Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-01-13, n. 201000039

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-01-13, n. 201000039
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201000039
Data del deposito : 13 gennaio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02417/2005 REG.RIC.

N. 00039/2010 REG.DEC.

N. 02417/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2417 del 2005, proposto da:
D F e D D, rappresentati e difesi dall'avv. C N, con domicilio eletto presso Giuseppe Raguso in Roma, via Valadier, n. 48;

contro

Comune di Vieste, rappresentato e difeso dall'avv. G N, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n.2;

per la riforma

della sentenza del TAR Puglia - Bari - Sezione II - n. 5243 del 15 novembre 2004, resa tra le parti, concernente decreto di occupazione di urgenza ed immissione in possesso per la realizzazione dei lavori di completamento del progetto esecutivo della scuola;
realizzazione dell’auditorium;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Vieste;

Vista la memoria depositata dal Comune di Vieste;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2009 il dott. G R e uditi per le parti gli avvocati Raguso, su delega dell'avv. Natale, e l'avv. De Portu, su delega dell'avv. Notarnicola;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con ricorso al TAR della Puglia i sigg. Dirodi Francesco, D D e Dirodi Antonio impugnavano i decreti di occupazione di urgenza di loro immobili, emanati dal Comune di Vieste per la realizzazione di un auditorium a completamento dei lavori relativi alla costruzione della scuola media “Don Antonio Spalato”, nonché tutti i provvedimenti ad essi presupposti, connessi e conseguenti, specificamente indicati nell’epigrafe del mezzo processuale proposto.

Deduceva quattro motivi di impugnazione con i quali sosteneva:

1)- che l’opera in questione sarebbe stata prevista ed approvata su area non assoggettata a conforme vincolo preordinato all’esproprio, essendo decaduta la originaria destinazione a zona F prevista dallo strumento urbanistico per cui l’Amministrazione avrebbe dovuto, o riapporre il vincolo, o procedere ex art. 1 della legge n. 1 del 1978;
di qui la violazione dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 e della legge n. 1 del 1978, nonché della legge regionale pugliese n. 27 del 1985, con connesso eccesso di potere per difetto dei presupposti;

2)- che l’Amministrazione avrebbe illegittimamente omesso di approvare il progetto preliminare, come previsto dalla legge n. 109 del 1994, ed avrebbe, altresì, omesso di procedere alle necessarie verifiche geologiche, geotecniche, idrologica ed idraulica, né avrebbe adottato il piano di sicurezza;
di qui la violazione e falsa applicazione della legge n. 109 del 1994 e del d.P.R. n. 544 del 1999, nonché della legge n. 1 del 1978, con connesso eccesso di potere per difetto di istruttoria;

3)- che la stessa Amministrazione procedente non avrebbe mai notificato l’avviso di avvio del complessivo procedimento volto all’espropriazione dei loro beni, a partire dalla delibera n. 512 del 1999 di approvazione del progetto definitivo dell’opera e di dichiarazione di pubblica utilità della stessa, in violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990, del giusto procedimento, dell’art. 42 della Costituzione e dei principi di imparzialità, economicità, efficienza e buon andamento, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria;

4)- che l’Amministrazione avrebbe omesso di operare la necessaria, preventiva valutazione e comparazione degli interessi coinvolti dal procedimento espropriativi posto in essere, in violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 e della legge n. 1 del 1978, nonché della legge regionale pugliese n. 27 del 1985 ed in eccesso di potere per difetto dei presupposti.

Si costituiva il Comune di Vieste eccependo l’inammissibilità del ricorso per avere fatto acquiescenza i ricorrenti agli atti espropriativi ed anche l’improcedibilità dello stesso ricorso avendo gli interessati, successivamente alla proposizione del gravame, presentato proposta al Comune di Vieste di cessione gratuita di parte dei suoli interessati all’espropriazione e, segnatamente, delle particelle 374 e 2985 del foglio 12, nell’ambito di apposito Piano di Lottizzazione.

