Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-07-26, n. 201603376

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-07-26, n. 201603376
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201603376
Data del deposito : 26 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2016

N. 03376/2016REG.PROV.COLL.

N. 08136/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 8136 del 2012, proposto da B TURIST S.r.l. (già IMMOBILIARE CLISIA S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. Donato D’Angelo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nizza, 53,

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa per legge dagli avv.ti D R e A C, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21,

per la riforma e/o annullamento

della sentenza nr. 7456/2011, depositata il 20 settembre 2011 e non notificata, con cui il T.A.R. del Lazio, in accoglimento del ricorso proposto dalla Immobiliare Clisia S.r.l. per il risarcimento dei danni subiti dal ritardo nel rilascio da parte del Comune di Roma della concessione edilizia richiesta nel 1990, condannava l’Amministrazione comunale a corrispondere alla Immobiliare Clisia S.r.l. la somma di € 76.792,24, maggiorata per interessi e rivalutazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie prodotte dalla appellante (in date 23 maggio e 1 giugno 2016) e da Roma Capitale (in data 23 maggio 2016) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016, il Consigliere R G;

Udito l’avv. Chiarelli (per delega dell’avv. D’Angelo) per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Barocco Tourist S.r.l., in precedenza denominata Immobiliare Clisia S.r.l., ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha accolto solo parzialmente il ricorso che essa aveva proposto per il risarcimento del danno cagionatole dal ritardato rilascio di una concessione edilizia da parte del Comune di Roma (oggi Roma Capitale).

L’appello risulta affidato ai seguenti motivi in diritto:

1) omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia;
difettosa e contraddittoria motivazione, travisamento (in relazione all’individuazione del dies a quo del periodo produttivo di danno);

2) violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 2043 cod. civ.;
difettosa e contraddittoria motivazione, travisamento (in relazione all’esclusione di condotte negligenti da parte del Comune di Roma);

3) difetto di motivazione e travisamento (in relazione alla negata risarcibilità del contributo per oneri di urbanizzazione);

4) difetto di motivazione e contraddittorietà, travisamento (in relazione alla negata risarcibilità delle spese legali).

Inoltre, richiamando “ l’effetto devolutivo dell’appello ”, l’appellante ha riprodotto ex extenso le censure di primo grado, sulle quali il T.A.R. aveva omesso di pronunciarsi.

Si è costituita Roma Capitale, opponendosi all’accoglimento del gravame, eccependone anche in limine la parziale inammissibilità, e instando per la sua reiezione.

In seguito, entrambe le parti hanno sviluppato con memorie le rispettive tesi.

All’udienza del 23 giugno 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La società Immobiliare Clisia S.r.l., in seguito denominata Barocco Tourist S.r.l., è proprietaria di un suolo sito nel Comune di Roma, in località Giustiniana, incluso nel Piano particolareggiato denominato “La Maggiolina”, originariamente approvato con delibera di Giunta Municipale nr. 10934 del 30 dicembre 1987, in relazione al quale ha chiesto nel 1990 il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di appartamenti a uso residenziale.

L’ iter procedimentale scaturito dalla predetta istanza, caratterizzato da prolungata inerzia dell’Amministrazione comunale (al punto di spingere l’istante a sollecitare più volte l’evasione della domanda, negli anni successivi), s’intrecciava con altro procedimento determinato da un’erronea graficizzazione del suolo nelle tavole del P.R.G., laddove all’area interessata era attribuita destinazione “N” (verde pubblico) in contrasto con la destinazione “F/1” conferita dallo stesso P.R.G. e dal suindicato P.P.

Per questo, la società istante proponeva ricorso giurisdizionale avverso il silenzio serbato dal Comune a fronte della diffida, inoltrata in data 15 maggio 1997, a correggere l’errore materiale de quo.

Nel frattempo, con determinazione dirigenziale nr. 1153 del 5 agosto 1996, la domanda di concessione edilizia era stata respinta per ritenuto contrasto dell’intervento con le prescrizioni contenute nell’art. 6, commi 1 e 5, del P.P. “La Maggiolina”, in tema di previa necessaria realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dal medesimo Piano;
anche tale provvedimento veniva impugnato dall’istante in sede giurisdizionale.

Il T.A.R. del Lazio, riuniti i ricorsi, dapprima accertava e dichiarava l’obbligo del Comune di rettificare l’errore di graficizzazione relativo all’area in proprietà della ricorrente (sent. nr. 2445 del 1999) e, quindi annullava il diniego di concessione edilizia (sent. nr. 2574 del 2001).

