Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-27, n. 202103398

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-04-27, n. 202103398
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103398
Data del deposito : 27 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/04/2021

N. 03398/2021REG.PROV.COLL.

N. 07998/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL P I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7998 del 2020, proposto dal Comune di Altopascio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato G T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la ditta B C, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A S e C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C M in Roma, via Panama, n. 58;

nei confronti

l’Amministrazione provinciale di Lucca, in persona del Presidente in carica, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza non definitiva del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 58/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della ditta B C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il consigliere A V e uditi per le parti gli avvocati G T e A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana (R.G. n. 121/2012), la ditta B C agiva per la condanna, ex art. 30 d.lgs. n. 104/2010, al risarcimento dei danni causati dal Comune di Altopascio e dalla Provincia di Firenze in conseguenza dei dinieghi in relazione, rispettivamente, alla domanda di concessione edilizia prot. n. 24142 del 23 novembre 1995 e alla richiesta di autorizzazione alle emissioni in atmosfera ex art. 6 d.P.R. n. 203/1988, riconosciuti illegittimi - e, pertanto, annullati - con sentenza del T.A.R. Toscana n. 4417/2005, Sez. III, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4243 del 13 luglio 2011.

2. Il T.a.r., con la sentenza non definitiva n. 58 del 16 gennaio 2020:

a) ha accertato il diritto al risarcimento del danno della ricorrente nei confronti del Comune di Altopascio;

b) ha estromesso dal prosieguo del giudizio la Provincia di Lucca;

c) ha disposto, ai fini della quantificazione della somma spettante a titolo risarcitorio, l’effettuazione di una consulenza tecnica d’ufficio;

d) ha disposto di rinviare alla sentenza definitiva per la liquidazione delle spese del giudizio.

2.1. In particolare, il Tribunale:

a) ha respinto l’eccezione di prescrizione della pretesa risarcitoria;

b) ha respinto l’eccezione del Comune secondo cui la ricorrente avrebbe comunque messo a frutto il proprio terreno sin dal febbraio 1997, il che escluderebbe la sussistenza di danni risarcibili;

c) ha respinto l’eccezione della Provincia di Lucca in ordine alla genericità della domanda risarcitoria;

d) ha accolto l’eccezione della Provincia di Lucca in ordine alla insussistenza del nesso causale tra il proprio diniego di autorizzazione alle emissioni in atmosfera e il danno lamentato dalla ricorrente ed ha conseguentemente respinto la richiesta risarcitoria rivolta alla Provincia;

e) ha rilevato la presenza dei presupposti della responsabilità del Comune di Altopascio, atteso che:

e.1) quanto alla spettanza del bene della vita, l’unica ragione di preclusione di essa, quindi come fatto causativo del danno, sarebbe costituita dall’incompatibilità urbanistica illegittimamente rilevata con gli impugnati dinieghi, non essendo mai emerse ragioni di impatto ambientale ostative al progettato insediamento;

e.2) quanto all’elemento soggettivo, la preclusione di nuove attività classificate insalubri di prima classe nelle zone a destinazione industriale e, quindi, in tutto il territorio comunale, introdotta con l’impugnata variante urbanistica, colliderebbe in modo evidente con qualsivoglia principio di corretta pianificazione del territorio, oltre che con l’art. 216 del R.D. n. 1265/1934, come si evince dalle sentenze n. 4417 del 13 settembre 2005 e n. 4243 del 13 luglio 2011, emesse rispettivamente dal medesimo T.a.r. e dal Consiglio di Stato in ordine ai dinieghi che erano stati opposti all’impresa Basile;
a ciò si aggiungerebbe un pregresso operato pregiudizialmente avverso le istanze della ricorrente, espresso dal Comune mediante le deliberazioni consiliari n. 68 del 17 giugno 1996 e n. 74 del 19 giugno 1996;

e.3) quanto all’insussistenza di danni che la ricorrente avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, la stessa risulterebbe essersi attivata avvalendosi dei mezzi giuridici disponibili ai fini della pronta tutela dell’interesse ad ottenere il titolo abilitante;

f) ha ritenuto, quanto alla determinazione del pregiudizio economico subito, che:

f.1) non potrebbe essere riconosciuta all’interessata la voce di danno riferita all’investimento sostenuto senza il previo rilascio di alcun titolo abilitante, né potrebbe essere considerato, quale epoca di riferimento per la valutazione dei mancati ricavi, un periodo antecedente al 1999;

f.2) quanto al mancato conseguimento dei redditi tra il 1997 e il 2011, risulterebbe necessaria, ai fini della quantificazione, l’attività di accertamento di un consulente tecnico d’ufficio, fermo restando che non potrebbero essere prese a riferimento annualità anteriori al gennaio 2000;

f.3) rileverebbe, come voce di danno, l’utile d’impresa (sul quale incidono ricavi e costi) per il periodo di vita dell’impianto (e comunque per un periodo non superiore ai 15 anni ipotizzati dalla ricorrente), a decorrere non prima del gennaio 2000;

f.4) non rileverebbero invece i danni qualificati come “diretti” (differenza tra costo di acquisito e costo di vendita).

