Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-29, n. 202303274

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-29, n. 202303274
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303274
Data del deposito : 29 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/03/2023

N. 03274/2023REG.PROV.COLL.

N. 08758/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8758 del 2018, proposto da
G P, rappresentata e difesa dall'avvocato R V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Potenza, rappresentato e difeso dall'avvocato M R Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Potenza, via Nazario Sauro Pal. Mobilità;

nei confronti

Marco D'Andrea, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. 175/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Potenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 24 febbraio 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina;

Nessuno è presente per le parti;

Viste, altresì. le conclusioni della parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’originario ricorso l’odierna appellante unitamente all’altro proprietario dell’immobile, impugnava l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive consistenti nella realizzazione di un fabbricato a due piani, il cui piano terra era stato eseguito previa demolizione del vecchio corpo di fabbrica delle stesse dimensioni.

Per tale abuso il Pretore di Potenza, con sentenza n. 375 del 6 giugno 1983, la aveva condannata alla pena di giorni cinque di arresto e lire 500.000 di ammenda.

In data 15 dicembre 2009 era stata presentata domanda di permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, respinta con atto n. 55515 del 26 ottobre 2010 non impugnato.

Il Tar per la Basilicata, con la sentenza n. 175/2018 respingeva il ricorso.

Appellata ritualmente la sentenza, resisteva il Comune appellato.

All’udienza di smaltimento del 24 febbraio 2023 la causa passava in decisione.

DIRITTO

Con il motivo l’appellante deduce: Confusa, contraddittoria ed erronea motivazione. Violazione dei principi generali del diritto ed in particolare del diritto amministrativo. Illogicità manifesta.

Lamenta l’erroneità della sentenza impugnata perché erano state eseguite le disposizioni impartite con la sentenza penale del Pretore di Potenza n. 375 del 6.6.1983 nella quale il Giudice, in forza dei poteri all’epoca conferitigli dalla legge, aveva comminato all’imputata anche la sanzione amministrativa.

La censura non è fondata.

In proposito, il Collegio condivide le argomentazioni del giudice di primo grado sulla valenza non vincolante, nel caso di specie, della pronuncia penale in ordine all'accertamento del fatto in contestazione e l'assenza di decisività del contenuto della sentenza ai fini del predetto accertamento.

In linea generale nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p. secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando la p.a. non si sia costituita parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell'accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale (ad esempio, il danneggiato che non si sia costituito parte civile, la persona offesa dal reato, il responsabile civile che non sia intervenuto o non si sia costituito). Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l'accertamento dei "fatti materiali" e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l'autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile. Da ciò deriva che l'eventuale qualificazione giuridica in termini di invalidità (annullabilità o nullità) che il giudice penale dovesse attribuire al provvedimento amministrativo rilevante nella fattispecie di reato esulerebbe, in quanto tale, dal vincolo del giudicato, atteso che il giudizio di invalidità non riguarda l'accertamento del fatto, ma la sua qualificazione giuridica. In ogni caso, il vincolo di giudicato della sentenza penale riguarda il solo accertamento dei fatti materiali, non anche la loro qualificazione giuridica (Cons. Stato Sez. V, 17/03/2021, n. 2285Cons. Stato Sez. VI, 15/02/2021, n. 1350Cons. Stato Sez. II, 24/10/2019, n. 7245).

La nozione di “fatti materiali” deve essere limitata alla realtà fenomenica, materiale e storica che ha determinato il convincimento del giudice penale e non può essere anche riferita all'ulteriore procedimento di sussunzione logica del materiale probatorio svolta dal giudice stesso anche attraverso processi argomentativi (la cui articolazione non riguarda l'accertamento del fatto, ma la valutazione di esso). Si tratta di un corollario del principio secondo cui i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l'efficacia extrapenale del giudicato penale comporta. Pertanto, il fatto materiale accertato in sede penale può e deve essere autonomamente valutato nell'ambito del giudizio amministrativo senza che operi al riguardo alcun vincolo di pregiudizialità.

Nel caso di specie, peraltro il giudizio penale ha riconosciuto la responsabilità dell’imputata riguardo l’ascritta imputazione del reato di cui all’art. 17, lett. b) della legge 28.01.1977, n. 10, per avere realizzato il manufatto di cui è causa, in assenza di concessione edilizia.

Pertanto, non può sostenersi che la sentenza del giudice penale, la quale si è limitata a prescrivere interventi edilizi ai fini di rendere statico l’edificio, abbia implicitamente escluso la necessità, da parte della ricorrente, di munirsi di un idoneo titolo edilizio per la conservazione dell’immobile così realizzato.

Inoltre, priva di ogni fondamento risulta essere anche l’affermazione della appellante secondo la quale la sanatoria ai sensi dell’art. 36 T.U. dell’edilizia sarebbe, nel suo caso, un atto dovuto, adducendo che, in ragione della estensione dei propri terreni, la stessa potrebbe realizzare volumi di gran lunga maggiori di quello realizzato e non potrebbe essere incisa da presunti vincoli successivi all’epoca di realizzazione del fabbricato.

Come ha correttamente rilevato il Tar la doglianza è inammissibile, poiché il Comune di Potenza, con l’atto n. 55515 del 26 ottobre 2010, rimasto inoppugnato, ha già denegato il provvedimento di sanatoria edilizia, senza possibilità per la ricorrente di rimettere in discussione tale provvedimento di rigetto, avendogli prestato acquiescenza (Cons. Stato, sez. VI, 28.07.2015, n. 3744).

L’appello deve essere, conseguentemente, respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

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