Seguiva una complessa fase di ottemperanza, durante la quale, a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione, l’istante tornava ad adire il T.A.R. capitolino, giungendosi alfine a nomina di un Commissario ad acta, che fra l’altro provvedeva alla definitiva correzione dell’errore materiale esistente nella cartografia allegata al P.R.G. (deliberazione nr. 267 del 5 marzo 2003).

Meno lineare era l’esecuzione delle statuizioni relative al riesame dell’istanza ad aedificandum, atteso che quest’ultima, già modificata nel 1995, era nuovamente riproposta con ulteriori adeguamenti all’esito delle prime determinazioni commissariali;
a seguito di ciò, il Commissario chiedeva chiarimenti al giudice dell’ottemperanza, il quale riteneva che l’eventuale rilascio di un nuovo permesso di costruire esorbitasse l’ambito dell’esecuzione delle proprie statuizioni del 2001 (ordinanza nr. 1552 del 26 febbraio 2003).

L’ impasse così ingeneratasi è stata infine superata dall’Amministrazione comunale, la quale ha proceduto sponte al rilascio del permesso di costruire, con provvedimento nr. 1483 del 23 dicembre 2004.

2. Col ricorso instaurativo del presente giudizio, Immobiliare Clisia S.r.l. ha chiesto condannarsi l’Amministrazione capitolina al risarcimento dei danni cagionati dall’illegittimo ritardo nel rilascio del titolo edilizio.

Il T.A.R. del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ha accolto solo in parte la domanda attorea, condannando il Comune di Roma a un importo inferiore rispetto alla domanda stessa ed escludendo la risarcibilità di alcune voci di danno di cui era stato chiesto il ristoro.

Avverso tali statuizioni insorge l’originaria ricorrente con l’odierno appello, sollecitandone un riesame in senso più favorevole alle proprie originarie richieste.

3. La ricostruzione in fatto che precede, corrispondente a quella ricavabile dagli atti e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

4. Tutto ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

5. Per meglio comprendere le ragioni che inducono la Sezione a tale conclusione, giova premettere che con i primi due motivi di impugnazione (che possono essere esaminati congiuntamente) parte appellante critica specificamente la decisione di prime cure:

a ) laddove ha individuato il dies a quo del periodo rilevante ai fini del danno da ritardo da risarcire al 1 gennaio 1996, in considerazione dei “ tempi tecnici ” ragionevolmente necessari per l’istruttoria dopo il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (che data al 12 dicembre 1994);

b ) laddove ha escluso ogni responsabilità del Comune per danno emergente e lucro cessante, circoscrivendo il danno risarcibile alle sole spese di consulenza urbanistica e legale stragiudiziale, attribuendo rilievo determinante al non avere la società interessata proceduto tempestivamente alle opere di scavo cui la Soprintendenza aveva subordinato il proprio nulla osta (opere, in effetti, eseguite solo nel 2001).

A tali rilievi l’odierna appellante replica, da un lato, richiamando l’autonomia e separatezza che – per pacifica giurisprudenza – sussistono fra il procedimento per il rilascio del titolo edilizio e il procedimento di autorizzazione paesaggistico-ambientale, tale da non impedire che il primo possa essere rilasciato anche nelle more del rilascio della seconda, nonché evidenziando che l’originario diniego di autorizzazione paesaggistica della Regione (poi superato dalla contraria statuizione della competente Soprintendenza) era motivato con la non conformità urbanistica dell’intervento, e quindi risentiva degli stessi vizi poi accertati dal T.A.R. con la sentenza nr. 2574 del 2001;
per altro verso, rilevando che non è ragionevole pretendere che l’istante avviasse le opere di scavo in un momento in cui non v’era alcuna certezza sul rilascio della concessione edilizia, donde non potrebbe ascriversi a sua colpa l’aver proceduto agli adempimenti richiesti dalla Soprintendenza solo all’indomani della più volte citata sentenza del 2001, allorché vi era ormai una legittima aspettativa al rilascio del titolo ad aedificandum.

La Sezione, pur ritenendo ragionevoli e condivisibili i rilievi da ultimo sintetizzati, reputa che la responsabilità del Comune in parte qua vada esclusa per altre e dirimenti ragioni.