3. Il Comune di Altopascio ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le censure riassumibili nei seguenti termini:

i ) “ La mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Erronea valutazione in punto di diritto ed erronea ricostruzione dei fatti. Il rilascio del titolo concessorio non era certo a seguito dell’annullamento del diniego ”: l’illegittimità della condotta del Comune, accertata da T.a.r. e dal Consiglio di Stato, non avrebbe dato certezza circa l’ottenimento della concessione edilizia, in quanto il suo rilascio era condizionato alla positiva conclusione del procedimento sotto i profili ambientali ed igienico-sanitari, laddove, del resto, al momento del diniego non risultava ancora completata l’istruttoria, stante la mancata produzione da parte della ditta della totalità della documentazione richiesta dall’ARPAT (istruttoria che può ritenersi completata solo nell’agosto del 1999, con nota della ditta del 5 agosto 1999, in ordine alla quale, tuttavia, non si pronunciava la Provincia);

ii ) “ La mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Erronea valutazione in punto di diritto ed erronea ricostruzione dei fatti. La valutazione dell’elemento soggettivo ”: il primo giudice, nel valutare il profilo soggettivo della responsabilità amministrativa, non avrebbe tenuto conto della particolare situazione venutasi a determinare nel territorio avversa alla previsione di nuovi insediamenti insalubri, né dell’affidamento ingenerato nell’Amministrazione comunale dalla ordinanza del T.a.r. n. 365/1997 (nel giudizio di cui al R.G. n. 3809/96) di rigetto dell’istanza cautelare, né del comportamento processuale complessivo della ditta ricorrente;

iii ) “ La mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Erronea valutazione in punto di diritto ed erronea ricostruzione dei fatti. Ancora sull’elemento soggettivo … ed oggettivo. L’avvenuto utilizzo del compendio immobiliare della Ditta Basile ”: il primo giudice non avrebbe altresì tenuto conto del fatto che sin dal febbraio del 1997 l’impresa Basile avrebbe comunque utilizzato e messo a frutto il suo terreno, peraltro acquisendo un terreno limitrofo, ottenendo le concessioni edilizie nn. 4/98 e 75/88;

iv ) “ La mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Erronea valutazione in punto di diritto ed erronea ricostruzione dei fatti. L’illegittima estromissione della Provincia di Lucca dal giudizio ”: il primo giudice, nell’estromettere la Provincia di Lucca per l’insussistenza del nesso causale tra il suo diniego di autorizzazione alle emissioni in atmosfera ed il danno lamentato dalla ricorrente, non avrebbe tenuto conto della sentenza del Consiglio di Stato n. 4243/2011, che aveva espressamente affermato l’illegittimità del diniego della Provincia, la quale avrebbe dovuto effettuare le valutazioni che le erano riservate in materia di emissioni atmosferiche, pur in presenza di un parere urbanistico contrario del Comune di Altopascio;

v ) “ La mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Erronea valutazione in punto di diritto ed erronea ricostruzione dei fatti. I quesiti posti al C.T.U. ”: ferma l’inconfigurabilità della responsabilità amministrativa in ragione della mancata spettanza del bene della vita, ai fini della quantificazione del risarcimento, in sede di formulazione dei quesiti al C.T.U., si sarebbe dovuto tenere conto, in detrazione, della valorizzazione dei terreni di proprietà della ditta ad esito delle concessioni ottenute nel 1998 dal Comune di Altopascio.

