2012, n. 5272;
12 ottobre 2011, n. 5517).

Il ricorso in appello va dunque respinto.

5. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

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