5.1. In particolare, sulla base delle risultanze in atti – e come correttamente rappresentato dalla difesa di Roma Capitale - va evidenziato un dato fattuale, già richiamato nella sommaria ricostruzione in fatto sopra svolta, costituito dalle rilevanti differenze esistenti fra l’originario progetto che corredava l’istanza di concessione edilizia del 1990 e quello su cui il Comune si è infine espresso rilasciando il titolo edilizio nel 2004;
differenze determinate da modifiche e adeguamenti apportati allo stesso progetto dalla richiedente attraverso vari stadi di elaborazione, il primo dei quali risalente al 1995 (e, quindi, a un momento anteriore al primo diniego di concessione).

Quanto sopra è comprovato dalla già citata ordinanza del T.A.R. del Lazio nr. 1552 del 2003, resa nell’ambito del giudizio instaurato dall’odierna appellante per l’esecuzione della sentenza nr. 2574 del 2001: in tale sede, riscontrando un quesito al riguardo formulato dal Commissario ad acta già precedentemente nominato, il primo giudice ritenne che, proprio a cagione delle rilevanti modifiche apportate al progetto, il rilascio di un permesso di costruire su di esso esorbitasse i limiti dei poteri commissariali di attuazione del giudicato, trattandosi nella sostanza di una nuova istanza ad aedificandum che avrebbe dovuto essere autonomamente valutata dal Comune.

In definitiva, può tranquillamente affermarsi che, se l’Amministrazione comunale non avesse provveduto autonomamente a rilasciare il permesso di costruire nr. 1483 del 2004, detto titolo non avrebbe potuto essere conseguito dalla società istante in sede di ottemperanza al giudicato riveniente dalla più volte citata sentenza nr. 2574 del 2001.

Ma, se questo è vero, allora non può non concludersi che nella causazione del ritardo oggi lamentato dall’appellante si sia inserita, in modo da interrompere il nesso causale con l’inerzia serbata dal Comune sull’originaria istanza, ovvero con qualsiasi altra condotta causativa di danno, una condotta della stessa società istante;
tale conclusione, a ben vedere, coincide con quella raggiunta sul punto dal primo giudice, con la rilevante differenza che la predetta condotta interruttiva del nesso causale ex art. 2043 cod. civ., anziché nel ritardato avvio delle opere di scavo richieste dalla Soprintendenza (per le quali vale quanto più sopra osservato), va individuata nella produzione di una nuova istanza avente a oggetto un progetto sostanzialmente diverso da quello originario.

In questa sede, peraltro, è rilevante sottolineare che l’odierna appellante non ha dimostrato né che le modifiche progettuali de quibus si fossero rese necessarie a seguito del contenzioso sfociato nella sentenza nr. 2574/2001, né che comunque dipendessero da circostanze estranee alla sua sfera di dominio: in altri termini, è possibile ritenere, alla stregua delle risultanze in atti, che il progetto originario del 1990 fosse in ogni caso bisognevole di modifiche e forse anche non del tutto compatibile con la vigente strumentazione urbanistica, ancorché sotto profili ulteriori e diversi da quelli esaminati dal T.A.R. del Lazio in sede di annullamento dell’originario diniego, al punto che per poter ottenere l’assenso del Comune, pur dopo l’esito favorevole del giudizio, la società istante fu costretta ad apportarvi delle rilevanti variazioni.

5.2. Un’altra circostanza da sottolineare in questa sede è che, contrariamente a quanto sembra emergere da alcuni passaggi della sentenza impugnata, deve escludersi che l’errore di graficizzazione dell’area interessata dall’istanza nelle tavole del P.R.G. (alla cui formale correzione si è proceduto solo tardivamente ed all’esito di apposito ordine del T.A.R. laziale) abbia avuto alcuna incidenza causale nella produzione del ritardo per cui è causa;
infatti, è sufficiente una sommaria lettura dell’originario diniego di concessione edilizia – poi annullato dal T.A.R. con la sentenza nr. 2574 del 2001 – per rendersi conto che esso si fondava su motivazioni (la ritenuta incompatibilità con alcune prescrizioni del P.P. “La Maggiolina”) che nulla avevano a che fare con il predetto errore materiale, che il Comune riteneva all’epoca già superato per effetto della corretta destinazione conferita al suolo nel P.P.

6. In conclusione, sulla scorta dei rilievi che precedono, l’appello va respinto in considerazione dell’accertata insussistenza del nesso causale nella produzione del danno lamentato, in considerazione delle originarie possibili carenze progettuali e delle modifiche che la stessa richiedente ha dovuto introdurre, tali da imporre un rinnovato esame istruttorio da parte dell’Amministrazione, col risultato di “sterilizzare” l’eventuale ritardo serbato nell’evadere l’originaria istanza e determinare un ulteriore prolungamento dell’ iter procedimentale, imputabile alla stessa odierna appellante.

