Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-11-05, n. 201205618

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-11-05, n. 201205618
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201205618
Data del deposito : 5 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01530/2009 REG.RIC.

N. 05618/2012REG.PROV.COLL.

N. 01530/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1530 del 2009, proposto da:
G G, rappresentato e difeso dagli avv. E R, S I, con domicilio eletto presso S I in Roma, via Salaria, 227;
D C, M G, V G, E D G, rappresentati e difesi dagli avv. S I, E R, con domicilio eletto presso S I in Roma, via Salaria, 227;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 01109/2008, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di restitutio in integrum a fini giuridici e retributivi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e udita per gli appellanti l’avvocato S I;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor Gaetano G, dipendente del Ministero delle finanze come ricevitore del lotto, è stato tratto in arresto nel 1978 perché imputato di falso materiale in atto pubblico, commesso da pubblico ufficiale, e quindi definitivamente condannato a un anno e otto mesi di reclusione.

A seguito di ciò, con provvedimento del 30 novembre 1982, è stato destituito dall’impiego a far data dal 29 settembre 1978.

Con istanza del 1° marzo 1993, ha chiesto – ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 – la riammissione in servizio. All’esito del successivo provvedimento disciplinare - al quale è stato sottoposto ai sensi del comma 3 del citato art. 10 - è stato riammesso in servizio con provvedimento del 7 novembre 1994 e gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica per la durata di sei mesi.

In data 28 luglio 1995 ha chiesto il riconoscimento dell’anzianità di servizio e la corresponsione degli emolumenti per tutto il periodo di interruzione del rapporto di impiego.

Con nota del 23 novembre 1995, l’Amministrazione delle finanze ha rigettato l’istanza.

Il ricorso proposto dal signor G contro il diniego è stato respinto dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione II, con sentenza 7 febbraio 2008, n. 1109.

Il signor G ha interposto appello. Essendo egli successivamente deceduto, si sono costituiti in giudizio gli eredi.

L’Amministrazione non si è costituita in giudizio.

All’udienza pubblica del 23 ottobre 2012, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Gli appellanti ricordano che la citata legge n. 19 del 1990 è stata emanata in relazione alla sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 1988, n. 971, con la quale la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 85, lettera a), del decreto del presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (come pure di altre disposizioni di analogo tenore) nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare.

Poiché la cessazione dell’efficacia della norma dichiarata incostituzionale avverrebbe con effetti retroattivi, il provvedimento di destituzione automaticamente comminato al dipendente pubblico sarebbe divenuto affetto di invalidità originaria.

In virtù di tale effetto retroattivo, l’interruzione del rapporto d’impiego del signor G dovrebbe intendersi come esclusivamente imputabile all’atto e al comportamento dell’Amministrazione.

In via subordinata, qualora si ritenesse che la riammissione del dipendente in servizio ai sensi dell’art. 10 della legge n. 19 del 1990 spieghi i propri effetti giuridici ed economici solamente ex nunc, formulano eccezione di illegittimità costituzionale della disposizione richiamata per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, considerando ingiustificata la disparità di trattamento tra gli impiegati pubblici destinatari di sanzioni non destitutorie all’esito di procedimento disciplinare immediato e quelli – come l’originario ricorrente – destinatari di sanzioni analoghe ma postume, in quanto irrogate a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa.

2. Secondo l’art. 10, comma 4, della legge n. 19 del 1990, “il dipendente riammesso è reintegrato nel ruolo, con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio”.

La questione degli effetti di tale reintegrazione non è nuova. A questo proposito, il Collegio, in difetto di significativi argomenti nuovi, ritiene di non avere ragione per discostarsi dalle conclusioni a cui sull’argomento è pervenuto il giudice amministrativo, come pure quello civile.

Il citato art. 10, per il quale tutti i soggetti che fossero stati dichiarati destituiti di diritto e per i quali le situazioni dovevano essere considerate definitive, potevano richiedere la riammissione in servizio, previo esperimento di un procedimento disciplinare che non si concludesse con la destituzione, è una norma di favore nei confronti dei soggetti già destituiti di diritto, tendente, nonostante la loro posizione fosse ormai factum praeteritum, a permettere agli stessi, qualora lo avessero voluto, di rientrare nei ruoli dell'Amministrazione.

Al dipendente reintegrato, peraltro, non spetta la integrale ricostruzione ex tunc della carriera, ma la reintegrazione nel ruolo “con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio”, conformemente alla lettera della disposizione, la quale è espressione di una rilevante esigenza di pubblico interesse alla concreta e rapida definizione delle situazioni pendenti e, come tale, regola la materia prevalendo su ogni altra precedente (cfr. Cass., Sez. lav., 9 marzo 2010, n. 5711). In altri termini, alla reintegrazione in ruolo segue la ricostruzione della posizione di status (attribuzione della qualifica, livello e anzianità posseduti alla data della precedente cessazione dal servizio), mentre non vi è restitutio in integrum relativamente al trattamento retributivo che, in base al principio di sinallagmaticità, va erogato a fronte dell'effettività della prestazione lavorativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7978).

Peraltro, proprio perché la norma accorda un beneficio (che tende comunque ad una sorta di riparazione ordinamentale), questo può essere calibrato dal legislatore nella misura più opportuna e più equilibrata;
pertanto, non è incostituzionale la norma nella parte in cui, pur ipotizzando la possibilità della riammissione in servizio dei soggetti originariamente destituiti di diritto, ha comunque limitato gli effetti della suddetta riammissione, nel senso che il soggetto riammesso rientra nei ruoli dell'amministrazione dal momento del provvedimento di riammissione, cumulando l'anzianità maturata fino al momento della destituzione di diritto e conservando la qualifica posseduta al momento del provvedimento espulsivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2006, n. 5925;
Id., Sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3522).

Segue da ciò la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta in questa sede.

D’altronde, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che l'art. 10 più volte citato “detta una coerente disciplina intertemporale, che predispone un'adeguata tutela per il soggetto già incorso nella destituzione di diritto, prevedendone la riammissione in servizio, a domanda. Il legislatore si è preoccupato, contestualmente, di realizzare il pubblico interesse, inteso a conservare alla p.a. il personale, la cui condotta sia riconosciuta non incompatibile con le esigenze del servizio. Si tratta, in sostanza, di un complesso normativo, diretto ad attuare un assetto definitivo di situazioni, già definite con l'inflizione di un provvedimento destitutivo, contrastato dalle ricordate pronunce di incostituzionalità e dalla nuova legge, attraverso misure sorrette da una più equa considerazione delle ragioni del pubblico dipendente destituito e di quelle della p.a., volte a condizionare il recupero dell'impiegato alle necessarie garanzie amministrative, da definire con particolare rapidità” (Corte cost., 19 novembre 1991, n. 415).

3. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.

Nulla deve disporsi circa le spese, non essendo costituita in giudizio l’Amministrazione resistente.

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