Con sentenza n. 5243 del 15 novembre 2004, il TAR adito ha dichiarato inammissibile il ricorso anzidetto, in accoglimento della citata eccezione del resistente Comune, sul presupposto che:

- i motivi di impugnazione concretamente dedotti censurerebbero soltanto gli atti e provvedimenti presupposti ai contestati decreti di occupazione di urgenza, come sarebbe, peraltro, confermato anche dal fatto che contro detti provvedimenti di occupazione sarebbe stata dedotta soltanto una censura di illegittimità derivata;

- che la legale conoscenza dell’esistenza del procedimento espropriativo sarebbe intervenuta in capo ai ricorrenti circa sette mesi prima (24 marzo 2001) della presentazione (il 19 ottobre 2001) del ricorso giurisdizionale (a seguito della notifica ai medesimi ricorrenti di apposito avviso di avvio del procedimento espropriativo, contenente anche l’invito a “visionare” gli atti relativi, rivolgendosi al funzionario ivi indicato, ogni giorno, nell’orario di ufficio) potendosi ben ritenere che “…Tale avviso ha valore di legale conoscenza del procedimento, dal quale scaturiva la possibilità di proporre impugnazione avverso gli atti presupposti di cui i ricorrenti non potevano ignorare il contenuto dispositivo…”.

Con l’appello in epigrafe (soltanto) i sigg. D F e D D hanno chiesto la riforma di detta sentenza per i seguenti motivi di diritto:

1)- sarebbe errata la pronunzia di inammissibilità resa dal giudice di prime cure poiché, come chiarito dalla giurisprudenza, non sarebbe sufficiente l’indicazione di inizio del procedimento a costituire prova legale dell’intervenuta piena conoscenza degli atti;
inoltre, l’Amministrazione non avrebbe fornito alcun concreto elemento “…teso a provare che l’interessato, ricevuto l’avviso, fosse entrato immediatamente a conoscenza delle delibere, essendosi personalmente recato a prendere visione degli atti…” ed avrebbe inviato agli appellanti soltanto il 24 marzo 2001 una comunicazione riferita all’inizio del procedimento espropriativo, invece già concretamente avviato due anni prima (nel 1999) con l’adozione della delibera di approvazione del progetto e di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ma non anche avviso relativo al procedimento di occupazione di urgenza;

2)- sarebbero, invece, fondati i quattro motivi di impugnazione proposti in primo grado per l’annullamento di tutti gli atti espropriativi presupposti all’occupazione d’urgenza, anch’essa contestata, e specificamente riproposti in questa sede.

Si è costituito in giudizio il Comune di Vieste chiedendo il rigetto dell’appello ed ha depositato documentazione relativa alla “Convenzione di Piano di Lottizzazione C2 -Via Puccini- “ del 29 aprile 2005, sottoscritta (anche) dagli appellanti. Con successiva memoria ha illustrato le proprie tesi difensive chiedendo, conclusivamente, il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 10 novembre 2009 l’appello è stato introitato per la decisione.

L’appello è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Parte appellata ha sollevato due eccezioni pregiudiziali secondo le quali il ricorso di primo grado, per un profilo, sarebbe improcedibile e, per altro profilo sarebbe inammissibile.

Gli appellanti, per loro conto, con il primo motivo di impugnazione hanno criticato la sentenza impugnata perché erratamente il Giudice di prime cure avrebbe dichiarato tardivo il ricorso.

La valenza pregiudiziale non solo di dette due formali eccezioni comunali, ma anche della questione proposta con il citato primo motivo di appello abilita il Collegio a scegliere un ordine di trattazione che, in applicazione del principio di economia dei mezzi, consenta di utilizzare, laddove compatibile, la motivazione resa per l’una anche per la decisione dell’altra o delle altre.

Facendo applicazione di tale premessa, ritiene il Collegio che sia possibile esaminare, innanzi tutto, il primo il motivo di appello, potendo la decisione sulla questione sostanzialmente pregiudiziale ivi contenuta essere utile anche per la decisione almeno di una delle due eccezioni comunali.