Tale conclusione è in linea con la pacifica giurisprudenza per cui la sussistenza dell’illegittima inerzia della p.a. non esaurisce l’ambito degli elementi necessari per l’affermazione del danno da ritardo, dovendo il danneggiato provare anche gli altri elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, ivi compreso il nesso causale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 23 aprile 2015, nr. 2040;
id., sez. V, 9 marzo 2015, nr. 1182;
id., sez. IV, 22 dicembre 2014, nr. 6263;
C.g.a.r.s., 4 settembre 2015, nr. 588).

7. Quanto sopra, peraltro, rende superfluo l’approfondimento della questione, oggetto specifico del primo motivo d’appello, di quale fosse l’esatto momento iniziale del periodo rilevante ai fini del ritardo da risarcire;
mentre, quanto al dies ad quem di tale periodo, per tale parte va accolta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune, per inosservanza dell’onere di esplicitazione delle censure alle statuizioni di primo grado ex art. 101, comma 1, cod. proc. amm., essendosi l’appellante limitata a riproporre pedissequamente le osservazioni svolte nelle memorie di primo grado avverso le conclusioni del C.T.U. nominato dal T.A.R., senza però articolare specifici e puntuali motivi di gravame.

Del pari superfluo è l’esame dell’ulteriore problematica, pure evocata dal primo mezzo, circa il rapporto fra concessione edilizia e autorizzazione paesaggistica, e in particolare la possibilità che il primo provvedimento fosse rilasciato dal Comune anche nelle more del rilascio del secondo;
al riguardo, non può però sottacersi che, quand’anche ciò fosse avvenuto, in ogni caso la società concessionaria non avrebbe potuto dar corso ai lavori fino al conseguimento del titolo paesaggistico, di modo che pressoché nulla sarebbe cambiato quanto al ritardo lamentato nell’ottenimento del “bene della vita” costituito dalla possibilità di edificare.

8. Infondato, poi, è anche il terzo motivo d’appello, col quale si censura la reiezione della domanda intesa alla restituzione di quanto versato a titolo di oneri di urbanizzazione all’atto del definitivo rilascio del permesso di costruire, nel 2004.

In primo grado, l’istante aveva supportato tale domanda con l’affermazione che tali oneri non fossero dovuti per essere state le opere di urbanizzazione realizzate in parte dalla dante causa della ricorrente nell’ambito di pregressa lottizzazione, e per la parte residua dalla stessa ricorrente sulla base del progetto presentato nel 1990;
il primo giudice ha disatteso la domanda, accogliendo la prospettazione del Comune secondo cui le opere effettivamente realizzate, consistenti esclusivamente in uno “ smaltimento alternativo ” dell’impianto fognario nelle more della predisposizione della rete comunale, non esonerassero la concessionaria dall’obbligo di pagare gli oneri per le altre opere di urbanizzazione ancora necessarie.

Nel proprio ricorso in appello, l’istante oggi si limita a richiamare una richiesta di cessione gratuita delle opere di urbanizzazione primaria presentata al Comune nel 1996, che però afferiva all’originario progetto del 1990 ed è pertanto superata dalle determinazioni negative assunte dal Comune in ordine alla prima domanda di concessione edilizia (ancorché poi annullate in sede giurisdizionale).

Per il resto, l’appellante non risulta aver fornito prova né del fatto che le opere realizzate esaurissero le urbanizzazioni ritenute necessarie dal Comune, né che gli oneri corrisposti nel 2004 non siano stati computati tenendo conto, in detrazione, di quanto essa istante aveva a suo tempo realizzato.

9. Infine, va respinto l’ultimo mezzo, col quale si censura in modo generico la liquidazione delle spese di lite cui ha proceduto il primo giudice in favore dell’odierna appellante, ritenendola inadeguata e insufficiente.

Al riguardo, non può non rilevarsi il carattere apodittico della doglianza, che non risulta supportata da elementi oggettivi e specifici, come sarebbe se l’istante avesse documentato in prime cure le spese sostenute, e il primo giudice avesse ignorato o disatteso tale documentazione.

10. Conclusivamente, stante l’infondatezza dell’appello, si impone una pronuncia di integrale conferma della sentenza impugnata.

Restano ferme, peraltro, le statuizioni contenute nella predetta sentenza in punto di parziale responsabilità per danno da ritardo e relativo risarcimento, avverso le quali l’Amministrazione comunale non ha ritenuto di proporre appello.

11. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

12. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.

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