3.1. Si è costituita in giudizio la ditta B C, la quale, depositando memoria difensiva, si è opposta all’appello e ne ha chiesto l’integrale rigetto, in particolare evidenziando:

a) che le ultime richieste istruttorie erano state adempiute dall’impresa Basile alla data del 5 agosto 1999 e, dopo tale adempimento, né l’USL, né il Comune, né la Provincia avevano opposto rilievi sull’incompletezza dei documenti forniti o sul merito dell’impatto ambientale del progetto presentato, del resto non essendo mai emerse ragioni ostative al riguardo, essendo invece stata posta a fondamento del diniego esclusivamente l’incompatibilità urbanistica;

b) la sostanziale ammissione da parte dell’Ente comunale della illegittimità del suo comportamento e l’infondatezza delle avverse affermazioni in ordine al comportamento processuale della ricorrente, rivelatosi invece volto ad ottenere una rapida decisione dei propri ricorsi;

c) l’irrilevanza delle sopravvenute concessioni edilizie, comunque essendo stata preclusa la possibilità di installare l’impianto di conglomerato cementizio;

d) che l’illegittimità del comportamento della Provincia di Lucca, nel denegare l’autorizzazione all’immissione in atmosfera, era in realtà basato esclusivamente sul parere di incompatibilità urbanistica reso dal Comune e che, ad ogni modo, il vero danno per la mancata realizzazione dell’impianto è stato causato dal diniego della concessione edilizia.

3.2. Con memoria difensiva depositata il 18 marzo 2021 l’appellante ha replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle censure dedotte.

3.3. Infine, in data 18 marzo 2021 la ditta Basile ha presentato istanza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 4, co. 1, d.l. 30 aprile 2020, n. 28 e dell’art. 25, comma 1, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come modificato dall’art. 1, co. 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183.

4. All’udienza dell’8 aprile 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

5. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio in fatto si precisa quanto segue:

i ) in data 23 novembre 1995, l’impresa B C presentava istanza di concessione edilizia al Comune di Altopascio per realizzare un impianto per conglomerati bituminosi e cementizi in zona qualificata come industriale ai sensi dell’art. 15 delle NTA del PRG;

ii ) a seguito di specifica richiesta del Comune, in data 5 gennaio 1996, di acquisire il parere dell’USL, Ufficio GONIP, quest’ultimo ufficio, in data 14 marzo 1996, rilasciava parere favorevole, con cui veniva prescritto, come condizioni, il rispetto di quanto dichiarato nelle relazioni trasmesse il 15 febbraio 1996, la compatibilità urbanistica e il “ rispetto delle eventuali indicazioni di competenza dell’A.R.P.A.T. ”;

iii ) nel frattempo in data 15 febbraio 1996 la medesima ditta presentava istanza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera ex art. 6 del d.P.R. n. 203/1988;

iv ) in relazione a quest’ultima, la Provincia di Lucca, con nota del 26 marzo 1996, chiedeva al Comune di Altopascio il parere di compatibilità urbanistica e igienico sanitario e all’interessata la presentazione di documenti integrativi;

v ) sulla richiesta da parte del Comune in data 12 aprile 1996 di parere integrativo, in attuazione di quanto richiamato da parte dell’USL nel parere del 14 marzo 1996, l’ARPAT, con nota del 3 maggio 1996, rappresentava che la pratica riguardante la richiesta di autorizzazione alle emissioni in atmosfera risultava incompleta attesa la necessità di delucidazioni da parte della ditta e che la documentazione inviata relativa ad altre problematiche ambientali (rumore, scarichi e impatto ambientale) non consentiva di esprimere alcun parere;
inoltre, l’ARPAT, con la successiva nota del 3 luglio 1996, richiedeva, al fine di portare a completamento l’istruttoria, di presentare uno studio di insonorizzazione dell’impianto, lo schema e la relazione tecnica dell’impianto di depurazione, nonché la documentazione sulle emissioni in atmosfera (richiesta dalla Provincia);

vi ) la ditta istante, con lettera notificata in data 7 giugno 1996, alla luce del silenzio del Comune, diffidava l’Ente a rilasciare la concessione edilizia e in data 25 giugno 1996 chiedeva al Presidente della Giunta regionale la nomina di un commissario ad acta , ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 285/1996;

vii ) in seguito alla risposta di incompetenza resa dalla Regione con nota dell’8 luglio 1996, la ditta ribadiva la domanda alla Provincia, la quale tuttavia si dichiara anch’essa incompetente;

viii ) nel frattempo il Comune di Altopascio, con deliberazione consiliare n. 68 del 17 giugno 1996, indiceva un referendum consultivo avente ad oggetto la modifica dell’art. 15 delle NTA del PRG allo scopo di vietare l’insediamento di attività ad alto rischio di inquinamento atmosferico classificate insalubri di prima classe dal d.m. 5 settembre 1994 e, con delibera n. 74 del 19 giugno 1996, disponeva la sospensione del citato art. 15 delle NTA;

ix ) il Comitato regionale di controllo (Co.re.co.) annullava la seconda deliberazione e chiedeva al Comune la presentazione di elementi integrativi in ordine alla prima (come da nota del 16 luglio 1996);