Con detto motivo i sigg. Dirodi hanno criticato la motivazione espressa nella sentenza appellata sostenendo che la comunicazione del Comune di Vieste n. 4559 del 22 marzo 2001 -loro inviata ai sensi dell’art. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990 per comunicare “…l’avvio del procedimento finalizzato all’espropriazione del terreno o di parte del terreno di vs. proprietà, necessario per i lavori di completamento della locale Scuola Media Don A. Spalato…”- non sarebbe idonea a far ritenere che da tale data sia intervenuta in capo agli appellanti la piena conoscenza degli atti espropriativi, tenuto conto che essa è generica, non indicando neppure quali atti siano stati adottati dall’ente procedente e che è intervenuta, peraltro, due anni dopo l’emanazione (nel 1999) della delibera di approvazione del progetto definitivo dell’opera e di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori.

Il motivo è fondato.

Giurisprudenza che il Collegio condivide (cfr. ad es. C.d.S., sez. V^, n. 1562 del 18 marzo 2002) afferma che non è sufficiente ad integrare la presunzione di piena consapevolezza della lesività dell’atto, né la semplice comunicazione dell’esistenza di una delibera di approvazione di un progetto di opera pubblica, comportante la dichiarazione di pubblica utilità, né ancor meno la comunicazione che genericamente contenga notizia del mero impulso dato al procedimento espropriativi, specialmente se detta comunicazione intervenga, sia nell’uno che nell’altro caso, con molto ritardo rispetto alla data di approvazione del progetto definitivo e di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Occorre, invece, che gli atti del procedimento espropriativo per cui è fatta la comunicazione siano allegati a quest’ultima, a fini di notifica, ovvero, la stessa comunicazione ne riporti, quanto meno in sintesi, il contenuto più rilevante, così che possa ritenersi verificata la condizione della piena conoscenza degli atti del procedimento.

Nella specie, la comunicazione ricevuta dagli appellanti è intervenuta, come più innanzi già specificato, due anni dopo l’avvio del procedimento espropriativo (iniziato con la delibera di G.M. n. 512 del 14 dicembre 1999, che approvava il progetto definitivo e dichiarava la pubblica utilità delle opere per la costruzione dell’Auditorium) mediante una nota che per la sua estrema genericità può essere ritenuta null’altro che una mera comunicazione dell’inizio di un altrettanto generico procedimento espropriativo, in relazione al quale non vengono citati neppure gli estremi degli atti adottati, ma indicate soltanto le particelle catastali dei beni da sottoporre ad ablazione..

Né può essere utile ad integrare la piena conoscenza l’invito rivolto con la stessa nota agli interessati di accedere agli atti presso la sede del Comune, in quanto detto invito non può in alcun modo supplire l’obbligo dell’Amministrazione di notificare ai proprietari (da essa individuati) gli atti procedimentali sin dal momento dell’adozione della delibera che dichiara la pubblica utilità dell’opera, ovvero l’ulteriore obbligo di procedere, quanto meno, alla trascrizione in sintesi del contenuto rilevante di detti atti nella comunicazione all’uopo notificata (cfr. C.d.S., sez. IV^, n. 6173 del 12 dicembre 2008).

Consegue che è infondata la deduzione comunale che, in presenza di una tale generica comunicazione, costituisse onere degli interessati attivarsi per conoscere il contenuto degli atti del procedimento espropriativo (cfr. memoria depositata il 4 novembre 2009), tenuto conto che la sola indicazione della particella catastale di riferimento dei beni da espropriare non integra neppure uno dei necessari presupposti più innanzi indicati per potersi ritenere, giustificatamene, verificata la piena conoscenza degli atti di detto procedimento da parte dei soggetti destinatari.

