Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-10-12, n. 202006134

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-10-12, n. 202006134
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006134
Data del deposito : 12 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/10/2020

N. 06134/2020REG.PROV.COLL.

N. 04256/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4256 del 2020, proposto da
Ministero dell'Istruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

L F, M A I, G M, A M, P N, L N, L R, M T, L T, G V, A Z, G A P, V C, S C, M C, S C, rappresentati e difesi dagli avvocati A Z, I T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 02294/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di L F e di M A I e di G M e di A M e di P N e di L N e di L R e di M T e di L T e di G V e di A Z e di G A P e di V C e di S C e di M C e di S C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Paola De Nuntis e I T.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame l’amministrazione odierna parte appellante impugna la sentenza di cui in epigrafe, del Tar Lazio, di accoglimento dell’originario gravame, proposto avverso il provvedimentocon il quale l'Amministrazione (tramite il suo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione) comunicava che i titoli conseguiti da cittadini italiani in Romania non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, e che pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli erano da considerarsi rigettate.

2. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante censura i diversi passaggi argomentativi della sentenza di prime cure.

La parte appellata si costituiva in giudizio controdeducendo e chiedendo il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2020 la causa passava in decisione.

3. L’appello è prima facie infondato sulla scorta dell’orientamento già espresso dalla sezione (cfr. ad es. sentenze nn. 1198 e 4825 del 2020), con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm.

4. Se in via preliminare le considerazioni svolte in sede giudiziale dal Ministero appellato vanno qualificate in termini di inammissibile integrazione motivazionale in giudizio, nel merito le stesse confermano la tesi opposta, per cui vanno ribadite, anche per evidenti ragioni di certezza del diritto, le argomentazioni già svolte, rispetto ai medesimi provvedimento impugnati, nei precedenti richiamati.

5. In termini di inquadramento, la controversia ha ad oggetto la domanda di annullamento del provvedimento di portata generale del MIUR, con il quale veniva rigettata la richiesta di riconoscimento dell’abilitazione acquisita in Romania, nonché il conseguente diniego, attuativo dell’atto generale e specificamente destinato agli odierni appellanti, del riconoscimento dei titoli abilitativi conseguiti in Romania ed al conseguente esercizio dell’insegnamento in Italia negli Istituti di istruzione media-superiore delle discipline indicate nella rispettiva istanza.

6. L’appello è infondato.

6.1 In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellato sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.

Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.

Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno" (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).

6.2 Il Ministero argomenta la propria decisione sul presupposto che l’attestato/certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica in possesso dell’odierno appellante non sia sufficiente per esercitare la professione di insegnante e comunque che la formazione svolta dai cittadini italiani non sia riconosciuta dalle competenti autorità rumene.

Trattasi di presupposto contrastante con la documentazione in atti.

In particolare, secondo quanto emergente dal certificato acquisito al giudizio, rilasciato dal Ministero dell’educazione nazionale rumeno, il conseguimento di un minimo di 60 crediti trasferibili del corso di studi psicopedagogici, ottenuto dall’odierna appellante tramite il diploma di laurea dalla stessa posseduto, riconosciuto dal Centro Nazionale di Riconoscimento ed Equiparazione degli Studi, attribuisce alla ricorrente il diritto di insegnare a livello di istruzione preuniversitaria in Romania.

Pertanto, come fondatamente censurato nell’atto di ricorso, l’atto di diniego opposto dal Ministero risulta inficiato da un difetto di istruttoria, idoneo a determinarne l’annullamento.

Il Ministero, in particolare, ha negato in capo all’odierna appellante i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, basandosi su un presupposto – disconoscimento ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento rumeno, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, come la ricorrente, titolari di diploma di laurea/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria.

Ne deriva che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione statale non risulta adeguata, non essendo stata approfonditamente esaminata, alla stregua delle previsioni di cui alla Direttiva n. 55 del 2003, la particolare posizione della parte appellante, cui è stato attribuito – in ragione del percorso formativo estero– il diritto di insegnare in Romania nell’istruzione preuniversitaria;
elemento non vagliato in sede provvedimentale.

In ogni caso, la decisione amministrativa per cui è controversia risulta illegittima, anche perché non reca alcuna valutazione del titolo estero conseguito dall’odierna appellante, ai fini di un suo possibile riconoscimento in Italia quale abilitazione all’insegnamento

6.3 Anche in termini più generali, con riferimento al merito della questione controversa, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia. Né l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto potrebbe costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana. In particolare nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

6.4 A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.

In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev'essere interpretato nel senso che esso osta a che, la p.a. , quando esamina una domanda di partecipazione da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell'equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall'università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l'insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l'esperienza professionale pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).

6.5 Le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretati nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675).

In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

6.6 Pertanto, l’appello appare infondato a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, l’appello appare fondato. A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno.

7. Sussistono giusti motivi per compensare le spese.

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