x ) il Consiglio comunale, con deliberazione n. 87 del 30 luglio 1996, adottava una variante generale al PRG, in forza della quale l’area in questione veniva inserita in zona destinata ad insediamenti produttivi secondari e terziari con esclusione delle attività classificate insalubri di prima classe;

xi ) il Comune, facendo applicazione di tale variante urbanistica, con atto del 27 settembre 1996, respingeva pertanto la richiesta di concessione edilizia;

x ) la ditta Basile, con ricorso dinanzi al T.a.r. Toscana (R.G. n. 3809/1996), impugnava il diniego di concessione edilizia e la presupposta variante urbanistica;

xi ) con riferimento al procedimento relativo alla domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, l’interessata, in risposta alla richiesta della Provincia in data 2 maggio 1996 e al sollecito della stessa in data 19 gennaio 1999, produceva il giorno 25 febbraio 1999 le integrazioni richieste;

xii ) il Comitato provinciale contro l’inquinamento atmosferico, nella riunione del 22 ottobre 1999, preso atto della nota del Comune di Altopascio del 20 ottobre 1999 e del diniego dal medesimo espresso in ordine al progetto, proponeva il diniego di autorizzazione;

xiii ) la Provincia di Lucca, con determinazione del 13 dicembre 1999, respingeva l’istanza di autorizzazione alle emissioni atmosferiche dell’impianto industriale, basando il proprio diniego sul parere contrario espresso dal Comune, secondo cui “ essendo l’impianto destinato alla produzione di conglomerati bituminosi e cementizi e quindi classificabile, ai sensi del D.M. 5.9.1994, come industria insalubre di prima classe, la sua realizzazione non sarebbe compatibile con la zona industriale ”;

xiv ) la ditta Basile, con ricorso dinanzi al T.a.r. Toscana (R.G. n. 691/2000), impugnava detta determinazione provinciale;

xv ) il T.a.r. adito, dopo aver respinto con l’ordinanza n. 369 del 7 maggio 1997 l’istanza cautelare proposta con il ricorso R.G. n. 3809/1996, con la sentenza n. 4417 del 13 settembre 2005, accoglieva i citati ricorsi n. 3809/1996 e n. 691/2000, con conseguente annullamento della variante urbanistica, del diniego di concessione edilizia del Comune del 27 settembre 1996 e della determina provinciale del 13 dicembre 1999;

xvi ) il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4243 del 13 luglio 2011, respingeva l’appello e confermava l’impugnata pronuncia;

xvii ) con il ricorso in epigrafe la ditta Basile promuoveva pertanto l’azione di risarcimento del danno provocato dall’illegittimo comportamento delle Amministrazioni, quantificandolo in euro 1.178.297.

6. L’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.

7. Tra i motivi articolati nell’appello, che in quanto strettamente connessi meritano trattazione unitaria, emerge la fondatezza della censura attinente alla spettanza nel caso di specie del bene della vita, con valore assorbente rispetto alle altre censure.

7.1. Al riguardo, il Collegio osserva, sulla base di quanto costantemente affermato in giurisprudenza, che il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2020, n. 4338;
sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1437). Ciò in quanto il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 19 agosto 2019, n. 5737;
V, 23 marzo 2018, n. 1859). Ed infatti per ‘ danno ingiusto ’ risarcibile – ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, della legge n. 205 del 2000 e dell’art. 30 del codice del processo amministrativo - si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie all’ordinamento giuridico;
ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico.

7.2. Nel caso di specie occorre pertanto considerare che l’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi comunali (peraltro emanati prima dell’entrata in vigore dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, che ha introdotto la regola della risarcibilità della lesione arrecata all’interesse legittimo nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia: Corte Cost., ord. n. 165 del 1998) avveniva a prescindere da un accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, in tal modo non determinandosi, a differenza del caso di caducazione dell’atto per vizi sostanziali, alcuna riduzione del potere dell’amministrazione di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534).

7.2.1. Dall’analisi delle sentenze di annullamento – che vi sono state in primo e in secondo grado nella vicenda - emerge invero che i Collegi si pronunciavano sull’illegittimità dei dinieghi opposti dal Comune e dalla Provincia, addivenendo all’annullamento del primo, in ragione dell’illegittimità del divieto generalizzato di insediare nuove attività di quel tipo, e del secondo, perché motivato solo con riferimento all’incompatibilità urbanistica.

Pertanto, nessuna argomentazione veniva prevista in merito alla spettanza del bene della vita, da individuare nell’insediamento dell’attività progettata, ed al contempo veniva lasciata ferma agli enti la possibilità di esercitare nuovamente il rispettivo potere valutativo.