Così pure sono prive di pregio le ulteriori deduzioni con le quali il Comune resistente ha affermato, da un lato, che non sussisteva alcun obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, essendo entrata in vigore la legge sulla partecipazione procedimentale (n. 241 del 1990) successivamente alla data (1980) in cui è stato approvato il progetto generale preliminare dell’intero complesso scolastico e, dall’altro, che i ricorrenti erano ben consapevoli, o dal 3 ottobre 1980 della destinazione dei propri terreni e della loro ablazione, per effetto della comunicazione in proposito ricevuta dal loro defunto genitore, ovvero, quanto meno dal 26 ottobre 1992, poiché in tale data, con apposita istanza, essi avevano richiesto al Comune di comporre transattivamente la vicenda espropriativa, considerato che:

- in punto di fatto, l’opera pubblica inizialmente prevista dal progetto generale preliminare approvato nel 1980, comprendente anche l’auditorium per cui è causa, è stata realizzata per stralci che non hanno avuto tutti esecuzione nel quinquennio di validità della iniziale dichiarazione di pubblica utilità, bensì per fasi successive, l’una distanziata dall’altra per periodi superiori all’anzidetto lustro, tant’è che l’Amministrazione ha dovuto più volte riapprovare il progetto, onde poter perpetuare la validità di detta dichiarazione di pubblica utilità;

- conseguentemente, sono inconferenti tutti gli anzidetti rilievi comunali in quanto è errata l’individuazione del parametro di riferimento costituito non da detto progetto preliminare e dagli atti successivamente adottati, ma soltanto dal progetto definitivo dell’Auditorium approvato con la delibera della Giunta Municipale n. 512 del 1999, contenente anche l’espressa dichiarazione di pubblica utilità dell’Auditorium stesso;

- in punto di diritto, le delibere che qui rilevano sono, dunque, soltanto quelle che, mediante specifico stralcio, hanno dato il via al procedimento espropriativo per la realizzazione dell’Auditorium e cioè, in particolare, quella più volte citata che ha approvato il relativo progetto definitivo (citata G.M. n. 512 del 1999), che doveva essere notificata ai proprietari delle aree interessate, o, quanto meno partecipata agli stessi mediante nota riassuntiva delle sue parti principali, così che gli stessi proprietari fossero pienamente avvertiti delle conseguenze discendenti sul loro diritto dominicale dall’approvazione di tale delibera;

- consegue che si impone la conferma dell’avviso negativo già espresso, anche alla luce dell’indirizzo della Sezione, alla stregua del quale la reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità , scaduta o a qualunque titolo venuta meno, deve sempre avvenire mediante lo svolgimento di un nuovo procedimento amministrativo strumentale a detta dichiarazione, al quale possano partecipare tutti i soggetti pubblici e privati direttamente interessati, previa notifica agli stessi di idonea comunicazione di rito.

In sintesi, per le ragioni sin qui evidenziate, la sentenza appellata merita di essere riformata, non potendosi considerare tardivo il ricorso di primo grado, in difetto di idonea prova al riguardo.

Ciò deciso, può ora darsi ingresso all’esame delle due eccezioni sollevate dal Comune di Vieste, esaminando per prima l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata da detto Comune già innanzi al Giudice di prime cure e reiterata in questa sede perché gli attuali appellanti, dopo la proposizione del gravame di primo grado, avrebbero “…presentato un piano di lottizzazione, obbligandosi a cedere gratuitamente al Comune le particelle 734 e 2985, oggetto del procedimento espropriativo in parola,…” seguito dalla successiva stipula “…della Convenzione di lottizzazione denominata PdL-via Puccini…”.

Detta eccezione è, allo stato degli atti, non accoglibile perché alla controdeduzione degli appellanti che non vi sarebbe corrispondenza tra le particelle oggetto del contestato esproprio e quelle che sarebbero state cedute per la realizzazione della lottizzazione anzidetta, il Comune di Vieste nulla ha opposto, così che, già in punto di fatto, viene in evidenza la sua infondatezza, oltre che in ragione dell’ulteriore notazione dei medesimi appellanti, anch’essa non smentita da controparte, che sarebbero state cedute al Comune per la realizzazione di detta lottizzazione soltanto le particelle non oggetto di espropriazione.

Né positiva sorte può avere l’ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellato Comune con riferimento al ricorso di primo grado (non avere i sigg. Dirodi impugnato, a suo tempo, la delibera del Consiglio Comunale n. 60 del 4 maggio 1998, di approvazione del Programma di Recupero Urbano e di rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in questione, cosa che, peraltro, dimostrerebbe come essi fossero ben a conoscenza del destino dei propri beni molto prima dell’approvazione della G.M. n. 512 del 1999 con la quale è stato approvato il progetto definitivo dell’Aditorium e ridichiarata la pubblica utilità delle relative opere) in quanto, al fine di pronunziarne il rigetto è sufficiente rinviare alla stessa motivazione più innanzi già resa per ritenere infondata la pronunzia emessa dal primo Giudice in ordine alla ricevibilità del ricorso di prime cure.

Le conclusioni sin qui raggiunte comportano, a questo punto, la disamina dei motivi di gravame di primo grado dei quali fondata e assorbente è la censura di violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990, sotto il profilo dell’omesso avviso di avvio del procedimento espropriativo, tenuto conto che, né ai fini dell’emanazione della delibera di G.M. n. 512 del 1999, né in relazione ai successivi atti, il Comune appellato ha adempiuto all’obbligo di dare tempestiva comunicazione ai sigg. Dirodi dell’avvio del relativo procedimento concernente l’approvazione del progetto definitivo di realizzazione dell’Auditorium ed il rinnovo, per l’ennesima volta, della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori.

Come già chiarito più innanzi, a tale obbligo l’Amministrazione comunale non poteva sottrarsi poiché:

- per un verso, sono pienamente condivisibili le osservazioni sul punto della difesa degli appellanti circa l’inconferenza delle comunicazioni effettuate nel 1980, relative all’approvazione del progetto preliminare dell’intervento, atteso che l’intervento stesso (in tale contesto individuato in tutta la sua complessiva consistenza) è stato, invece, realizzato per stralci non tutti eseguiti nel periodo di validità del vincolo e della dichiarazione di pubblica utilità, essendosi in tale arco di tempo costruita soltanto la scuola, ma non anche, per quel che qui rileva, l’Auditorium in questione;

- per altro verso, ha errato la stessa Amministrazione a non considerare che tutti gli atti antecedenti all’approvazione del progetto definitivo ed alla dichiarazione di pubblica utilità non potevano avere alcuna incidenza nell’economia del procedimento espropriativo, avendo essi perduto efficacia, nonché a non tenere in conto che la reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità , scaduta o a qualunque titolo venuta meno, deve sempre avvenire mediante lo svolgimento di un nuovo procedimento amministrativo strumentale a detta dichiarazione, al quale devono partecipare tutti i soggetti pubblici e privati direttamente interessati.

Né, infine, è di ostacolo alle conclusioni sin qui raggiunte la norma dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 considerato che, vertendosi in tema di attività amministrativa discrezionale, doveva il Comune appellato dimostrare in questa sede che l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto raggiunto con gli atti impugnati, cosa che, però, non ha fatto, per cui va confermata la statuizione di illegittimità degli atti e provvedimenti impugnati per oviolazione delle norme sulla partecipazione procedimentale di cui alla legge n. 241 del 1990.

In conclusione, assorbita ogni altra pronunzia sulle restanti censure del ricorso di primo grado, comportando la riforma della sentenza appellata il rinvio dell’affare al Comune di Vieste perché rinnovi il procedimento espropriativo con le garanzie partecipative di legge, può disporsi l’accoglimento dell’appello, siccome fondato, con onere delle spese del doppio grado di giudizio, oltre IVA e CAP, a carico del suddetto Comune, in ragione della patita soccombenza.

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