7.2.2. In particolare, il T.a.r. per la Toscana, nella sentenza n. 4417/2005, ravvisava l’illegittimità delle disposizioni di cui agli artt. 27 e 28 delle norme tecniche di attuazione introdotte con delibera consiliare n. 87 del 30 luglio 1996 (qualificata quale “ variante di adeguamento al vigente piano regolatore generale ”), con le quali venivano rispettivamente escluse nelle zone D1 “ Aree con insediamenti recenti a prevalente uso produttivo secondario consolidato ” e D2 “ Aree di espansione a prevalente uso produttivo secondario ” le possibilità di “ insediamento di nuove attività classificate insalubri di prima classe dal D.M. 5 settembre 1994 ”, in ragione del contrasto di esse con l’art. 216 del T.U. LL.SS. approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e, in generale, con ogni principio di corretta pianificazione del territorio.

Il medesimo Collegio, inoltre, in relazione alla determinazione n. 290, del 13 dicembre 1999, con cui il dirigente responsabile del Settore ecologia della Provincia di Lucca negava l’autorizzazione all’emissione atmosferica dell’impianto industriale che si intendeva realizzare, accoglieva il motivo con cui veniva dedotta l’illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.P.R. 24 luglio 1988, n. 203, in quanto la Provincia basava il provvedimento impugnato esclusivamente sul parere contrario del Comune, senza “ verificare la compatibilità dell’impianto sotto l’aspetto delle emissioni atmosferiche ”.

Parimenti, il Consiglio di Stato, nel giudizio di appello definito con la sentenza n. 4243/2011:

a) confermava l’illegittimità dell’attività del Comune, rilevando che “ nell’ambito della destinazione di un’area del territorio comunale a zona industriale non possono essere aprioristicamente ed astrattamente inibite particolari tipologie di insediamenti produttivi posto che una simile scelta di PRG non rientrerebbe nell’ambito della disciplina urbanistica, ma concreterebbe un illegittimo esercizio delle ben diverse funzioni di igiene pubblica da parte del Consiglio comunale, in luogo di altri soggetti istituzionalmente competenti ”;

b) in relazione al provvedimento dell’Amministrazione provinciale, nel ribadirne l’illegittimità, osservava come sia “ illegittimo il diniego di ubicazione di un’industria insalubre di prima classe senza che l’autorità competente all’autorizzazione dell’emissione abbia previamente proceduto alla specifica istruttoria ed abbia valutato adeguatamente, per gli specifici profili ambientali, l’istanza dell’impresa, anche al fine di prospettare eventuali proposte per escludere la pericolosità dell’impianto e per eliminare le possibili immissioni nocive delle relative lavorazioni per gli abitanti ”.

Il Consiglio di Stato, inoltre, nel censurare i provvedimenti impugnati, lasciava ferma la possibilità di entrambi gli enti di pronunciarsi nuovamente sull’assentibilità dell’intervento per quanto di competenza, in tal modo confermando di non avere intenzione di prospettare soluzioni attinenti al merito delle istanze e lasciando impregiudicata la riedizione del potere amministrativo.

7.3. Oltre all’assenza di statuizioni in ordine all’eventuale esito positivo delle istanze de quibus , il Collegio rileva altresì che nel corso del presente giudizio la ditta Basile non ha fornito alcun tipo di prova in ordine alla spettanza del bene della vita richiesto, al riguardo dovendo considerare che, secondo il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (in base al quale chi vuole far valere una pretesa in giudizio deve indicare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento), grava sul danneggiato l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).

Invero, com’è noto, la presenza di un danno risarcibile e la condanna al suo risarcimento non sono una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento e richiedono la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa e del dolo dell’Amministrazione (cioè della cd rimproverabilità) e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché, in caso di proposizione della domanda di risarcimento del danno conseguente a una lesione di interesse legittimo pretensivo, della spettanza definitiva e ragionevolmente certa, mediante il corretto sviluppo dell’azione amministrativa, del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse, e comunque fermo l’ambito proprio della discrezionalità amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3887).

7.4. In conclusione, in ragione di quanto considerato in ordine alla mancata dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, della spettanza del bene della vita agognato, nella fattispecie non sono ravvisabili i presupposti per il riconoscimento della fondatezza della pretesa al risarcimento del danno, dovendo, di conseguenza, essere respinta la domanda risarcitoria azionata dalla ditta B C con il ricorso introduttivo.

8. L’appello deve pertanto essere accolto e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza non definitiva, deve essere respinto il ricorso originario.

9. La particolarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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